cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 29 aprile 2016, n. 8484

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26325-2013 proposto dai
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2408/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO del 22/05/2013, depositata l’11/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALTSI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Busto Arsizio, sede staccata di Gallarate, con sentenza n. 45 del 2009, in accoglimento della domanda proposta dall’arch. (OMISSIS), condannava (OMISSIS) a corrispondere la somma di Euro 36.539,65, oltre interessi legali e spese di lite, a titolo di compenso per l’attivita’ svolta nell’ambito della ristrutturazione dell’immobile sito in Cassano Magnano. Avverso tale sentenza, proponeva appello, (OMISSIS), lamentando che il primo giudice, erroneamente: a) aveva ritenuto provata l’esecuzione delle prestazioni dedotte nelle parcelle; b) aveva valutato la congruita’ del compenso limitandosi a considerare l’importo indicato nella lettera del Presidente dell’ordine degli architetti di Varese, prodotta dall’arch. (OMISSIS), per altro, tardiva ed inammissibile; c) aveva ritenuto non provata la sussistenza di un accordo preventivo tra l’arch. (OMISSIS) e la (OMISSIS), sulla determinazione del compenso in Euro 7.500,00 che al contrario risulterebbe dalla scritto autografo prodotto dall’appellante e dalla fattura dell’8 novembre 2000. Si costituiva l’arch. (OMISSIS), contestando la fondatezza delle domande ed eccezioni avversarie e ne chiedeva il rigetto, con la conferma della sentenza impugnata. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2408 del 2013, accoglieva l’appello e rigettava la domanda proposta dall’arch. (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), compensava per meta’ le spese di lite. Secondo la Corte di Milano, nel caso di specie, emergeva la sussistenza di un accordo preventivo provata dall’appunto manoscritto dell’arch. (OMISSIS) e dalla fattura dell’8 novembre 2000, pacificamente pagata, successiva al termine dei lavori di ristrutturazione, in cui si dava atto che il versamento era a saldo di quanto dovuto. Inoltre, non era da poco considerare che le parcelle di cui era causa erano relative ad un periodo di molto successivo rispetto al termine dei lavori (circa due anni) e si collocavano temporalmente in corrispondenza della controversia insorta tra il committente (OMISSIS) e l’impresa appaltatrice (tra l’altro nella titolarita’ del padre dell’arch. (OMISSIS)). La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta dall’arch. (OMISSIS) per un motivo. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’arch. (OMISSIS) lamenta l’erronea applicazione degli articoli 1326 e 1362 c.c. e ss.. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere sussistente, tra le parti, un accordo preventivo sulla base di un appunto confermato dall’invio e dal pagamento di una fattura recante la dicitura ” a saldo” perche’ “l’appunto” cui si riferisce la Corte distrettuale non integra gli estremi di una proposta contrattuale perche’ non sarebbe presente in quell’appunto la misura del compenso e, quand’anche, fosse interpretato quale proposta, stante la sua natura unilaterale, non potrebbe essere ad essa riferito il criterio ermeneutico della comune intenzione e del comportamento complessivo delle parti. Piuttosto, l’appunto avrebbe potuto e dovuto essere meglio qualificato, come una cc.dd minuta o puntazione di clausole, nella quale rientrano i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento d’interessi. Insomma, non esisteva una presunzione neppure semplice di un avvenuto perfezionamento contrattuale ma si trattava di punti o appunti di un possibile futuro accordo e sulla parte che intendeva dimostrare che quell’appunto non era un accordo, non incombeva alcun onere probatorio per dimostrare il contrario. Il non avere, la Corte distrettuale, sviluppato il percorso giuridico argomentativo indicato avrebbe reso la motivazione della sentenza gravata inadeguata e non immune da tale vizio logico. In definitiva, secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe viziata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 dall’erronea applicazione in via analogica degli articoli 1326 e 1362 c.c.. nella pane motiva nella qualifica il documenti n. 1 prodotto dalla resistente quale proposta contrattuale, ovvero, puntuazione completa di clausole, anziche’ applicando in via analogica l’articolo 1363 c.c., una mera minuta o puntazione di clausole senza raggiungimento di alcun effettivo accordo preventivo sulle attivita’ professionali da svolgere e quindi sul compenso.
1.1. Il motivo, e’ infondato.
E’ appena il caso di evidenziare che puo’ e deve prescindersi dalla mancata autosufficienza del ricorso, dato che il ricorrente, pur ponendo a fondamento della sua censura l’atto indicato come “appunto”, non ha provveduto ne’ a riportarlo nel contesto del motivo, ne’ indica quando e’ stato prodotto e dove materialmente sia stato collocato all’interno dei documenti processuali, dato che la censura e’, comunque, il frutto di una lettura superficiale della sentenza. Va qui premesso che, normalmente definita, la consulenza o la prestazione d’opera, sebbene non sia obbligatoria la forma scritta, si procede, ai sensi dell’articolo 2222 c.c., alla compilazione di un contratto di prestazione d’opera scritto e firmato dalle parti. Questo documento (unico riferimento per un eventuale contenzioso) e’ bene che comprenda: a) la descrizione dettagliata dell’opera o del servizio richiesti; b) i tempi di consegna da parte del committente; c) materiali necessari alla progettazione e/o realizzazione; d) i tempi di consegna del lavoratore; e) il prezzo pattuito; f) i tempi di pagamento; g) la data e le modalita’ di recesso. Tuttavia, il contratto di cui si dice puo’ essere stipulato anche oralmente. Con la precisazione che ove il contratto d’opera sia stato stipulato oralmente, sara’ necessario, ciascuno per le proprie pretese, che il professionista e/o il committente, dimostri l’opera che era stata programmata e il corrispettivo concordato e, comunque, l’ulteriore contenuto dell’accordo. Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale, come emerge chiaramente dalla sentenza, ha accertato che non esisteva un contratto d’opera in forma scritta, ma, tuttavia, i dati processuali, forniti dalle parti, erano in grado di rendere gli elementi essenziali del contratto d’opera orale, intercorrente tra la sig.ra (OMISSIS) e l’arch. (OMISSIS). Infatti, la Corte distrettuale, accertava che il documento n. 1, cc. dd. “appunto”, prodotto dalla sig.ra (OMISSIS) e riconosciuto, come di propria mano, dallo stesso architetto (OMISSIS), in sede di interrogatorio formale, e la fattura dell’8 novembre 2000 in atti, pacificamente pagata, e in cui si dava atto che il versamento era “a saldo” di quanto dovuto, identificavano sia l’opera concordata dalle parti e sia anche il corrispettivo chela (OMISSIS) avrebbe dovuto all’arch. (OMISSIS). Per altro, la Corte distrettuale ha avuto modo di specificare che (…) le attivita’ indicate nel documento n. 1 (“appunto”) corrispondevano puntualmente a quelle delle parcelle azionate (progettazione, direzione dei lavori, coordinamento sicurezza, impiantistica, varianti, abitabilita’). Il rapporto, dunque, tra la sig.ra (OMISSIS) e l’arch. (OMISSIS), sulla base dei dati processuali era stato governato da un contratto d’opera orale definitivamente estinto con l’adempimento delle reciproche obbligazioni. La Corte ha, altresi’, aggiunto che le attivita’ connesse alla progettazione dell’arredo di interni, non risultava tra gli accordi delle parti e il professionista non aveva offerto dimostrazione, dato che la parcella di cui chiedeva il pagamento di per se’ era del tutto insufficiente sotto il profilo probatorio. Peraltro, non era di poco conto, chiarisce ancora la Corte distrettuale, che le parcelle, di cui era causa, e il cui importo era oggetto di revisione da parte dell’architetto, erano relative ad un periodo di molto successivo rispetto al termine dei lavori (circa due anni) e si collocavano temporalmente in corrispondenza della controversia insorta tra la committente e l’impresa appaltatrice, tra l’altro nella titolarita’ del padre dell’arch. (OMISSIS). E’ di tutta evidenza, dunque, che la sentenza impugnata non merita la censura che le e’ stata rivolta essenzialmente perche’ la sentenza impugnata piu’ che interpretare i dati processuali ha ricostruito, correttamente, la fattispecie da disciplinare. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio disoccombenza ex articolo 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 113 del 2002, articolo 13, comma 1 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento in favore (OMISSIS), delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.200,005 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge,dichiara la sussistenza delle condizioni per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis.

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