Omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe e nullità della sentenza

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 febbraio 2023| n. 4332.

Omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe e nullità della sentenza

L’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza importa nullità della sentenza stessa soltanto quando le suddette conclusioni non siano state esaminate, di guisa che sia mancata in concreto una decisione sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre quando dalla motivazione risulta che le conclusioni sono state effettivamente esaminate, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di impugnazione di un licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto e dichiarato illegittimo in sede di appello in riforma della statuizione di prime cure, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la decisione gravata in quanto la corte territoriale, nell’omettere la trascrizione nella sentenza delle conclusioni della società datrice ricorrente relative alle sue domande subordinate, formulate anche in via di eccezione riconvenzionale, non aveva reso sulle stesse alcuna pronuncia; ne consegue, osserva il giudice di legittimità, che la sentenza impugnata è pertanto affetta dal vizio di nullità per omessa pronuncia, in difetto del momento decisorio, per essere stato omesso completamente il provvedimento indispensabile per la soluzione delle questioni poste, verificandosi tale ipotesi quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile L, ordinanza 2 novembre 2021, n. 31100; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 3 marzo 2020, n. 5730; Cassazione, sezione civile II, sentenza 4 febbraio 2016, n. 2237; Cassazione, sezione civile I, sentenza 10 marzo 2006, n. 5277; Cassazione, sezione civile I, sentenza 18 febbraio 2005, n. 3388).

Sentenza|13 febbraio 2023| n. 4332. Omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe e nullità della sentenza

Data udienza 10 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Sentenza – Omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe – Nullità della sentenza – Ipotesi in cui le conclusioni non siano state esaminate – Mancanza in concreto di una decisione sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte – Risultanza nella motivazione di conclusioni effettivamente esaminate – Vizio di imperfezione formale – irrilevanza ai fini della validità della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24280/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente tra di loro;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI LECCE- SEZ.DIST. DI TARANTO n. 179/2019, depositata il 30/05/2019, R.G.N. 332/2018;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/01/2023 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato (OMISSIS), per delega verbale dell’avvocato (OMISSIS);
udito l’avvocato (OMISSIS).

FATTO

1. Con sentenza 30 maggio 2019, la Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da (OMISSIS) s.r.l., con lettera 20 agosto 2015, a (OMISSIS) per superamento del periodo di comporto, condannando la societa’ datrice alla reintegra della lavoratrice e alla corresponsione, nei suoi confronti, di un’indennita’ pari a dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto: cosi’ riformando la sentenza di primo grado, che, in esito a rito Fornero, ne aveva invece rigettato l’impugnazione ritenendolo legittimo.
2. Incontestato, per coincidenza delle risultanze delle relazioni del C.t.u. e del C.t.p. della societa’ datrice, il numero dei giorni di assenza (409) della lavoratrice nel triennio 1 ottobre 2012 – 20 agosto 2015, la Corte territoriale ha interpretato, contrariamente al Tribunale, l’articolo 51 del CCNL 31 maggio 2011 per il personale dipendente da imprese di servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi, nel senso di non computabilita’ del periodo di malattia per infortunio sul lavoro (occorso alla dipendente il (OMISSIS) e comportante la protrazione della sua assenza dal (OMISSIS)), indipendentemente dall’accertamento di una responsabilita’ datoriale, cosi’ da non superare il periodo di comporto di dodici mesi.
3. Con atto notificato il 29 luglio 2019, la societa’ ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso.
4. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, inserito da L. Conv. n. 176 del 2020, nel senso del rigetto del ricorso.
5. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c., per i seguenti vizi: a) difetto di indicazione delle conclusioni delle parti, in particolare delle proprie subordinate domande, anche in via di eccezione riconvenzionale, in caso di pronuncia di illegittimita’ del licenziamento, di restituzione delle somme percepite dalla lavoratrice e di detrazione dalle somme riconosciute eventualmente dovute alla lavoratrice dell’aliunde perceptum o comunque di riduzione per concorso di colpa e di omessa pronuncia su di esse; b) motivazione omessa o apparente, non avendo la Corte territoriale illustrato le ragioni di fatto ne’ di diritto alla base della decisione, neppure avendo esplicitato il percorso logico – giuridico per approdarvi, non spiegando in particolare le ragioni di incompatibilita’ dell’obbligo datoriale, previsto dal CCNL, di corresponsione della retribuzione al lavoratore assente per infortunio fino alla guarigione con la sua computabilita’ ai fini del comporto, per il mero richiamo di un precedente arresto di legittimita’, pure in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario di computabilita’ in esso se non cagionato per responsabilita’ datoriale.
2. Esso e’ parzialmente fondato.
3. Non sussiste, in relazione al profilo sub b), vizio di omessa o apparente motivazione (ricorrente qualora sia del tutto mancante, in assenza di indicazione degli elementi da cui il giudice abbia tratto il proprio convincimento ovvero, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante, nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta tuttavia alcun controllo sull’esattezza e la logicita’ del ragionamento decisorio, cosi’ da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 30 giugno 2020, n. 13248).
La Corte territoriale non ha mancato, infatti, di illustrare le ragioni di fatto e di diritto alla base della decisione, ne’ di esplicitare pure il percorso logico – giuridico per approdarvi, avendone dato adeguato conto delle ragioni, congruamente ancorche’ succintamente argomentate (in particolare, dal terzo al quinto capoverso di pg. 2 della sentenza).
3.1. Quanto al profilo sub a), deve essere ribadito il principio, secondo cui l’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza ne determina la nullita’ solo quando tali conclusioni non siano state esaminate, cosi’ che sia mancata in concreto una decisione su domande ed eccezioni ritualmente proposte; qualora, invece, il loro esame risulti dalla motivazione, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validita’ della sentenza (Cass. 10 marzo 2006, n. 5277; Cass. 4 febbraio 2016, n. 2237); sicche’, la sentenza di appello, la quale riporti solo parzialmente le conclusioni delle parti e che si limiti a confermare, in tutto o in parte, la sentenza di primo grado impugnata, senza motivare il rigetto delle conclusioni regolarmente rese dalle parti (ma non trascritte nell’epigrafe della sentenza stessa), e’ affetta da vizio di motivazione, ma non di nullita’ per omessa pronuncia su alcune delle domande: vizio che non investe tutte le altre conclusioni delle parti, principali e subordinate, esaminate e decise dal giudice d’appello (Cass. 1 luglio 2004, n. 12098).
3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha omesso di trascrivere nella sentenza le conclusioni della societa’ datrice, relative alle sue domande subordinate, anche in via di eccezione riconvenzionale (in caso di pronuncia di illegittimita’ del licenziamento, di restituzione delle somme percepite dalla lavoratrice pari a Euro 4.050,54 netti e di detrazione dalle somme riconosciute eventualmente dovute alla lavoratrice dell’aliunde perceptum o comunque di riduzione per concorso di colpa), debitamente trascritte sub nota 2) di pg. 9 del ricorso e sulle quali la Corte territoriale neppure ha reso alcuna pronuncia. Essa e’ pertanto affetta dal vizio di nullita’ per omessa pronuncia (correttamente denunciato, per il riferimento univoco alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione oltre che all’esatta rubrica del motivo, pur non essendo indispensabile l’esplicita menzione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: Cass. s.u. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862), in difetto del momento decisorio, per essere stato omesso completamente il provvedimento indispensabile per la soluzione delle questioni poste (nel caso di specie, dalle domande subordinate): verificandosi tale ipotesi quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti (Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; Cass. 3 marzo 2020, n. 5730; Cass. 2 novembre 2021, n. 31100).

Omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe e nullità della sentenza

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 61 e 191 c.p.c., per avere la Corte territoriale demandato al C.t.u., con il quesito conferito relativo anche alla valutazione giuridica delle assenze della lavoratrice ai sensi del CCNL di settore, la decisione della causa.
5. Esso e’ infondato.
6. Giova, in linea generale, premettere che il
consulente tecnico d’ufficio puo’, ai sensi dell’articolo 194 c.p.c., comma 1, assumere, anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori necessari per rispondere ai quesiti, ma non anche accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, sicche’ gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, percio’, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario (Cass. 10 marzo 2015, n. 4729). Inoltre, in virtu’ del principio dispositivo e del sistema di preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile, l’ausiliare del giudice non puo’, nello svolgimento delle proprie attivita’ e nemmeno per ordine del giudice o acquiescenza delle parti, indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle stesse, ne’ acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte o procurarsi, dalle parti o da terzi, documenti che forniscano tale prova; potendo detta regola essere derogata soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicita’ delle prove gia’ prodotte dalle parti (Cass. 6 dicembre 2019, n. 31886). Nella valutazione della consulenza tecnica d’ufficio, espletata in materia che richieda elevate cognizioni specifiche, e’ poi rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, recepire le argomentazioni dell’esperto nominato, assistite da presunzione d’imparzialita’, astenendosi da considerazioni personali sulle contrapposte argomentazioni del consulente di parte, meno attendibili perche’ influenzate dall’esigenza di sostenere le ragioni del preponente (Cass. 18 dicembre 2012, n. 23362).
In ogni caso, la consulenza tecnica d’ufficio e’ funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto, che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico (Cass. 13 gennaio 2021, n. 434): sicche’, i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti, ne’ di valutazioni in ordine alla qualificazione giuridica di fatti o alla conformita’ al diritto di comportamenti; e neppure, qualora una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata, di essa si deve tenere conto, salvi un suo critico vaglio e la sottoposizione al contraddittorio processuale delle parti. Pertanto il giudice, qualora erroneamente affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non puo’ risolvere la controversia in base ad un richiamo alle sue conclusioni, ma puo’ condividerle soltanto formulando una propria autonoma motivazione, basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dando sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti che siano sufficientemente specifiche (Cass. 22 gennaio 2016, n. 1186, in motivazione sub p.to 3.3, con richiamo anche di precedenti).
6.1. Nel caso di specie, la doglianza della ricorrente, di conferimento al C.t.u., con il quesito formulato relativo anche alla valutazione giuridica delle assenze della lavoratrice ai sensi del CCNL di settore, della decisione della causa, e’ smentita dall’acquisizione, da parte della Corte territoriale, delle conclusioni del C.t.u. esclusivamente in merito al complessivo numero di assenze della lavoratrice, pure coincidente con quello accertato dal consulente tecnico della medesima (cosi’ al terz’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza). Essa ha poi proceduto alla loro valutazione giuridica, sulla base dell’autonoma interpretazione dell’articolo 51 CCNL applicato (in particolare, dal terzo al sesto capoverso di pg. 4 della sentenza), oggetto di altro motivo di censura.

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7. Con il terzo motivo la ricorrente deduce nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e segg., articolo 2110 c.c., in relazione all’interpretazione dell’articolo 51 CCNL per il personale dipendente da imprese di servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi, per avere la Corte territoriale ritenuto le assenze per infortunio della lavoratrice non computabili nel periodo di comporto: cosi’ non osservando i criteri ermeneutici di letteralita’ (per essere sia la malattia che l’infortunio compresi nella generale categoria dell’infermita’), ma anche logico-dell’infortunio sul lavoro, non dipendente da responsabilita’ datoriale ai sensi dell’articolo 2087 c.c., in contrasto con la disciplina legale a tutela della liberta’ di iniziativa economica datoriale dall’eccessiva morbilita’ del lavoratore.
8. Anch’esso e’ infondato.
9. E’ noto che la giurisprudenza di questa Corte ha in piu’ occasioni ribadito che, “ai fini della tutela predisposta dall’articolo 2110 c.c., l’infortunio sul lavoro deve essere equiparato alla malattia, senza che l’eventuale diversita’ dei rispettivi sistemi di accertamento sia di ostacolo a una loro considerazione unitaria a opera della contrattazione collettiva ai fini della determinazione del periodo di comporto per sommatoria… ” e che “nessuna norma imperativa vieta che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento il richiamato articolo 2110, quelle dovute a infortuni sul lavoro, ne’ tale esclusione – che e’ ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attivita’ lavorativa espletata – incontra limiti nella stessa disposizione che, come lascia ampia liberta’ all’autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, cosi’ non puo’ intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale liberta’, qual e’ quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi… “; inoltre, essa ha affermato che “nei casi in cui la contrattazione collettiva di categoria prevede nella lettera di alcune sue clausole un unico termine di comporto con riferimento sia alle assenze che all’infortunio, il giudice di merito deve accertare – all’esito di una interpretazione logico-sistematica di tutte le clausole che regolano l’istituto – se siano rinvenibili o meno nell’ambito della predetta contrattazione elementi sufficienti di identificazione di una volonta’ delle parti negoziali volta a fissare una indifferenziata disciplina, con la fissazione di un unico termine congruo di comporto (da valutarsi anche con riferimento alla specificita’ dell’attivita’ spiegata dal datore di lavoro), sia per le assenze che per gli infortuni o se, di contro, siano riscontrabili, all’interno della stessa contrattazione, elementi che attestino una diversa volonta’ e che siano anche sufficienti all’individuazione di termini di comporto differenziati in ragione della causa delle assenze (se derivanti o meno da infortunio) e di quella degli infortuni (se verificatisi o meno sul lavoro). Solo nell’eventualita’ che si riscontri un’assoluta carenza di disciplina pattizia, il giudice puo’ determinare, secondo equita’, il periodo di comporto per sommatoria, tenendo conto, in concreto, della causa dell’assenza dal lavoro e, quindi, del fatto che detta assenza sia imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione e’ destinata, al fine proprio di differenziare i termini di comporto e di determinare la durata del comporto per sommatoria in ragione della diversa causale delle assenze dal lavoro” (Cass. 10 agosto 2012, n. 14377, in motivazione da 9 a 11; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2527, in motivazione sub p.to 6).

Omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe e nullità della sentenza

9.1. Tanto premesso, l’articolo 51 CCNL per il personale dipendente da imprese di servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi 31 maggio 2011 (“Trattamento di malattia ed infortunio”), applicabile ratione temporis nel caso di specie e per quanto qui d’interesse, stabilisce: “Il diritto alla conservazione del posto viene a cessare qualora il lavoratore anche con piu’ periodi di infermita’ raggiunga in complesso 12 mesi di assenza nell’arco di 36 mesi consecutivi. Ai fini del trattamento di cui sopra si procede al cumulo dei periodi di assenza per malattia verificatisi nell’arco temporale degli ultimi 36 mesi consecutivi che precedono l’ultimo giorno di malattia considerato” (comma 6); “La disposizione di cui al precedente comma vale anche se i 36 mesi consecutivi sono stati raggiunti attraverso piu’ rapporti di lavoro consecutivi nel settore” (comma 7); “A tal fine il datore di lavoro e’ obbligato, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, a rilasciare una dichiarazione di responsabilita’, dalla quale risulti il numero di giornate di malattia indennizzate nei periodi di lavoro precedenti sino a un massimo di tre anni” (comma 8); “Superati i limiti di conservazione del posto, l’azienda su richiesta del lavoratore concedera’ un periodo di aspettativa non superiore a 4 mesi, durante il quale il rapporto rimane sospeso a tutti gli effetti senza decorrenza della retribuzione e di alcun istituto contrattuale” (comma 9).
L’articolo in esame e’ seguito dalla disciplina del “Trattamento economico per malattia e infortunio” rispettivamente “per gli impiegati” e “per gli operai”.
Il secondo (applicabile in ragione dell’incontestato inquadramento della lavoratrice, “con qualifica di operaio… nel II livello del CCNL Imprese di Pulizia e con mansioni di addetta alle pulizie”: cosi’ al p.to 3 di pg. 3 del ricorso), a differenza del primo che prevede per gli impiegati un trattamento economico indifferenziato (“Nel caso di interruzione del servizio dovuta ad infortunio o malattia… “), stabilisce: “Per le assenze per malattia all’operaio sara’ corrisposto: a) a partire dal primo giorno successivo di assenza fino al 180 giorno un’integrazione del trattamento Inps fino a raggiungere il 100% della retribuzione globale (articolo 18, u.c.); b) dal 181 giorno al 270 corresponsione del 50% della retribuzione globale. Nei casi di infortunio sul lavoro, all’operaio sara’ corrisposto il 100% della retribuzione globale a decorrere dal 2 giorno e fino a guarigione clinica”.
9.2. Ebbene, in applicazione dei canoni ermeneutici rubricati alle disposizioni codicistiche denunciate, da utilizzare come criterio interpretativo diretto in sede di legittimita’ (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 28 maggio 2018, n. 13265; Cass. 18 novembre 2019, n. 29893; Cass. 12 aprile 2021, n. 9583) e pertanto in combinata disposizione dell’articolo 1362 c.c., di rispetto del tenore letterale delle disposizioni contrattuali collettive in esame in funzione della ricerca della comune intenzione delle parti, in particolare con il criterio logico – sistematico dell’articolo 1363 c.c., che impone di desumere la volonta’ manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole (Cass. 26 luglio 2019, n. 20294; Cass. 28 ottobre 2021, n. 30478, in motivazione sub p.to 2), secondo una loro lettura non “atomistica”, ma coordinando le varie espressioni fra loro e riconducendole ad armonica unita’ e concordanza (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267; Cass. 18 novembre 2019, n. 29893, in motivazione sub p.to 3), questa Corte reputa che l’articolo 51 del CCNL 31 maggio 2011 Multiservizi, debba essere interpretato nel senso della non computabilita’ della durata di interruzione del rapporto per infortunio sul lavoro nel periodo di comporto di dodici mesi.
In tale senso depongono: a) la distinzione, nella rubrica dell’articolo, tra malattia e infortunio, che ha una chiara evidenza, al di la’ dell’omnicomprensiva locuzione generica di “piu’ periodi di infermita’” (comma 6, primo periodo), nella sua piu’ puntuale specificazione nel riferimento, “ai fini del trattamento di cui sopra”, esclusivamente “al cumulo dei periodi di assenza per malattia” (comma 6, secondo periodo); b) la rilevanza della sola risultanza, al suddetto fine, “del numero di giornate di malattia indennizzate nei periodi di lavoro precedenti sino a un massimo di tre anni”, nella dichiarazione di responsabilita’ del datore di lavoro, quale oggetto del suo obbligo, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro (comma 8); c) la concessione “superati i limiti di conservazione del posto”, “dall’azienda su richiesta del lavoratore” di “un periodo di aspettativa non superiore a 4 mesi” di “sospensione del rapporto a tutti gli effetti senza decorrenza della retribuzione e di alcun istituto contrattuale” (comma 9); d) la distinzione del trattamento economico per malattia (corresponsione “a partire dal primo giorno successivo di assenza fino al 180 giorno” di “un’integrazione del trattamento Inps fino a raggiungere il 100% della retribuzione globale… dal 181 giorno al 270 corresponsione del 50% della retribuzione globale”) da quello per infortunio (corresponsione del “100% della retribuzione globale a decorrere dal 2 giorno e fino a guarigione clinica”).
Come e’ noto, questa Corte ha gia’ valorizzato la distinzione sub d), con l’affermazione, per la quale, avendo “le parti stipulanti… inteso assicurare agli operai infortunati… l’erogazione della retribuzione sino alla guarigione clinica, id est la permanenza dell’obbligazione a carico del datore di lavoro pur in assenza della controprestazione lavorativa, condizionata alla guarigione clinica e, pertanto, raccordata ad una variabile, la guarigione per l’appunto, cui rimane indipendente la progressione temporale alla quale e’ non indefinitamente legato il periodo di comporto… mal si concilierebbe, palesando un’evidente contraddizione, una disposizione negoziale che, da un lato, obbligasse il datore di lavoro ad erogare indefinitamente la retribuzione fino alla guarigione, cosi’ conferendo continuita’ giuridica al rapporto di lavoro, dall’altro, per lo stesso evento, imponesse l’esercizio della potesta’ risolutoria sommando, quella peculiare condizione del lavoratore, infortunatosi sul lavoro e fruente della retribuzione fino alla guarigione, ad altre condizioni di salute del lavoratore ostative della prestazione lavorativa e temporalmente rilevanti agli effetti della cessazione del diritto alla conservazione del posto”; in tale modo attribuendo alle “parti sociali l’introduzione di una disciplina ambivalente e contraddittoria nella regolamentazione del medesimo evento, l’infortunio sul lavoro” (Cass. 10 agosto 2012, n. 14377, in motivazione sub p.ti 13 e 14).
Ed essa, qui ribadita, attinge ulteriore nitida evidenza nell’armonico e coerente coordinamento logico – sistematico delle pur chiare espressioni letterali di ogni clausola contrattuale, letta in combinazione con le altre, nel senso della inequivoca divaricazione degli effetti dei diversi eventi patologici della malattia e dell’infortunio (non soltanto sul trattamento economico, alla stregua di dato sintomatico, ma) sul rapporto di lavoro nella sua integralita’: nel primo caso, il superamento dei limiti di conservazione del posto ne comporta la cessazione ovvero, per il periodo di aspettativa non superiore a quattro mesi eventualmente richiesto dal lavoratore e concesso dal datore, la sospensione a tutti gli effetti, sia di prestazione lavorativa che di corrispettivita’ retributiva; nel secondo caso, la corresponsione integrale della retribuzione fino alla guarigione clinica, permanendone l’obbligazione a carico del datore di lavoro pur in assenza della controprestazione lavorativa, condizionata alla guarigione clinica, ne comporta al contrario la continuita’ giuridica.
10. Infine, con il quarto motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, quale la mancata allegazione della lavoratrice di una responsabilita’ datoriale nella causazione del sinistro del (OMISSIS).
11. Esso e’ infondato.
12. La Corte d’appello ha esaminato la circostanza e ha valutato ininfluente (all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza) la mancata allegazione di una responsabilita’ datoriale in ordine all’infortunio sul lavoro, in esito all’interpretazione (censurata con il precedente motivo) della sua non computabilita’, indipendentemente da una tale responsabilita’, nel periodo di comporto.
13. Per le superiori ragioni, il primo motivo di ricorso deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione e gli altri rigettati, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione; rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

 

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