Occupazione senza titolo costituisce un illecito permanente

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 19 febbraio 2020, n. 1252.

La massima estrapolata:

L’occupazione senza titolo costituisce un illecito permanente, al quale consegue l’obbligo del risarcimento del danno per la perdita di possesso e l’obbligo di far cessare l’illegittima compromissione del diritto di proprietà, tutelabile mediante un’azione imprescrittibile. L’irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato costituisce infatti illecito di natura permanente ai sensi dell’art. 2043 c.c., che perdura fino alla rimozione del manufatto ed alla restituzione del bene o fino alla emanazione del provvedimento di acquisizione, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria decorre solo dal momento di cessazione dell’illecito.

Sentenza 19 febbraio 2020, n. 1252

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 3696 del 2015, proposto dalla società
Mi. Se. – Mi. Ta. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Al. Ba., Ga. Di Pa. e An. Pa. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il signor Ca. Or., rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Un. e Ug. Lu. Sa. De Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
la società An. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sezione seconda, n. 391 del 4 febbraio 2015, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione d’urgenza di terreni siti in prossimità del raccordo autostradale Pavia – Bereguardo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ca. Or. e di An. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per la società appellante, l’avvocato Ga. Di Pa., per l’appellato, l’avvocato Ug. Lu. Sa. De Lu. e, per l’An., l’avvocato dello Stato Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il signor Ca. Or., proprietario di alcuni terreni occupati e trasformati dall’An. per la realizzazione del raccordo autostradale Pavia-Bereguardo, ha impugnato dinanzi al Tar per la Lombardia, sede di Milano, gli atti della procedura espropriativa, in quanto la stessa non si sarebbe conclusa con l’emissione dei decreti d’esproprio, chiedendo anche il risarcimento del danno.
2. In particolare, dopo l’approvazione del progetto esecutivo volto alla realizzazione del raccordo autostradale, avvenuto con decreto dell’An. n. 8251 del 18 dicembre 1964 (cui è riconducibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 della legge n. 2359/1865 e 11 della legge n. 729/1961, la dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza dell’opera), e la successiva occupazione delle aree, non sarebbe seguito alcun provvedimento di esproprio finalizzato a trasferire la proprietà dei fondi occupati.
3. Nel corso del giudizio di primo grado, la società Mi. Se., odierna appellante, ha chiesto di essere estromessa per difetto di legittimazione passiva, evidenziando di aver acquisito la gestione del tronco autostradale dopo la realizzazione delle opere. In subordine, la società ha prospettato l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria.
4. Il Tar di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha innanzitutto ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della società Mi. Se..
Lo stesso Tribunale ha infatti rilevato ” dalla data del 01/01/1993 il casello di Pavia Nord (Bereguardo) è stato trasferito in gestione alla società Mi. Se., che ne ha assunto la manutenzione, ed al quale deve riconoscersi la qualifica di possessore, anche se non è proprietario, perché dagli atti del giudizio non risulta che il procedimento di trasferimento della proprietà si sia concluso” ed ancora, “essendo quindi l’occupazione illecita del fondo la condotta che fonda il diritto al risarcimento del danno, deve ritenersi che soggetto passivo dell’obbligo risarcitorio sia il possessore dell’area, in quanto il suo possesso impedisce al proprietario dell’area di disporne liberamente”.
4.1. Il Tar ha poi ritenuto infondata anche l’eccezione di prescrizione, in quanto il ricorrente, chiedendo il risarcimento dei danni, ha agito a tutela del diritto di proprietà mediante un’azione di natura petitoria, concludendo, infine, per il riconoscimento del danno subito dall’illegittima occupazione, non essendo stato emesso – dopo la stessa e la materiale trasformazione delle aree – un formale provvedimento di esproprio.
5. Contro la suddetta sentenza ha quindi proposto appello la società Mi. Se. sulla base dei seguenti motivi di censura.
5.1. Il relazione al difetto di legittimazione passiva.
5.1.1. Con riferimento alla tematica del difetto di legittimazione passiva, disatteso in primo grado, la società appellante ne ribadisce invece la fondatezza. L’attività di mera manutenzione del raccordo non sarebbe valsa a qualificarla come soggetto possessore. La stessa società è infatti divenuta concessionaria solo nel 1993, quasi trent’anni dopo l’apprensione dell’area da parte di An., tutt’ora proprietaria del raccordo autostradale e rispetto al quale tale ente ha mantenuto ogni funzione autorizzativa e di controllo.
5.1.2. Evidenzia, in particolare, l’appellante che la qualifica di possessore spetta a colui che eserciti un potere di fatto sulla cosa che si manifesti in attività corrispondenti all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, tale non potendosi ritenere al contrario il manutentore, che utilizza il bene nella consapevolezza dell’altrui proprietà .
5.1.3. La società ricorrente richiama, infine, la corrispondenza intercorsa con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con l’An., anche negli anni successivi alla proposizione del ricorso, dalla quale emerge che la ‘titolarità ‘ del raccordo, in quanto autostrada, è rimasta in capo all’An. (pertanto unico soggetto dotato dei poteri pubblicistici idonei a concludere la procedura espropriativa).
5.2. Sulla prescrizione del diritto risarcitorio per inapplicabilità del principio enunciato nella sentenza impugnata. Violazione dell’art. 6 della CEDU.
5.2.1. L’occupazione è stata qualificata dal Tar come illecito permanente, il che comporterebbe l’imprescrittibilità dell’azione. Secondo l’appellante, il superamento della c.d. occupazione acquisitiva – che comporta la configurabilità della permanenza dell’illecito – in quanto frutto di un mutamento di giurisprudenza intervenuto successivamente, non poteva incidere sull’affidamento in ordine al decorso della prescrizione (in sostanza, si tratterebbe di un caso di overruling, con conseguente limite all’applicazione temporale della nuova regola).
5.3. Sulla natura di illecito permanente della condotta dannosa imputata alle Amministrazioni resistenti: error in iudicando.
5.3.1. Il Tar, ai fini della valutazione della tempestività dell’azione, avrebbe dovuto valutare se la permanenza dell’illecito non fosse venuta a cessare in epoca antecedente alla proposizione dell’azione risarcitoria, soprattutto in relazione all’intervenuta usucapione della proprietà .
5.4. Sul profilo risarcitorio: error in procedendo per mancata richiesta tra chiesto e pronunciato.
5.4.1. Il Tar afferma che il risarcimento deve operare in relazione all’illegittima occupazione con riferimento al periodo di mancato godimento del bene e fino alla sua restituzione o all’acquisizione dello stesso ai sensi dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
5.4.2. Secondo parte appellante, la decisione del Tar sarebbe andata ultra petita, poiché il ricorrente aveva rinunciato al diritto di proprietà, chiedendo invece il risarcimento del danno. In ogni caso la stessa non avrebbe potuto attivare la procedura di cui all’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
5.5. Sulla quantificazione del danno: error in iudicando per violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione agli artt. 2947-2948 n. 4 c.c.
5.5.1. Il Tar non ha considerato la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno, che decorre da singole annualità connesso alla perdita del godimento del bene.
5.6. Sulla pretesa responsabilità solidale della società appallante: error in iudicando.
5.6.1. Contrariamente a quanto affermato dal Tar – che ha ritenuto la ricorrente soggetto possessore dell’area di cui è causa e quindi responsabile in solido – la società Mi. Se. non ha avuto responsabilità alcuna nella condotta che ha determinato l’occupazione illegittima.
5.7. Erroneità della sentenza per difetto di quantificazione della condanna. Violazione del principio del contraddittorio.
5.7.1. Il ricorrente originario non ha indicato elementi idonei a rendere determinata la richiesta risarcitoria. Il Tar non ha ammesso la CTU, seppure richiesta, ed ha condannato in solido tra loro An. e Mi. Se. ad una somma non determinata anche con riferimento al momento iniziale dell’occupazione illegittima.
6. L’An. si è costituita in giudizio il 14 maggio 2015, chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Nel caso di conferma della condanna risarcitoria, l’Azienda ha comunque chiesto di confermare la statuizione sulla legittimazione solidale della società appellante.
L’Azienda ha poi depositato ulteriori documenti e memorie.
7. Il signor Orlandi si è costituito in giudizio il 24 giugno 2016, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato ulteriori scritti difensivi, per ultimo una memoria di replica il 30 ottobre 2019.
8. Anche la società appellante ha depositato ulteriori memorie, per ultimo una replica il 31 ottobre 2019.
9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 21 novembre 2019.
10. L’appello è infondato, salvo che per il profilo relativo all’impossibilità per la società appellante di attivare la procedura di acquisizione delle aree ai sensi dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
10.1. La società Mi. Se. non avrebbe infatti potuto procedere all’acquisizione delle stesse, in quanto è stata incaricata della manutenzione e della gestione del tratto autostradale, per conto dell’An..
E’ ben vero che il concessionario del tratto autostradale è possessore dell’area (con la possibilità di esercitare le azioni previste dal codice civile, nonché i poteri previsti dalle leggi amministrative), ma, ai fini della applicazione dell’art. 42 bis della testo unico sugli espropri, quando il tratto autostradale è stato dapprima occupato sine titulo da ente che ha poi rilasciato ad altri la relativa concessione, come ‘Autorità che utilizzà il bene stesso va considerato l’ente concedente.
Le aree interessate, seppure incontestabilmente trasformate in via definitiva, avrebbero potuto quindi essere oggetto del particolare procedimento di cui al citato art. 42 bis solo ad opera dell’An., società dotata dei relativi poteri autoritativi come ente proprietario.
11. Gli altri motivi di appello non sono fondati.
12. Innanzitutto, la posizione della società appellante non può qualificarsi come mera detenzione delle aree.
Il raccordo autostradale Pavia – Bereguardo è stato realizzato dall’An., che ne ha anche curato il relativo procedimento espropriativo.
Dall’inizio del 1993 la società Mi. Se. ha preso in carico la manutenzione ordinaria del raccordo in quanto collegamento tra l’autostrada A7 alla tangenziale di Pavia, entrambi in concessione della stessa società . Per lo svolgimento di tale adempimento ha, peraltro, imposto, previa autorizzazione di An., un supplemento ai pedaggi alla stazione di Bereguardo.
12.1. La società appellante ha poi sottoscritto una convenzione con An. il 7 dicembre 1999 per la gestione e la manutenzione del tratto autostradale, pur rimanendo An. titolare dei poteri pubblicistici connessi alla proprietà della strada (cfr. nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti prot. 19/11454 del 28 maggio 2019, depositata l’11 ottobre 2019 dalla società appellante).
12.2. In sostanza, la società appellante ha utilizzato il terreno, in una posizione parificabile a quella del possessore, contribuendo causalmente al protrarsi della situazione di occupazione illegittima.
13. Quanto alla prescrizione dell’azione risarcitoria, vanno condivise le conclusioni del Tar in ordine alla circostanza che ormai deve escludersi che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un’opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all’Amministrazione la proprietà delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio (cfr. ex multis, Cons. Stato sez. IV, 21 marzo 2019, n. 1868).
L’occupazione senza titolo costituisce un illecito permanente, al quale consegue l’obbligo del risarcimento del danno per la perdita di possesso e l’obbligo di far cessare l’illegittima compromissione del diritto di proprietà, tutelabile mediante un’azione imprescrittibile.
13.1. L’irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato costituisce infatti illecito di natura permanente ai sensi dell’art. 2043 c.c., che perdura fino alla rimozione del manufatto ed alla restituzione del bene o fino alla emanazione del provvedimento di acquisizione, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria decorre solo dal momento di cessazione dell’illecito (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3195).
13.2. Per il profilo in esame non è poi condivisibile l’invocato affidamento collegato al precedente istituto dell’occupazione acquisitiva.
Nessuna ipotesi di overruling può rinvenirsi nel caso di specie, tenuto conto che tale principio riguarda il mutamento di giurisprudenza, nell’interpretazione di una norma o di un sistema di norme, idoneo a vanificare l’effettività del diritto di azione e di difesa e il carattere, se non proprio repentino, quanto meno inatteso, o comunque privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, quali possono essere quelli di un, sia pur larvato, dibattito dottrinale o di un qualche significativo intervento giurisprudenziale sul tema.
Nella specie, si deve affermare che:
non si possono richiamare i principi sulla portata irretroattiva delle statuizioni oggetto della overruling, poiché una tale tutela può spettare a chi versi in una situazione di legittimo affidamento, ciò che si deve in radice negare quando si possegga consapevolmente un bene altrui senza alcun titolo;
la giurisprudenza della Corte Europa dei diritti dell’uomo – posta a base dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato della disciplina che ha espunto dall’ordinamento l’istituto della occupazione appropriativa in quanto tale o comunque denominata nella prassi – preclude di attribuire un qualsiasi beneficio all’Autorità che occupi senza titolo un bene altrui.
14. Relativamente alla domanda di risarcimento, va poi evidenziato che risulta incontestato che il procedimento espropriativo a suo tempo non si è mai concluso.
14.1. La determinazione del danno, secondo i condivisibili criteri indicati dal Tar, ha pertanto considerato il periodo decorrente dal momento in cui l’occupazione dell’area è divenuta illegittima fino a quello in cui l’Ente concedente dell’autostrada (An.), che utilizza l’area, ne disporrà l’acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001.
14.2. D’altra parte, la quantificazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima, per il periodo intercorrente tra la data dell’occupazione e quella in cui vi è stata l’acquisizione della proprietà da parte dell’Amministrazione, in caso di totale difetto di prova, può essere calcolata, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dal citato art. 42 bis, e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno in tale periodo, oltre rivalutazione e interessi legali (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13 agosto 2019, n. 5700).
15. Né in senso contrario può assumere rilievo quanto dedotto dalla società appellante, che ha sostenuto che il ricorrente in primo grado avrebbe rinunciato al diritto di proprietà nel momento in cui si è attivato per il risarcimento del danno.
15.1. In primo luogo, si deve richiamare la più recente giurisprudenza della Sezione, per la quale:
a) qualora si dovesse ritenere rilevante nell’attuale ordinamento, la ‘rinuncia abdicativà, quale atto unilaterale, la stessa comunque si dovrebbe estrinsecare in una esplicita dichiarazione, basata sulla consapevolezza di essere titolare del bene e sulla mera volontà di dismettere il diritto e di perdere la qualità di proprietario (e non sulla richiesta di una somma di denaro, a titolo risarcitorio, posta in rapporto di sostanziale sinallagmaticità con il trasferimento del diritto dominicale);
b) diversamente, infatti, si introdurrebbe nel sistema la possibilità che, con un atto unilaterale, sia pure sotto forma di azione giudiziale, la parte perverrebbe alla produzione di effetti patrimonialmente rilevanti non solo nella propria sfera giuridica, ma anche nella sfera giuridica dell’Amministrazione, soggetto che, invece, non ha manifestato alcuna volontà volta all’acquisizione del diritto. In sostanza, non sembra che una tale dichiarazione, produttiva dei conseguenti effetti, si possa desumere dalla proposizione di una domanda risarcitoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2019, n. 5391).
In secondo luogo, vanno richiamate le sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 2 e 4 del 2020 (depositate dopo il passaggio in decisione dell’appello in esame, condivise dal Collegio e meramente ricostruttive del quadro giuridico rilevante al momento della proposizione del ricorso di primo grado), per le quali – in considerazione dell’ambito di applicazione dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, della giurisprudenza della CEDU e del principio di legalità – una dichiarazione unilaterale del proprietario non può incidere sul regime giuridico del bene permanentemente occupato sine titulo.
16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto, salvo che per il profilo relativo ai poteri di attivazione dell’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 che, come detto, non può che essere riferito alla competenza dell’An..
Per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata, seppure con parziale diversa motivazione.
17. Le spese del secondo grado di giudizio sono compensate con l’An., mentre seguono la soccombenza in favore dell’appellato nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3696 del 2015, come in epigrafe proposto:
lo accoglie in parte e rileva che l’atto di acquisizione dell’area, ai sensi dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, può essere emanato dall’An.;
lo respinge nella restante parte.
Compensa le spese con la società An. s.p.a.
Condanna la società appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’appellato, nella misura di euro 4000,00 (quattromila/00), oltre agli altri oneri previsti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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