Non è consentito al giudice di pace autoassegnarsi per il deposito della sentenza un termine diverso e maggiore rispetto a quello stabilito

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 30 gennaio 2020, n. 3910

Massima estrapolata:

Non è consentito al giudice di pace autoassegnarsi per il deposito della sentenza un termine diverso e maggiore rispetto a quello stabilito dall’articolo 32 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (quindici giorni, a meno che la sentenza non venga dettata a verbale), in quanto tale disposizione riveste carattere derogatorio rispetto all’articolo 544 del Cpp, con la conseguenza che non può trovare applicazione l’articolo 2 del citato decreto legislativo n. 274 del 2000, che prevede l’estensione delle norme del codice di rito nei procedimenti innanzi al giudice di pace, a meno che non sia diversamente stabilito. Da ciò deriva che il termine per impugnare è in ogni caso quello di giorni trenta decorrente, per le parti presenti, dal quindicesimo giorno successivo alla emissione della sentenza qualora tale termine sia stato rispettato nonostante l’erronea assegnazione di uno maggiore.

Sentenza 30 gennaio 2020, n. 3910

Data udienza 21 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/05/2019 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE PAVICH.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. (OMISSIS) ricorre avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno, in data 20 maggio 2019, ha dichiarato inammissibile l’appello da lui proposto avverso la sentenza di condanna emessa a suo carico dal Giudice di pace della stessa citta’ l’8 marzo 2018: sentenza la cui motivazione era stata riservata in sessanta giorni e che, peraltro, veniva depositata in data 19 marzo 2018.
Il (OMISSIS), come da lui stesso premesso nel ricorso in esame, depositava appello avverso la prefata sentenza in data 21 giugno 2018; e il Tribunale ascolano, in funzione di giudice dell’appello, dichiarava tardiva l’impugnazione con l’ordinanza oggi ricorsa, reputando irrilevante il fatto che il Giudice di pace si fosse riservata la motivazione in un termine piu’ ampio di quello a lui consentito dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 32, a fronte del fatto che la sentenza era stata in realta’ depositata nel rispetto del termine di legge.
2. Nell’unico motivo di lagnanza, il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla statuizione del Tribunale, evidenziando che al riguardo vi sono due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, uno dei quali risulterebbe seguito dal Tribunale di Ascoli Piceno, ma senza che lo stesso abbia dato conto delle ragioni della sua adesione a uno dei due indirizzi giurisprudenziali. Nell’illustrare il percorso argomentativo dei diversi orientamenti sul punto, il ricorrente sostiene, nell’essenziale, che, quando il Giudice di pace si assegna un termine diverso e maggiore di quello previsto dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 32, deve trovare applicazione – in ossequio all’articolo 2 del cit. Decreto Legislativo – quanto previsto dal combinato disposto dell’articolo 544 c.p.p., comma 3, e dell’articolo 585 c.p.p., comma 2, lettera C).
In subordine, obietta il ricorrente, il Giudice di pace, che, indicando per il deposito il termine di 60 giorni, aveva tratto in inganno l’imputato presente alla lettura del dispositivo, avrebbe dovuto notificargli la sentenza stessa.
3. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto che il ricorso venga rigettato.
4. Il ricorso e’ infondato.
E’ infatti ben vero che, in un isolato precedentemente (sez. 5, sentenza n. 40037 del 10.7.2014, Petrella, rv. 260301) si era sostenuta la tesi – condivisa dal ricorrente – secondo la quale la previsione di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274 – per la quale, il giudice di pace deve depositare la motivazione entro 15 giorni qualora non la detti a verbale – non impedisce che quest’ultimo possa autoassegnarsi un termine diverso e maggiore, stante il disposto normativo di cui all’articolo 2 del citato D.Lgs., con la conseguente applicabilita’ dei termini di impugnazione previsti dall’articolo 585 c.p.p. per le sentenze del Tribunale e della Corte di appello.
A fronte di tale precedente, tuttavia, la giurisprudenza della Corte di legittimita’ assolutamente prevalente e qui condivisa e’ orientata nel senso opposto: ossia nel senso che non e’ consentito al giudice di pace autoassegnarsi un termine diverso e maggiore rispetto a quello stabilito dal piu’ volte citato Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 32, in quanto tale disposizione riveste carattere derogatorio rispetto all’articolo 544 c.p.p.: con la conseguenza che non puo’ trovare applicazione l’articolo 2 del citato D.Lgs., che prevede l’estensione delle norme del codice di rito nei procedimenti innanzi al giudice di pace, a meno che non sia diversamente stabilito. Ne deriva che il termine per impugnare e’ in ogni caso quello di giorni trenta decorrente, per le parti presenti, dal quindicesimo giorno successivo alla emissione della sentenza qualora tale termine sia stato rispettato nonostante l’assegnazione di uno maggiore (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 39217 del 18/06/2015, Magni, Rv. 264687; Sez. 5, Sentenza n. 46816 del 29/09/2015, Gamba, Rv. 265688; Sez. 5, Sentenza n. 26751 del 29/01/2016, Cenacchi, Rv. 267216; Sez. 4, Sentenza n. 16148 del 14/03/2017, Cattin, Rv. 269608).
Pertanto non ha pregio neppure l’asserto sostenuto dal ricorrente teso a lamentare la mancata notificazione della sentenza, a fronte del fatto che egli era presente all’udienza in cui venne indicato per il deposito, in luogo di quello stabilito dal ridetto articolo 32, il diverso e maggiore termine di sessanta giorni: l’erronea riserva di quest’ultimo termine da parte del giudicante, invero, non esimeva l’odierno ricorrente – cui era del resto assicurata la difesa tecnica – dal rilevare l’irritualita’ di tale indicazione e dal fare, invece, doveroso riferimento a quanto appositamente stabilito dalla lex specialis riferita al termine per il deposito della motivazione delle sentenze del Giudice di pace.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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