Nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 giugno 2019, n. 3928.

La massima estrapolata:

Nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Sentenza 12 giugno 2019, n. 3928

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1550 del 2008, proposto da
Ci. Ma., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. De. Es., Da. Va., Ri. Vi., con domicilio eletto presso lo studio Da. Va. in Roma, viale (…);
ed altri non costituiti in giudizio;
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 06200/2007, resa tra le parti, concernente ingiunzione demolizione e ripristino in conformità al titolo edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti l’avvocato prof. Riccardo Villata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Nell’anno 1962 il sig. Ci. Ma. ottenne dal Comune di (omissis) licenza di costruire un edificio residenziale di vari piani con tetto a quattro falde.
L’interessato ha però realizzato, in luogo del progettato sottotetto a vano unico, un ambiente mansarda avente maggiori altezze e diversi vani, costituente in sostanza un ulteriore appartamento destinato alla locazione.
Nel dicembre del 2005 il comune, esperito un sopralluogo, ha ordinato la demolizione del costruito e il ripristino della copertura da progetto.
Il sig. Ci. ha impugnato tale ordinanza avanti al Tar Lombardia il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il gravame.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma, previa sospensione dell’esecutività .
L’amministrazione comunale, benché ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva.
La Sezione, con ord.za 1560/2008, ha accolto l’istanza cautelare proprio in ragione della risalente data di realizzazione della parte del manufatto contestata.
Gli eredi dell’appellante, costituitisi in riassunzione dopo il decesso di questi, hanno depositato memorie, insistendo nelle già prese conclusioni.
Alla udienza del 126 maggio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello non è fondato e va pertanto respinto.
Con il primo e centrale motivo di impugnazione l’appellante torna a dedurre che – in sede di repressione di abusi edilizi realizzati in epoca assai risalente – sull’amministrazione locale incombe un onere di rafforzata motivazione, non potendosi apoditticamente ritenere che la mera esigenza di ripristino della legalità prevalga sempre e comunque sull’affidamento maturato nel corso di decenni dall’interessato.
Il mezzo, benchè sviluppato con argomentazioni di grande spessore che hanno infatti trovato ascolto presso questo Consiglio nella ormai lontana fase cautelare, deve però essere respinto.
La successiva evoluzione della giurisprudenza, ha infatti decisivamente chiarito che nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. (cfr. Ap. n. 9 del 2017).
Visto il carattere qui vincolante di tale insegnamento (art. 99 c. 3 cod. proc. amm.), al quale del resto tutta la giurisprudenza successiva risulta allineata, il mezzo in rassegna va quindi respinto.
Infine, nemmeno può favorevolmente considerarsi, al fine di ravvisare un pregnante onere di motivazione, il fatto che il comune avesse all’epoca poi concesso l’abitabilità del fabbricato, la quale presuppone un raffronto tra l’edificato e l’assentito.
Infatti, l’evidente errore in cui all’epoca il comune è incorso, non vale ad attenuare la situazione di mala fede in cui versava l’interessato, essendo egli ben consapevole – come risulta dagli atti di causa – della difformità dell’edificato rispetto al titolo.
Con il secondo motivo l’appellante – dopo aver ricostruito l’evoluzione della normativa generale e le vicende relative all’approvazione del regolamento edilizio e del p. di f. comunali – sostiene che all’epoca l’intervento avrebbe potuto essere realizzato indipendentemente dal rilascio del titolo edilizio e che quindi lo stesso non era soggetto ad alcuna disciplina di piano.
Il mezzo non fondato.
In primo luogo non risulta provato che effettivamente, nel 1962, l’area edificata dal sig. Ci. ricadesse al di fuori del centro abitato (che è nozione diversa da quella di centro storico) e che dunque l’utilizzo a fini costruttivi della stessa sfuggisse alla regola del necessario titolo ex art. 31 legge urbanistica.
Il punto però non merita di essere approfondito in quanto nel caso all’esame l’edificazione fu regolata da un titolo, valido efficace e ovviamente mai impugnato: e dunque da un provvedimento costitutivo del quale qui non sarebbe in alcun modo consentita la disapplicazione.
Con il terzo motivo l’appellante torna a dedurre che nel caso il comune avrebbe dovuto applicare una sanzione pecuniaria, risultando impossibile la demolizione della mansarda senza incidere sulla stabilità dell’intero edificio.
Anche questo mezzo non può esser favorevolmente delibato in quanto – come ben evidenziato dal TAR – il comune ha qualificato l’abuso come eseguito in difformità totale dal titolo con conseguente impossibilità di applicare la sanzione pecuniaria di cui all’art. 34 T.U. edilizia n. 327/2001.
In effetti l’art. 34 citato prevede per quanto di interesse che, nel caso di interventi in parziale difformità dal permesso, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale.
Senonché, come si è anticipato, nel caso in esame la costruzione del piano mansarda configura intervento in totale difformità o con variazioni essenziali, ai sensi dell’art. 31 TU secondo cui sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
Risulta così applicabile alla fattispecie il comma 2 del citato art. 31 il quale, senza alternative, prevede che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto in caso di inottemperanza, ai sensi del comma 3.
D’altra parte – per quanto può desumersi dagli atti di causa – in fatto nemmeno è dimostrato che la riduzione in pristino possa realmente pregiudicare la statica dell’immobile.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto, con integrale conferma della gravata sentenza.
Nulla per le spese del grado in difetto di costituzione dell’ente locale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Nulla per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

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