Nullità di un contratto sollevata per la prima volta in cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 maggio 2022| n. 15369.

Nullità di un contratto sollevata per la prima volta in cassazione

La questione della nullità di un contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito e implicante ulteriori accertamenti, è inammissibile, perché la sua rilevabilità d’ufficio, anche in sede di legittimità, postula che non vi sia necessità di nuove indagini di fatto.

Sentenza|13 maggio 2022| n. 15369. Nullità di un contratto sollevata per la prima volta in cassazione

Data udienza 7 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Proprietà – Azione di rivendicazione – Domanda riconvenzionale – Usucapione – Presupposti – Articoli 323 e 333 cpc – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Articoli 342 e 343 cpc – Impugnazioni – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 27199 del 2017 – Revisio prioris instantiae – Articoli 832 e 948 cc – Criteri – Articolo 1418 cc – Regolamentazione delle spese di lite – Legge 47 del 1985

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. ROLFI Federico – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21725/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F. (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv.to (OMISSIS), in virtu’ di procura in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv.to (OMISSIS), in virtu’ di procura in calce al controricorso e domiciliati telematicamente alla PEC (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, n. 206/2017, depositata in data 25 maggio 2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 7 aprile 2022 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELL’ERBA Rosa Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso.

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FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) evocarono innanzi al Tribunale di Sassari (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Gli attori – dopo aver premesso di essere proprietari di un fabbricato con annesso terreno in Comune di (OMISSIS), contraddistinto in parte col mappale (OMISSIS) (derivato attraverso successivi frazionamenti dall’originario mappale (OMISSIS)), per averlo acquistato in forza di atto pubblico del 21/5/2007 da (OMISSIS) (divenutane proprietaria per effetto di divisione con gli originari comproprietari)- lamentarono che i convenuti avevano occupato senza titolo parte dell’attuale mappale (OMISSIS) e vi avevano realizzato un fabbricato, consistente in una cantina. Chiesero, quindi, che il Tribunale condannasse i convenuti al rilascio della porzione terreno e all’eliminazione dei manufatti ivi realizzati.
Si costituirono (OMISSIS) ed (OMISSIS), deducendo: 1) di aver acquistato la porzione del mappale (OMISSIS) in contestazione dalla stessa (OMISSIS), in epoca precedente all’acquisto degli attori; 2) di avere posseduto detta porzione come proprietari sin dal 1985; 3) di aver eseguito interventi sul muro di confine e contenimento sin dal 1999 e di aver, quindi, regolarizzato la situazione di fatto con una scrittura privata conclusa nell’aprile 1999 con la medesima (OMISSIS); 4) che tale situazione era nota sia ad (OMISSIS) sia agli attori, i quali, quindi, avevano concluso la compravendita nella consapevolezza che il bene era di altri.
Chiesero, quindi, non solo il rigetto della domanda di rivendica, ma anche, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’avvenuto acquisto della porzione del mappale (OMISSIS) occupata dalla cantina, in via principale per usucapione o, in via subordinata, per accessione invertita ai sensi dell’articolo 938 c.c.. In via ulteriormente subordinata chiesero la condanna degli attori e di (OMISSIS) – di cui chiesero la chiamata in causa – al risarcimento dei danni subiti dai convenuti medesimi per aver incolpevolmente confidato nella validita’ dell’atto di acquisto.
A seguito della chiamata in causa, si costitui’ anche (OMISSIS), la quale contesto’ le allegazioni dei convenuti, deducendo, in particolare, di avere alienato a questi ultimi nel 1999 un’altra porzione di terreno e riconducendo i lavori di realizzazione della cantina al 2005.

 

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Con sentenza del 9 giugno 2014 il Tribunale di Sassari accolse la domanda degli attori, rigettando le domande riconvenzionali di (OMISSIS) ed (OMISSIS).
2. Sul gravame proposto da questi ultimi, la Corte d’Appello, con la decisione qui impugnata, respinse l’impugnazione, accogliendo invece l’appello incidentale proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) e conseguentemente condannando gli appellanti al pagamento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado, oltre che delle spese di lite del gravame.
Osservo’ la Corte:
che le censure avverso il rigetto della domanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione erano infondate, in quanto corrette erano le valutazioni operate dal giudice di prime cure in relazione alle risultanze delle prove testimoniali, dal momento che dette testimonianze, pur confermando gli interventi effettuati su un muro di contenimento (e ricondotti dagli stessi appellanti al 1999) e la realizzazione della cantina nel successivo anno 2002, non avevano offerto alcun elemento concreto sulle modalita’ iniziali del possesso del terreno in questione da parte degli appellanti;
che, anzi, si doveva ravvisare una carenza originaria nelle allegazioni di (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali avevano solo dedotto il possesso del terreno in questione a far tempo dall’anno 1985, senza precisare con quale comportamento esteriore avessero iniziato ad esercitare una signoria di fatto, incompatibile con i diritti dei titolari (gli originari condividenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), e deducendo in modo non credibile di aver posseduto soltanto la porzione di terreno successivamente assegnata ad (OMISSIS), quando questa faceva parte di un compendio piu’ ampio interamente di proprieta’ del dante causa della medesima (OMISSIS), (OMISSIS);
che, quindi, il primo atto espressivo di un possesso uti dominus da parte degli appellanti andava collocato nell’anno 1999, quando erano stati realizzati gli interventi eseguiti sul muro di contenimento del terrapieno, fermo restando che tale muro non aveva mai avuto la funzione di confine tra le quote assegnate ai condividenti;
che infondate erano le lagnanze degli appellanti in ordine all’assenza di un’adeguata prova del diritto di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) – i quali avevano prodotto solo l’atto d’acquisto del 2007 – in quanto l’onere probatorio di questi ultimi era stato attenuato proprio dalle difese di (OMISSIS) ed (OMISSIS), nel momento in cui costoro non avevano contestato l’originaria proprieta’ del fondo in capo agli eredi di (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ed anzi avevano essi stessi dedotto di aver acquistato il fondo dalla medesima dante causa (OMISSIS);
che, nonostante il Tribunale non si fosse pronunciato su di essa, andava comunque disattesa la domanda riconvenzionale di accertamento dell’acquisto del fondo ex articolo 938 c.c., sia in considerazione dell’orientamento di legittimita’ che esclude l’operativita’ della previsione nell’ipotesi di edificazione avvenuta al di sotto del suolo altrui e quindi di occupazione verticale, sia in assenza della stessa allegazione del presupposto della buona fede, peraltro incompatibile con la deduzione di un animus possidendi utile all’usucapione;
che andava parimenti esclusa una responsabilita’ degli appellati per doppia alienazione dell’immobile, non essendo possibile riferire specificamente alla porzione di terreno in contestazione la scrittura conclusa dagli appellanti con (OMISSIS) nel 1999 – e sulla cui base veniva dedotta detta responsabilita’ – essendo tale scrittura priva di alcun riferimento identificativo e non essendovi neppure prova della conoscenza della scrittura medesima da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).
E’ stata depositata memoria da parte dei ricorrenti.
4. In data 10 marzo 2022 i ricorrenti hanno depositato istanza per la trattazione in pubblica udienza della L. n. 176 del 2020, ex articolo 23, comma 8 bis.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso si articola in nove motivi
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli articoli 323, 333, 342, 343, 112 c.p.c., e la conseguente nullita’ della sentenza impugnata nella parte in cui essa ha gravato i ricorrenti anche delle spese della C.Testo Unico in accoglimento di un appello incidentale in realta’ non formulato da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali si erano limitati a dedurre l’inammissibilita’ o l’infondatezza dell’appello, formulando solo nelle conclusioni “in via incidentale” la richiesta di condanna alle spese della C.T.U., senza peraltro sottoporre la decisione di primo grado ad alcuna critica sul punto.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 832, 948, 1418 c.c. e della L. n. 47 del 1985, articolo 40.
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello abbia omesso di rilevare la nullita’ dell’atto di acquisto dei controricorrenti, in quanto il medesimo non menzionava ne’ l’esistenza della cantina ne’ il relativo titolo edilizio, sebbene all’epoca della conclusione della compravendita la cantina fosse gia’ stata realizzata.
1.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui gli odierni ricorrenti venivano a dedurre che l’atto di acquisto di (OMISSIS) e (OMISSIS) doveva ritenersi compiuto nello stato in cui l’immobile si trovava, e quindi con prevalenza dello stato di fatto dei luoghi e dei confini reali sui confini catastali, da cio’ derivando che, essendo gia’ stata realizzata la cantina, la zona occupata da quest’ultima doveva ritenersi esclusa dall’atto di acquisto.
1.4 Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio.
Viene lamentato che la Corte avrebbe omesso di esaminare come dalla deposizione del teste (OMISSIS) emergesse in modo chiaro il possesso ad usucapionem dei ricorrenti a far tempo dal 1985.
1.5 Con il quinto motivo si deducono in via graduata:
a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la “violazione o falsa applicazione di norma di diritto in relazione ai principi generali in materia di proprieta’ ed usucapione” per avere la decisione impugnata escluso la caratteristica di muro a confine del manufatto realizzato nel 1999, in quanto esistente nell’ambito di una proprieta’ indivisa, omettendo di considerare che il manufatto medesimo – come ammesso peraltro in precedenza – costituendo manifestazione del possesso, aveva determinato una situazione di fatto con confini reali diversi dai confini catastali;
b) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la “nullita’ della sentenza per motivazione del tutto contraddittoria” per aver escluso la configurabilita’ di un possesso ad usucapionem su una proprieta’ indivisa, nonostante la stessa Corte avesse precedentemente ipotizzato la possibilita’ di estendere il possesso ai danni di tutti gli originari comproprietari;
c) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, emergendo dalle deposizioni testimoniali che il muro in questione aveva effettivamente funzione di confine;
d) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione del principio del contraddittorio in relazione all’articolo 101 c.p.c., per non aver sottoposto al contraddittorio delle parti la propria valutazione del manufatto come mero muro di contenimento.

 

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1.6 Con il sesto motivo si deduce:
a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che i ricorrenti avessero allegato il possesso della sola porzione di terreno occupato dalla cantina di cui al mapp. (OMISSIS), laddove i medesimi avrebbero sempre allegato di avere il possesso “della casa e del cortile antistante”;
b) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione del principio del costituzionale del contraddittorio e la violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, per non aver sottoposto al contraddittorio delle parti la circostanza dell’allegazione di un possesso limitato.
1.7 Con il settimo motivo si deduce:
a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte escluso l’inattendibilita’ del teste (OMISSIS), escludendo che il medesimo avesse affermato di aver predisposto il primo frazionamento del terreno nel 1989, nonostante il medesimo teste lo avesse ammesso nella propria deposizione;
b) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte in ogni caso omesso di valutare e prove secondo un prudente apprezzamento, omettendo di considerare quanto dal teste medesimo riferito.
1.8 Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, l’omessa motivazione su uno specifico motivo di appello e la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in quanto la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con quale si contestava che l’esecuzione del frazionamento da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) costituisse attivita’ utile ad escludere od interrompere il possesso dei ricorrenti medesimi.
1.9 Con il nono motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, avendo la Corte ritenuto di valorizzare ai fini dell’esclusione del possesso, il rapporto di parentela ed ospitalita’ del ricorrente (OMISSIS) con gli originari proprietari del terreno, rilevando d’ufficio una questione di fatto mai sollevata dalle parti.
2. Il primo motivo e’ infondato.
E’, infatti, lo stesso ricorso ad ammettere che, nelle proprie conclusioni della comparsa nel giudizio di appello, (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano specificamente sollecitato, in via incidentale, la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento delle spese della consulenza tecnica svolta nel giudizio di primo grado.
Esclusa, quindi, una violazione dell’articolo 112 c.p.c., l’esplicita formulazione dell’appello incidentale vale anche ad escludere una violazione dell’articolo 342 c.p.c., avendo le parti formulato una espressa censura ad un capo della statuizione di primo grado, risultando tale censura adeguatamente rispettosa del dettato di cui all’articolo 342 c.p.c., alla luce della radicale omissione contenuta nella decisione impugnata, dovendosi rammentare che la previsione teste’ richiamata non impone l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U., Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 – Rv. 645991 – 01 e, successivamente, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018 – Rv. 648722 – 01).
Occorre del resto rammentare che la specificita’ dei motivi di appello dev’essere commisurata all’ampiezza ed alla portata delle argomentazioni della sentenza impugnata (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21401 del 26/07/2021 – Rv. 662214 – 01). Nel caso in esame, allora, a fronte di una omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, l’onere di specificita’ esigibile dagli odierni controricorrenti non poteva che essere limitato all’allegazione dell’omissione di pronuncia ed alla sollecitazione all’adozione della conseguente statuizione da parte della Corte d’Appello.
3. Il secondo motivo e’ inammissibile.

 

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Infatti, se e’ vero che la nullita’ del contratto puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice, non solo nel giudizio di primo grado, ma anche in quello di appello e persino nel giudizio di legittimita’ (Cass. Sez. U -, Sentenza n. 7294 del 22/03/2017 – Rv. 643337 – 01); Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014 – Rv. 633509 – 01), e’ altrettanto vero che cio’ e’ possibile solo ove la relativa questione non presupponga o, comunque, non richieda nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione.
Sul punto, va ricordato il principio di diritto dettato da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui la questione della nullita’ di un contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante ulteriori accertamenti, e’ inammissibile, perche’ la sua rilevabilita’ d’ufficio, anche in sede di legittimita’, postula che non vi sia necessita’ di nuove indagini di fatto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16541 del 15/07/2009 – Rv. 609090 – 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23235 del 14/10/2013 – Rv. 628126 01).
Nella specie, la questione sottoposta con la censura non risulta essere stata dedotta nei gradi di merito ed implica accertamenti di fatto mai richiesti dinanzi ai giudici di merito; dal che l’inammissibilita’ del motivo di ricorso.
4. Il terzo motivo e’ infondato.
L’implicito rigetto del motivo di appello – desumibile dall’insieme delle considerazioni svolte nella decisione impugnata, che evidentemente ha negato valenza alcuna al profilo qui dedotto – appare del tutto conforme al principio per cui in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volonta’ delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quello funzionale, che attribuisce rilievo alla “ragione pratica” del contratto, in conformita’ agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23701 del 22/11/2016 – Rv. 642983 – 01 e Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 17718 del 06/07/2018 – Rv. 649662 – 01), da cio’ ben potendosi escludere valenza decisiva alla presenza della clausola -peraltro meramente di stile – “nello stato di fatto e di diritto in cui si trova”. Invero la clausola di mero riferimento allo stato di fatto e di diritto dell’immobile, contenuta un relativo contratto di compravendita, non avendo alcun effettivo riscontro nella volonta’ dei contraenti al riguardo di limitazioni e servitu’ gravanti sul bene compravenduto, e’ gia’ stata da questa Corte ritenuta clausola di mero stile del tutto priva di efficacia negoziale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6062 del 15/10/1983 – Rv. 430867 – 01).
Ove, poi, si consideri che, nella specie, la deduzione non era mossa da una delle parti della suddetta compravendita, ma da un soggetto terzo rispetto ad essa – quali erano e sono gli odierni ricorrenti – trova applicazione il principio per cui la clausola con cui si specifichi che il bene viene trasferito nel suo stato di fatto attuale, contenuta in un contratto di compravendita immobiliare, non puo’ essere invocata dal terzo autore di un pregresso fatto lesivo del diritto di proprieta’ sul bene medesimo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5496 del 14/10/1980 – Rv. 409366 – 01).
5. Il quarto motivo e’ inammissibile.
Le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’omesso esame di un fatto decisivo – nonche’ all’inoperativita’ della preclusione di cui all’articolo 348-ter c.p.c. – non valgono ad elidere il fatto che con il motivo di ricorso si viene in realta’ a sollecitare una revisione delle valutazioni operate dalla Corte d’Appello in ordine agli esiti dell’attivita’ istruttoria. Detta sollecitazione si pone in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 – Rv. 655229 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004 – Rv. 569765 – 01).
6. Inammissibile e’, altresi’, il quinto motivo, il quale peraltro viene ad articolarsi su una pluralita’ di profili.

 

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Quanto alla lamentata violazione dei “principi generali in materia di proprieta’ ed usucapione”, si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilita’ dei motivo giusta la disposizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020 – Rv. 658610 – 01; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 – Rv. 642805 – 02). Il motivo di ricorso in esame, per contro, si presenta quanto mai anodino nel generico richiamo a “principi generali” non meglio determinati, senza operare specifici richiami a previsioni di legge che dovrebbero supportare le critiche contenute nel ricorso medesimo.
Ulteriore profilo di inammissibilita’ e’ costituito dal fatto che il motivo di ricorso non viene ad interessare l’effettiva ratio della decisione della Corte d’Appello, la quale solo incidenter ha escluso il carattere di muro a confine del muro di contenimento, disattendendo le deduzioni degli odierni ricorrenti per ben diverse ragioni – e cioe’ l’assenza di prove adeguate del possesso – peraltro riconducendo proprio agli interventi eseguiti su detto muro il primo atto espressivo di prerogative possessorie.
Quanto al dedotto vizio della motivazione, in virtu’ del suo carattere contraddittorio, la censura risulta inammissibile alla luce del principio per cui in seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 – non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 – Rv. 645828 – 01; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 – Rv. 645828 – 01).
Quanto all’omesso esame di un fatto decisivo – cui il terzo profilo del motivo fa, in modo piu’ pertinente, riferimento – l’inammissibilita’ discende ancora una volta dalla considerazione che, in realta’, i ricorrenti nuovamente sollecitano una diversa valutazione delle risultanze probatorie e nuovamente vengono a concentrarsi su un profilo che non costituisce l’effettiva ratio della decisione.
7. Il sesto motivo e’ inammissibile.
Occorre premettere che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicche’ sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018 – Rv. 651305 – 01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019 – Rv. 655413 01).
Nel caso in esame, per contro, viene ad essere dedotto non l’omesso esame di un fatto inteso in senso storico-naturalistico, bensi’ l’omesso esame di una argomentazione volta a far ritenere il possesso non solo sulla porzione di terreno contestato, ma anche sul fabbricato e su tutto il cortile.
Ulteriore profilo di inammissibilita’ discende, poi, dalla circostanza che le censure contenute nel motivo di ricorso ancora una volta non valgono ad investire la ratio della decisione, che si impernia sul ben piu’ rilevante profilo dell’assenza di adeguata prova di un possesso riconducibile all’anno 1985, anziche’ al 1999, come e’ stato invece ritenuto.
8. Il settimo motivo e’ inammissibile.

 

Nullità di un contratto sollevata per la prima volta in cassazione

Con esso, infatti, viene ad essere nuovamente sollecitata – al di la’ della formale intestazione del motivo – una revisione del giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla valenza delle prove assunte nel giudizio di primo grado.
L’inammissibilita’ del ricorso discende ulteriormente dal principio (enunciato da Cass. Sez. U. – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020 – Rv. 659037 – 02) per cui:
– per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c.;
– la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c., e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione.
9. Inammissibile e’, altresi’, l’ottavo motivo.
Le doglianze dei ricorrenti in ordine circa l’omessa valutazione di uno dei motivi di appello, in realta’, vengono ancora una volta a censurare la valutazione delle prove operata dalla Corte territoriale la quale, tuttavia, ha esaurientemente argomentato le ragioni per cui ha attribuito pregnanza alla deposizione del teste (OMISSIS), cosi’ disattendendo il motivo di appello.
Occorre, del resto, rammentare che il giudice non e’ tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’articolo 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorche’ risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020 – Rv. 658279 – 01).
10. Inammissibile e’, infine, il nono motivo e cio’ per la duplice considerazione che esso: 1) ancora una volta sollecita un sindacato sulla valutazione delle prove operate dalla Corte territoriale; 2) ancora una volta omette di investire la ratio della decisione impugnata.
Occorre, infatti, osservare che la decisione della Corte, ha escluso la sussistenza di un possesso risalente all’anno 1985 sulla scorta dell’assenza di adeguata prova di un comportamento esteriore dei ricorrenti tale da palesare una signoria di fatto incompatibile con i diritti degli allora comproprietari, e non sulla scorta di una tolerantia connessa ai rapporti di parentela, oggetto unicamente di un cenno che non costituisce in alcun modo l’ossatura della decisione.

 

Nullità di un contratto sollevata per la prima volta in cassazione

11. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo, in favore dei controricorrenti.
12. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U., Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).

P.Q.M.

La Corte;
rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

 

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