Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 dicembre 2022| n. 37307.

Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

In materia di acque, l’art. 913 c.c., nel porre a carico dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno onde evitare di rendere più gravoso ovvero di ostacolare il naturale deflusso delle acque a valle, pone un limite legale al diritto di proprietà che opera solo se si riferisce allo scolo naturale delle acque, rispetto al quale postula il mantenimento della soggezione naturale del fondo inferiore nei riguardi di quello superiore, senza estendersi, invece, alle ipotesi di scolo provocato dall’uomo con la realizzazione di una apposita rete irrigua.

Ordinanza|20 dicembre 2022| n. 37307. Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

Data udienza 13 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Acque pubbliche – Art. 913 c.c. – Disciplina delle acque di scolo – Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno – Mantenimento della soggezione naturale del fondo inferiore nei riguardi di quello superiore quanto al deflusso delle acque – Azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque da parte dei consorzi di bonifica – Natura pubblicistica degli enti – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f.

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. TERRUSSI Francesco – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28797-2021 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 61 presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’ contro
(OMISSIS) S.S.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 156/2021 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 16/09/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2022 dal Consigliere NAZZICONE LOREDANA.

Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

FATTI DI CAUSA

Il (OMISSIS) impugno’ davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, articolo 143, il Decreto del 25 giugno 2018, prot. 149819, emesso dal dirigente del Settore risorse idriche ed attivita’ produttive della Citta’ Metropolitana di Milano, con cui era stata disposta, in favore della (OMISSIS) s.s., la concessione di derivazione di acqua di colature ad uso irriguo.
Il T.s.a.p. ha respinto il ricorso, ritenendo, per quanto ancora rileva, che non vi sia stata la violazione dell’articolo 913 c.c.: in primo luogo ha ritenuto che, nella specie, si tratti di “acque di colatura” dal fondo; in secondo luogo ha affermato che la disposizione menzionata non pone, a carico del fondo superiore, un obbligo di far defluire le acque verso il fondo inferiore. Ha disatteso anche la censura di vizio di motivazione e di istruttoria del provvedimento amministrativo impugnato, per l’ampia interlocuzione con l’ente e l’approfondito esame delle ragioni della parte in sede procedimentale.
Il T.s.a.p. ha ritenuto, invece, il Consorzio non legittimato a proporre le altre censure, in quanto il provvedimento nell’assunto del ricorrente dispone un diverso deflusso delle acque di colatura, potrebbe essere impugnato solo dai soggetti che di esse avrebbero in ipotesi beneficiato.
Infine, ha ritenuto estranea alla giurisdizione amministrativa la questione dedotta con il quinto motivo, che lamentava la violazione dell’articolo 832 c.c., concernendo esso diritti all’indennizzo od al risarcimento del danno, a quella estranei.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Consorzio, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memoria. Si difende con controricorso la Citta’ Metropolitana di Milano.

Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 913 c.c. e della L. n. 241 del 1990, articoli 3 e 6, per non avere la sentenza impugnata accolto il motivo, con il quale ivi si censurava il convincimento della P.A. che le acque, prelevate ad opera dell’Azienda (OMISSIS) s.s. in forza della concessione, fossero “acque di colatura”, tali da poter essere oggetto della concessione di piccola derivazione stessa. Infatti, alla stregua del provvedimento amministrativo impugnato, le acque colatizie sono distolte dalla loro naturale funzione a favore del fondo inferiore, e sono artificialmente convogliate, attraverso la rete consortile, verso terreni significativamente distanti, senza nessun rapporto di collegamento naturale o funzionale con il fondo inferiore, onde si sarebbe dovuto motivare le ragioni oggettive per derogare ai criteri di utilizzo stabiliti per legge con l’articolo 913 c.c..
L’articolo 913 c.c., prevede un obbligo gravante sul fondo superiore, che non puo’ rendere piu’ gravoso lo scolo naturale verso il fondo inferiore ed un obbligo di questo di non impedirlo, con riguardo alle “acque di colatura”, che sono quelle soggette a scolo naturale senza opera dell’uomo: la sentenza impugnata ha negato che la norma ponga a carico del fondo superiore l’obbligo di far defluire le acque verso il fondo inferiore, ma il provvedimento che emesso dalla Citta’ Metropolitana di Milano non viola l’articolo 913 c.c. per avere disatteso un tale obbligo del fondo superiore, ma per essersi posto in contrasto con la nozione di “acqua di colatura”, prevista dalla norma.
Le acque prelevate dal cavo Rile ad opera dall’Azienda (OMISSIS) s.s., infatti, non sono “acque di colatura”, perche’ provengono da fondi distanti, e quindi la Citta’ Metropolitana di Milano ha concesso in verita’ all’azienda acqua viva, proveniente dai canali gestiti dal Consorzio, per le quali esso e’ gia’ titolare di concessione di grande derivazione e l’azienda era gia’ beneficiaria di una prenotazione irrigua: ne deriva che il provvedimento amministrativo avrebbe dovuto giustificare i diversi criteri, definitorio e di utilizzo, adottati rispetto a quelli previsti dall’articolo 913 c.c., in ossequio alle regole sul procedimento amministrativo, di cui alla L. n. 241 del 1990, articoli 3 e 6, che pongono obblighi di motivazione e di istruttoria.
1.2. – Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 24 Cost., articolo 862 c.c., Regio Decreto n. 1775 del 1933, articolo 58, Regio Decreto n. 215 del 1933, articoli 54 e 59, Legge Regionale Lombardia n. 31 del 2008, articoli 76, 77, 80, 81 e 85 oltre che dello statuto del Consorzio, per avere il T.s.a.p. dichiarato inammissibili quattro motivi di ricorso, ritenendo il Consorzio carente di legittimazione attiva ed affermando che solo i soggetti, i quali in mancanza di concessione avrebbero fruito delle acque, sarebbero stati legittimati a formulare tali doglianze.
Al contrario, il Consorzio e’ formato tra i proprietari ed i conduttori agrari dei fondi del comprensorio associati, e’ ente pubblico economico a carattere associativo ed ha il compito di garantire la manutenzione e la gestione dei canali, il cui utilizzo irriguo e’ disciplinato dalle concessioni dal medesimo disposte, come emerge anche dallo statuto. Non poteva, dunque, negarsi interesse e legittimazione del Consorzio a tutela delle sue funzioni istituzionali: avendo il ricorrente, con tali motivi, dedotta l’incompetenza della Citta’ Metropolitana a provvedere, l’esistenza di vizi circa i possibili titolari delle concessioni irrigue, la mancanza dei requisiti e la violazione dei diritti procedimentali e di accesso agli atti, in capo al Consorzio.

Obbligo dei proprietari del fondo inferiore e di quello superiore di non alterare la configurazione naturale del terreno

1.3. – Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione del Regio Decreto n. 1775 del 1933, articoli 140 e 143, avendo il T.s.a.p. ritenuto inammissibile il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 832 c.c. per difetto di giurisdizione, quando, tuttavia, esso era si’ richiamato in rubrica, ma in relazione alla violazione del Regio Decreto n. 899 del 1937, articolo 10, quindi per dedurre che la Citta’ Metropolitana non potesse disporre dell’acqua concessa; ne’ era stato affatto chiesto un risarcimento del danno o un indennizzo per lesione di diritti, come invece pretende la sentenza impugnata, essendosi limitata la ricorrente a domandare l’annullamento del Decreto prot. n. 149819 del 2018.
1.4. – Con il quarto motivo, deduce l’omessa pronuncia, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., per non essersi pronunciato il T.s.a.p. sui motivi del ricorso ritenuti inammissibili.
2.1. – Il primo motivo e’ fondato.
2.1.1. – Il T.s.a.p., dopo aver riportato le ragioni delle parti, ha, da un lato, ritenuto che la controversia attenga ad “acque di colatura”, come sarebbe dimostrato dallo stesso riferimento alla violazione dell’articolo 913 c.c. ad opera del Consorzio, norma non violata, in quanto nessun obbligo di colatura nel fondo inferiore essa pone; dall’altro lato, ha escluso il vizio di difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento amministrativo impugnato, perche’ vi fu la richiesta di parere del Consorzio ed un’ampia interlocuzione con lo stesso, con approfondito esame delle sue ragioni.
2.1.2. – La ricorrente, nel motivo in esame, non ripropone il giudizio sul fatto, ma censura la possibilita’ di ricondurre alla nozione di acque di scolo, naturalmente provenienti dal fondo superiore, quelle oggetto della concessione de qua; scopo di tale impostazione e’ di reputare estraneo alle competenze della P.A. che ha provveduto il disporre della concessione delle acque per cui e’ causa. Si tratta di giudizio di diritto, in ordine al quale le censure proposte meritano accoglimento.
Va su’bito rilevato che gli interessi in gioco si pongono, nella vicenda di specie, su piani diversi da quelli contemplati nell’articolo 913 c.c.: dove la posizione ritenuta bisognevole di tutela e’ quella del fondo servente e che riceve la scolatura, laddove, nel caso in esame, l’interesse e’ quello contrario alla fruizione delle acque provenienti dai fondi superiori.
2.1.3. – L’esegesi dell’articolo 913 c.c., negli anni compiuta da questa Corte, ne ha chiarito i limiti di applicazione.
In materia di acque, l’articolo 913 c.c., che regola i rapporti di vicinato nella proprieta’ fondiaria, pone una limitazione legale della proprieta’ delle acque piovane ed irrigue, che, a partire dal fondo superiore, si riversano all’interno di quello inferiore: quest’ultimo e’ soggetto a ricevere le acque che dal fondo piu’ elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo, e non puo’ impedire questo scolo, anche se il proprietario del fondo superiore non puo’ renderlo piu’ gravoso. L’articolo 913 c.c. prevede dunque una situazione giuridica passiva di soggezione da parte del proprietario del fondo inferiore nel ricevere le acque di scolo provenienti dal fondo superiore, da qualificarsi sul piano giuridico come limitazione legale del diritto di proprieta’ (Cass. 20 novembre 2019, n. 30239). La disciplina dello scolo delle acque da’ luogo, tanto rispetto al proprietario del fondo inferiore che rispetto a quello del fondo superiore, ad un limite legale del rispettivo diritto di utilizzazione, vietando, sia all’uno che all’altro, le alterazioni non connesse ad opere di sistemazione agraria, che abbiano per effetto di rendere piu’ gravoso ovvero di ostacolare il naturale deflusso delle acque a valle, donde la sussistenza, a carico di entrambi, di un obbligo di non facere strumentale a detto scopo (Cass. 15 giugno 2011, n. 13097; Cass. 14 novembre 2001 n. 14179). Pertanto, l’articolo 913 c.c. pone a carico dei proprietari, sia del fondo inferiore che superiore, l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, vietando peraltro non tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo piu’ gravosa la condizione dell’uno o dell’altro fondo (Cass. 20 novembre 2019, n. 30239; Cass. 11 aprile 2016, n. 7046; Cass. 28 settembre 1994, n. 7895; Cass. 26 novembre 1986, n. 6976).
Nel prevedere che il fondo inferiore sia soggetto a ricevere le acque che dal fondo piu’ elevato “scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo”, la norma allude, dunque, all’opera del proprietario del fondo superiore, la quale possa costituire o aggravare la servitu’ naturale di scolo (Cass. 9 giugno 2020, n. 10948, non mass.; v. pure cenni in Cass. 26 maggio 2020, n. 9722, non mass.; Cass. 22 aprile 1986, n. 2831), proprio a tutela, come sopra si e’ detto, del fondo servente a non ricevere e non dover smaltire le acque, oltre la normale tollerabilita’ richiesta al proprietario del fondo sottostante ex articolo 913 c.c..
Dunque, l’articolo 913 c.c. postula il mantenimento della soggezione naturale del fondo inferiore nei riguardi di quello superiore, quanto al deflusso delle acque.
Ne deriva che, ove vi sia una canalizzazione, e non un naturale stato delle cose ed un naturale deflusso, l’articolo 913 c.c. e’ fuori gioco, non trattandosi piu’ di acque di colatura, nel senso presupposto dalla norma. Cio’ in quanto l’articolo 913 c.c. trova applicazione proprio in considerazione della configurazione naturale dei luoghi, appunto imponendo che le opere di manutenzione della proprieta’, in ipotesi di fondi posti a dislivello, abbiano la finalita’ di assecondare il normale flusso delle acque. La norma, in definitiva, si riferisce esclusivamente allo scolo naturale delle acque e non a quello provocato dall’uomo con la realizzazione di una rete irrigua apposita.
2.1.4. – Orbene, la sentenza impugnata e le parti del giudizio riportano la circostanza che le acque, nel caso di specie, derivano da fondi posti a monte del podere della societa’ concessionaria mediante opere di convogliamento e, quindi, non dal fondo superiore in senso proprio.
La questione, pertanto, dalla ricorrente sottoposta innanzi al T.s.a.p., e riproposta in questa sede, non era che non sussista, in generale, un obbligo, a carico del fondo superiore, di lasciar sempre defluire le acque nel fondo inferiore, affermazione estranea a quanto il Consorzio sosteneva. La questione di diritto, invece, e’ che, una volta convogliate le acque e palesatosi l’interesse di terzi all’utilizzo di esse, non e’ piu’ integrata la fattispecie dell’articolo 913 c.c. e la natura delle acque che esso presuppone.
A questo riguardo, il motivo e’ fondato, perche’ il T.s.a.p. non ha spiegato la ragione della ritenuta applicazione dell’articolo 913 c.c., con la connessa competenza a disporre dell’uso delle acque de quibus, pur non provenienti naturalmente dalla scolatura del fondo superiore.
3. – Il secondo motivo e’ fondato.
3.1. – Gia’ l’articolo 657 c.c., del 1865 disponeva che “coloro che hanno interesse comune nella derivazione e nell’uso dell’acqua, o nella bonifica o nel prosciugamento de’ terreni, possono riunirsi in consorzio al fine di provvedere all’esercizio, alla conservazione ed alla difesa dei loro diritti”.
Per il Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, Nuove norme per la bonifica integrale – vera lex generalis sulla bonifica che, peraltro, riprendeva, coordinandoli, i testi normativi precedenti e le cui disposizioni furono in parte trasfuse negli articoli 857 e ss. c.c. all’esecuzione delle opere di competenza privata provvedono i proprietari, direttamente o attraverso il consorzio, tenuto ad assumerla (articolo 41, comma 1), nonche’ a sostituirsi ai proprietari inadempienti (articolo 42, comma 1). In ogni caso i proprietari sono tenuti a contribuire alle spese di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica, in base ad un riparto effettuato di norma dai consorzi, in ragione dei benefici conseguiti (articolo 11), configurandosi i contributi come oneri reali sui fondi (articolo 21), e dal punto di vista costituzionale come prestazioni patrimoniali imposte in base alla legge (v. Corte Cost., sent. 3 maggio 1963, n. 55).
In seguito, si assiste dalla costituzionalizzazione dell’istituto pre-costituzionale dei consorzi di bonifica, ricondotto agli articolo 42 Cost., comma 2, e articolo 44 Cost..
Da allora, una serie di disposizioni hanno arricchito le funzioni dei consorzi di bonifica.
Nel codice civile, dispone l’articolo 862 che i consorzi di bonifica, i quali si instaurano tra i “proprietari interessati”, provvedono alla “esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica” ed ad essi “possono essere anche affidati l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle altre opere d’interesse comune a piu’ fondi o d’interesse particolare a uno di essi”. I consorzi sono, ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, persone giuridiche pubbliche.
Dal suo canto, l’articolo 860 c.c. prevede che i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio siano obbligati a contribuire alla spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere, in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica.
La L. 18 maggio 1989, n. 183 configuro’ gli scopi ilei consorzi di bonifica con riguardo alla difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, di tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi.
La L. 5 gennaio 1994, n. 36, articolo 27, Disposizioni in materia di risorse idriche, stabili’ che “i Consorzi di bonifica, nell’ambito delle competenze definite dalla legge, hanno facolta’ di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica”, nonche’ la facolta’ di “utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive”.
Entrambe le leggi sono state abrogate dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale.
Il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 53, prevede, al comma 1, le finalita’ della tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione, ed il comma 3 che i Consorzi di bonifica concorrono a tali finalita’ ed attivita’. Il concetto e’ ribadito dall’articolo 62 del decreto legislativo, il quale del pari indica i consorzi di bonifica tra gli enti che “partecipano all’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo”.
In materia di competenze, l’articolo 75, comma 9, stabilisce, inoltre, che i consorzi di bonifica, anche mediante appositi accordi di programma con le competenti autorita’, “concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e della filodepurazione”.
L’articolo 166 ha poi regolato i compiti dei Consorzi di bonifica in ordine all’utilizzazione delle acque irrigue e di bonifica, stabilendo che essi hanno la facolta’ di “realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorita’ corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facolta’ di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive”.
3.2. – Il legislatore, dunque, ha progressivamente esteso le attribuzioni dei consorzi, assegnando loro funzioni, sia in tema di governo del territorio, che di gestione delle risorse idriche con prevalente finalita’ agricola.
I consorzi sono, anzitutto, soggetti distinti rispetto ai proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio di bonifica, dotati di autonomia patrimoniale ed autonomia organizzativa, mediante i propri organi, cui partecipano, direttamente o indirettamente, i consorziati.
Sono ricondotti alla categoria degli “enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza regionale”, quali “enti amministrativi dipendenti dalla regione” (Corte Cost. sent. 19 ottobre 2018, n. 188) o quali enti pubblici economici, di rilevanza locale (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1548); dunque, non sono “enti locali”, difettando di caratteristiche come la territorialita’ e la rappresentativita’ diretta o indiretta degli interessi comunitari (Corte Cost. 4 aprile 1990, n. 164; Corte Cost. 24 luglio 1998, n. 326).
Essi perseguono fini che vanno oltre quelli dei singoli proprietari, in quanto rivestono un interesse pubblico: come ha ritenuto il giudice delle leggi (Corte Cost. 24 luglio 1998, n. 326, cit.), benche’ qualificati dalla legislazione di base, di cui al Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, articolo 55 ed all’articolo 862 c.c., come persone giuridiche pubbliche e assoggettati ai poteri di conformazione, vigilanza e tutela dell’autorita’ amministrativa – in una sorta di assorbimento nell’apparato pubblico di soggetti collettivi, proprio del clima giuridico dell’epoca di regolamentazione – i consorzi di bonifica hanno una duplice funzione: da un lato, sono espressione, seppur resa legislativamente obbligatoria, degli interessi dei proprietari dei fondi coinvolti nella bonifica e sono pertanto amministrati da organi espressi dalla collettivita’ dei titolari (a volte integrati, in virtu’ di leggi regionali, da rappresentanti di regione e degli enti territoriali); dall’altro lato, sono soggetti pubblici titolari o partecipi di funzioni amministrative, in forza di legge o di concessione dell’autorita’ regionale.
Costituisce indirizzo consolidato di legittimita’ che i consorzi di bonifica abbiano la natura di enti pubblici economici e non funzionali (Cass., sez. un., 10 maggio 1984, n. 2847; piu’ di recente, Cass., sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1547; nonche’, per le sezioni semplici, Cass. 20 luglio 2022, n. 22815; Cass. 4 marzo 2021, n. 6086; Cass. 15 ottobre 2019, n. 26038; Cass. 5 dicembre 2017, n. 29061; Cass. 10 ottobre 2016, n. 20332; Cass. 17 luglio 2012, n. 12242). Inoltre, i consorzi di bonifica, pur avendo natura pubblicistica quanto a costituzione ed organizzazione, possono operare con caratteri di economicita’ ed imprenditorialita’, conseguendone ricavi idonei, almeno tendenzialmente, a coprire i costi e le eventuali perdite (Cass. 13 luglio 2000, n. 9300; Cass., sez. un., 11 gennaio 1997, n. 191 e 2 aprile 1996, n. 3036).
E’ stato, altresi’, precisato che il perimetro di contribuenza, ai sensi del Regio Decreto n. 215 del 1933, articoli 3 e 10, delimita la parte del comprensorio o perimetro di intervento del consorzio, sulla quale le opere consortili sono idonee a produrre effettivi vantaggi, donde la presunzione di sussistenza del beneficio, per gli immobili posti nel perimetro stesso (Cass. 18 settembre 2019, n. 23246, non mass.; Cass. 5 ottobre 2018, n. 24644). La Corte costituzionale (Corte Cost. 20/12/2022 Cost. 19 ottobre 2018, n. 188), infatti, ha preso atto della configurazione, da parte della S.C., del contributo consortile di bonifica come avente natura tributaria, conformemente alla sua struttura non sinallagmatica e quale contributo di scopo.
In sostanza, la legislazione si caratterizza per la concorrenza tra autonomia privata e caratteri pubblicistici dei consorzi.
La qualita’ di consorziato va riconosciuta a tutti i proprietari degli immobili, quali beneficiari dell’attivita’ istituzionale consortile e chiamati percio’ a contribuire, secondo un principio di elevato coordinamento tra l’interesse pubblico e l’interesse privato. L’intreccio di pubblico e privato che i consorzi esprimono, come rilevato dal giudice delle leggi, sussiste sin dall’originaria normativa del 1933, secondo una struttura peculiare del consorzio di bonifica: associazione di proprietari, ma con un sotteso interesse pubblicistico.
Ne’ la loro natura pubblica contraddice la sottostante proprieta’ privata e la connessa liberta’ di iniziativa privata, proprio per la struttura tipica degli enti pubblici associativi, avendo l’articolo 44 Cost. tenuto presenti i canoni fondamentali del Regio Decreto n. 215 del 1933: il consorzio si pone in posizione intermedia tra lo Stato e i singoli proprietari, volto a coordinare al meglio le esigenze della collettivita’ con quelle dei singoli proprietari.
Pertanto, a tali consorzi risultano affidate funzioni che superano la nozione di “bonifica”, in quanto le attivita’ di bonifica, oltre che allo sviluppo economico della produzione agricola, attengono alla difesa del suolo e dell’ambiente, nonche’ alla tutela, alla valorizzazione ed al corretto uso delle risorse idriche. Le funzioni concernenti la “bonifica”, dunque, ricomprendono il consolidamento e alla trasformazione del territorio, a fini di difesa e valorizzazione dello stesso e, in particolare, dell’uso sostenibile delle risorse idriche ed il risparmio idrico. Emerge progressivamente in tal modo, come in dottrina non si e’ mancato di rilevare una concezione della bonifica depurata dalle finalita’ anacronistiche (igienico-sanitarie, demografiche) e che, invece, si concentra, accanto alle esigenze fondiarie irrigue, in senso piu’ lato sulla protezione dell’ambiente e del suolo agrario.
Nel contempo, i principi basilari in materia di bonifica, desumibili sin dal Regio Decreto n. 215 del 1933, consistono nell’appartenenza diretta ai proprietari dell’obbligo di bonificare i loro terreni, nella possibilita’ e talora obbligatorieta’ di costituzione anche d’ufficio dei consorzi di proprietari, i quali sono dotati di personalita’ giuridica pubblica, autonomia di bilancio, proprio personale e finanziamento mediante il meccanismo delle contribuzioni da parte dei proprietari. Come si e’ detto, essi sono concepiti quali enti di autogoverno degli agricoltori interessati.
I consorzi di bonifica, quali soggetti rappresentativi degli utenti consorziati, vanno dunque ricondotti all’articolo 18 Cost., in quanto sono le istituzioni a struttura associativa piu’ vicine a quegli stessi utenti, che li governano e che partecipano all’amministrazione, alla gestione ed alla contribuzione economica. Sono, per tale profilo, soggetti collettivi a struttura associativa soggettiva e base privata, espressione degli interessi dei proprietari, che si auto-amministrano grazie agli organi promananti dai proprietari stessi.
3.3. – Dal quadro normativo di riferimento, come interpretato dalla giurisprudenza, si trae, dunque, che i consorzi di bonifica sono legittimati a far valere la tutela degli interessi di cui sono istituzionalmente portatori, come sopra ricordati, in quanto enti esponenziali dei proprietari, autofinanziati ed autogovernati.
Il carattere associativo dei consorzi di bonifica, costituiti con la partecipazione di tutti i soggetti interessati alla tutela ed all’uso delle risorse di una determinata zona, se, da un lato, comporta i limiti alla potesta’ regionale individuati dal giudice delle leggi, dall’altro lato li qualifica come enti rappresentativi di gruppi omogenei e tale rappresentativita’ comporta una loro posizione qualificata.
Al riguardo, in tema di associazioni, il giudice amministrativo di vertice le reputa portatrici degli interessi rappresentati e legittimate ad esperire le azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunita’ o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimita’, indipendentemente da un’espressa previsione di legge, con la precisazione che in caso di compresenza di interessi collettivi in capo all’ente associativo esponenziale e di interessi individuali concorrenti, autonomamente azionabili, da parte dei singoli, la legittimazione a ricorrere dell’ente associativo esponenziale va riconosciuta solo ove l’ente faccia valere un interesse proprio, di natura collettiva (Cons. Stato, ad. plen. ord. 20 febbraio 2020, n. 6).
Come ivi da ultimo puntualizzato, se l’interesse legittimo e’ una situazione giuridica soggettiva, dunque con un soggetto che ne sia titolare, situazione rispetto alla quale deve essere identificabile un soggetto al quale vada riconosciuta la titolarita’, legittimazione ed area di incidenza dell’atto impugnabile sono ambiti sovrapponibili. La facolta’ di impugnare un atto amministrativo reputato illegittimo si lega all’esercizio non corretto del potere amministrativo, il quale abbia inciso su interessi sostanziali meritevoli di protezione, secondo l’apprezzamento che ne fa il giudice amministrativo sulla base dell’ordinamento positivo. La cura dell’interesse pubblico, cui l’attribuzione del potere e’ strumentale, da un lato fonda il potere autoritativo, e, dall’altro lato, vale anche a dare rilievo a posizioni giuridiche dell’ente stesso, le quali eccedano la sfera del singolo.
3.4. – Nel caso di specie, il T.s.a.p. ha ritenuto legittimati all’impugnativa dell’atto amministrativo di concessione di derivazione, in thesi illegittimo, soltanto i proprietari dei fondi che avrebbero beneficiato dell’acqua, oggetto della concessione stessa, senza considerare che, tuttavia, anche il Consorzio ricorrente, costituito tra i proprietari e conduttori agrari dei fondi del comprensorio, assicura la gestione dei canali e concede gli utilizzi.
Il T.s.a.p. ha negato il titolo di legittimazione, in forza del quale il Consorzio ha agito a tutela delle situazioni rientranti nelle proprie competenze di attivita’, sebbene esso sia una persona giuridica pubblica al servizio dei consorziati, la cui attivita’ deve seguire i canoni della efficacia, trasparenza ed economicita’, in relazione alla attribuzione delle funzioni istituzionali di gestione del comprensorio.
Onde non avrebbe potuto il medesimo – impregiudicata la fondatezza dei motivi e dell’azione proposta – essere ritenuto privo della stessa legittimazione ad impugnare, in quanto gli interessi fatti valere rientravano nell’ambito dei poteri e compiti istituzionalmente svolti, come risultanti dalle norme invocate.
Cio’, tanto piu’ perche’, tra i vizi che i motivi miravano a far valere, vi erano anche vizi tipicamente procedimentali, quali l’incompetenza e la violazione del diritto all’accesso agli atti in capo al Consorzio stesso.
4. – Il terzo motivo e’ fondato.
Dagli atti del giudizio, infatti, non emerge la proposizione di una domanda afferente diritti soggettivi, ma il mero richiamo alla norma sul contenuto del diritto di proprieta’ nell’ambito del motivo, inidonea di per se’ a radicare un difetto di giurisdizione.
Al contrario, come in ossequio all’articolo 366 c.p.c. risulta, l’unica domanda proposta con il ricorso al giudice era volta all’annullamento del provvedimento della p.a., ritenuto illegittimo.
5. – Il quarto motivo e’ assorbito.
6. – In conclusione, in accoglimento del primo, del secondo e del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione.
Al medesimo si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese di lite del giudizio di legittimita’, innanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *