Omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito di sentenza

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 febbraio 2020, n. 4457

Massima estrapolata:

L’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito di sentenza configura una nullità di ordine generale “a regime intermedio” che deve ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 183 cod. proc. pen., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale. (Fattispecie relativa alla mancata notifica all’imputato, presente alla lettura del dispositivo, dell’avviso di deposito della sentenza ex art. 548, comma 2 cod. proc. pen., a seguito di omessa comunicazione del decreto di proroga del termine ai sensi dell’art. 154, comma 4-bis disp. att. cod. proc. pen.).

Sentenza 3 febbraio 2020, n. 4457

Data udienza 14 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. MOROSINI E. M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/07/2018 della CORTE di APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Morosini Elisabetta Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Pinelli Mario Maria Stefano, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ di tutti i ricorsi;
uditi i difensori degli imputati, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) il quale si e’ associato alla richiesta di rinvio gia’ depositata in cancelleria dagli avvocati presenti; nonche’ avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli, per quanto qui interessa, ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), escluso per il primo il ruolo di capo e per il secondo quello di organizzatore, in ordine al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., aggravato ai sensi del comma 6, per aver partecipato, dal 1987 al 2008, alla associazione per delinquere di tipo mafioso denominata clan (OMISSIS), operante nei territori di (OMISSIS) e zone limitrofe (capo Al), nonche’ in ordine ai reati di falso, abuso d’ufficio, evasione fiscale, intestazione fittizia di cui ai capi D), H), I), L), M), P), R), S), Aa1), Aa2), Aa4), Ab), Ab2), Ac2), Ad), Ad2), Ah2), e ai reati in materia urbanistica, alcuni dei quali di natura contravvenzionale, contestati ai capi Au), Av), Az), Aw), esclusa, per quest’ultimo, l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7.
Ha quindi proceduto alla rideterminazione della pena inflitta a (OMISSIS) in quella di anni dodici, mesi sei e giorni quindici di reclusione, a (OMISSIS) e (OMISSIS) in quella di anni otto e mesi dieci ciascuno, previa concessione in favore dei secondi, delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6.
Ha inoltre revocato in parte qua la confisca, disposta in primo grado ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 416, comma 7 e articolo 12 sexies (ora articolo 240-bis c.p.), limitatamente ai beni personali degli imputati acquistati in epoca antecedente o successiva all’arco temporale (dal 1987 al 2008) durante il quale si e’ accertata la loro appartenenza al sodalizio mafioso di cui al capo A1).
Detti imputati avevano rinunciato a tutti i motivi di gravame, ad eccezione di quelli concernenti la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6, il trattamento sanzionatorio, i provvedimenti di confisca dei loro beni personali.
Con la medesima sentenza la Corte distrettuale ha confermato la condanna di:
– (OMISSIS), in qualita’ di funzionario dell’ufficio tecnico settore urbanistica del comune di (OMISSIS) e tecnico responsabile del procedimento in materia di controllo ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 27, per il reato di falso ideologico in atto pubblico fidefaciente con riguardo alle relazioni tecniche redatte dallo stesso n. 1175 del 31 ottobre 2005 e n. 534 del 15 marzo 2006 (capo D);
– (OMISSIS), quale amministratore di diritto delle societa’ ” (OMISSIS) s.a.s.” e ” (OMISSIS) s.a.s.”, per i reati di evasione delle imposte di cui ai capi Ab2) e Ac2), esclusa l’evasione Irpef per l’anno 2009 stante il maturare del termine di prescrizione.
2. Avverso la sentenza ricorrono tutti i predetti imputati, tramite i rispettivi difensori.
3. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) articolano cinque motivi, declinati in termini di violazione di legge e vizio di motivazione.
3.1 Con il primo contestano la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6.
La Corte di appello non avrebbe sciolto il punto nodale della questione, vale a dire se fosse o meno il clan (OMISSIS) a finanziare (OMISSIS), per mantenere il controllo dell’attivita’ economica nel settore edile.
In senso negativo deporrebbero significativi dati ignorati dal giudice di merito: l’operativita’ sul territorio di Marano e comuni limitrofi di una pluralita’ di costruttori, oltre al (OMISSIS); la partecipazione nell’attivita’ del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) a titolo personale, non per conto dell’associazione camorristica di appartenenza; l’assenza di prova relativa vuoi sul numero delle concessioni edilizie rilasciate nel periodo in contestazione dal Comune di Marano ai soggetti beneficiari, vuoi su numero e consistenza delle costruzioni effettivamente realizzate.
3.2 Con il secondo e il terzo motivo i ricorrenti impugnano il trattamento sanzionatorio.
Nel negare a (OMISSIS) la concessione delle circostanze attenuanti generiche e a (OMISSIS) e (OMISSIS) la prevalenza delle suddette attenuanti rispetto all’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della rinuncia da parte di tutti i tre gli imputati ad una parte sostanziale dei motivi di appello, compresi quelli relativi alla confisca dei beni societari, ne’ avrebbe adeguatamente considerato che cosi’ come (OMISSIS) e (OMISSIS) erano soggetti al volere del padre (OMISSIS), allo stesso modo quest’ultimo versava in condizione di assoggettamento rispetto al (OMISSIS), dal quale era stato fisicamente aggredito.
3.3 Con il quarto motivo i ricorrenti deducono che la loro attivita’ imprenditoriale non sarebbe classificabile come “impresa mafiosa”. Nel periodo in rilievo sarebbero stato prodotti anche utili leciti.
I giudici di merito avrebbero potuto procedere alla confisca “solo dei beni per i quali sussisteva un vincolo di pertinenza certo e diretto con l’attivita’ illecita e certo tali non potevano ritenersi i beni personali dei (OMISSIS), tenuti ben distinti da quelli delle societa’”.
3.4 Con il quinto motivo i ricorrenti censurano l’errore commesso dalla Corte di appello che, senza addurre alcuna motivazione, a fronte di una sostanziale rideterminazione della pena principale (conseguente tra l’altro alla esclusione di ruoli apicali per (OMISSIS) e (OMISSIS)) ha lasciato inalterati la durata della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, l’incapacita’ di contrattare con la pubblica amministrazione, il periodo di sottoposizione alla misura di sicurezza della liberta’ vigilata.
Peraltro non sarebbe giuridicamente corretto sostenere che i (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in particolare, abbiano tenuto una condotta pervicace e socialmente pericolosa perche’ sviluppatasi nel corso di un lungo lasso di tempo: (OMISSIS) e’ nato nel (OMISSIS), (OMISSIS) nel (OMISSIS), quindi negli anni ottanta erano studenti minorenni; nei loro confronti il lasso di tempo in rilievo dovrebbe essere limitato agli anni dal 1999 al 2008.
4. (OMISSIS) propone un unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge processuale per mancanza assoluta di motivazione.
Sostiene il ricorrente che la Corte di appello, dopo aver bandito la legittimita’ di qualunque automatismo tra responsabilita’ penale e posizione di garanzia, avrebbe dimenticato di esporre le ragioni del mancato accoglimento della richiesta assolutoria, omettendo di pronunciarsi sulle questioni giuridiche e fattuali sollevate con il gravame.
5. (OMISSIS) si affida a due motivi.
5.1 Con il primo denuncia la “violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera d) per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione”.
I giudici di appello avrebbero pretermesso la valutazione di alcuni elementi, dai quali emergerebbe con chiarezza la mancanza dell’elemento soggettivo del reato: l’esistenza di una particella gravata da vincolo storico non era stata denunciata nella pratica depositata in Comune, la circostanza non era nota all’imputato, che non avrebbe potuto avvedersene in sede di sopralluogo. Tale verifica era estranea alle competenze e all’esperienza di un tecnico comunale addetto alla fase repressiva, non a quella istruttoria.
Ne’ risponde al vero la circostanza che, nelle relazioni ritenute false, (OMISSIS) abbia citato la particella 45 sub 2 tra quelle interessate dai lavori.
La buona fede dell’imputato sarebbe dimostrata dal fatto che lo stesso, una volta appresa l’esistenza del vincolo apposto dalla soprintendenza, si sarebbe immediatamente attivato al fine di sospendere l’esecuzione dei lavori.
5.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione dell’articolo 157 c.p., contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
La Corte di appello ha ritenuto che, al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado, il termine prescrizionale del reato di falso, commesso il (OMISSIS), non fosse maturato ne’ alla luce della novella introdotta dalla L. n. 251 del 2005, ne’ a mente della disciplina previgente, senza spiegare tuttavia quali fossero i calcoli effettuati e i parametri concreti di riferimento.
Con la medesima genericita’ il giudice di merito menziona asseriti periodi di sospensione del termine prescrizionale, che non individua in maniera specifica, impedendo alla difesa di compiere le necessarie verifiche.
6. Con memoria depositata in data 8 novembre 2019 l’avv. (OMISSIS), quale difensore di fiducia dell’imputato (OMISSIS), formula istanza di rinvio dell’udienza odierna rappresentando che (OMISSIS) non ha mai ricevuto l’avviso di deposito della sentenza di appello, depositata fuori termine.
Al fine di evitare la separazione della posizione di (OMISSIS), il difensore ha raccolto, in calce all’istanza, l’adesione alla istanza di rinvio da parte dei difensori degli altri imputati con accettazione della sospensione dei termini prescrizionali.
7. All’udienza odierna l’avv. (OMISSIS) ha depositato nuova nomina rilasciata in suo favore dall’imputato (OMISSIS) e ha dichiarato di associarsi alla richiesta di rinvio depositata in cancelleria dal codifensore avv. (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Va preliminarmente affrontata la questione processuale concernente la richiesta di rinvio del procedimento in ragione della omessa notifica all’imputato (OMISSIS) dell’avviso di deposito della sentenza di appello, depositata tardivamente.
2.1 Alla richiesta del difensore di (OMISSIS) si sono associati tutti i difensori, dichiarando di accettare la sospensione dei termini di prescrizione. Questa seconda istanza va in limine respinta.
Gli imputati, diversi dal (OMISSIS), non affermano di esercitare alcun diritto ne’ facolta’, che, d’altra parte, non competono loro.
Soltanto il giudice potrebbe accordare il rinvio per esigenze di carattere organizzativo connesse alla unitaria trattazione del processo, esigenze che, nella specie, non vengono in rilievo (cfr. infra paragrafo 2.2) e, comunque, gli interessi delle difese dovrebbero ritenersi soccombenti rispetto alla necessita’ di rapida definizione di un processo che vede la prossima prescrizione di alcuni reati, in particolare quelli contravvenzionali commessi nel 2014.
In queste condizioni deve ritenersi comunque prevalente l’interesse pubblico alla immediata trattazione del processo.
Il principio trova conferma nella disciplina delle prestazioni indispensabili in materia penale di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a) del codice di autoregolamentazione, che in ipotesi di processo concernente reati prossimi alla prescrizione non sarebbe neppure consentito l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito quale quello all’astensione.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, posto a base anche della recente decisione assunta sul tema dalla Corte Costituzionale (sent. n. 180 del 2018), il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con deliberazione del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008, costituisce fonte di diritto oggettivo contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria (o “subprimaria” secondo Corte Cost. sent. n. 180 del 2018 cit.), vincolanti erga omnes, ed alle quali anche il giudice e’ soggetto in forza dell’articolo 101 Cost., comma 2, (Sez. U, n. 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, Rv. 259926; Sez. U, n. 26711 del 30/05/2013, Ucciero, Rv. 255346).
2.2 Va disattesa anche l’istanza presentata da (OMISSIS), che merita uno scrutinio piu’ approfondito.
2.2.1 Dagli atti, cui la Corte di cassazione ha accesso in ragione della natura processuale della questione in esame, risulta quanto segue:
– la sentenza impugnata e’ stata pronunciata mediante lettura del dispositivo all’udienza del 6 luglio 2018;
– (OMISSIS), assistito nel giudizio di secondo grado dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), risulta presente alla decisione;
– la Corte di appello di Napoli si e’ riservata il termine di novanta giorni per il deposito della motivazione ex articolo 544 c.p.p., comma 3, detto termine e’ stato prorogato di ulteriori novanta giorni per effetto del decreto n. 302 del 2018 prot. ris. assunto, ai sensi dell’articolo 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis, dal Presidente della Corte di appello in data 21 settembre 2018;
– il decreto, non presente agli atti del fascicolo e trasmesso in forma elettronica su sollecitazione della cancelleria della Corte di cassazione, risulta citato nella ordinanza depositata il 28 settembre 2018 con cui la Corte di appello ha dichiarato, anche nei confronti di (OMISSIS), la ulteriore sospensione dei termini di durata della misura custodiale;
– detto decreto non risulta notificato alle parti;
– la motivazione della sentenza e’ stata depositata il 31 dicembre 2018, oltre i primi novanta giorni ma entro il termine successivamente prorogato dal Presidente della Corte di appello;
– nel “foglio di annotazioni”, spillato alla sentenza in esame, non risulta indicata la notifica dell’estratto contumaciale, rectius “avviso di deposito” all’imputato (OMISSIS) (viene invece riportata la notifica ai suoi difensori di fiducia compiuta in data 2 febbraio 2019). Negli atti si rinviene solo una richiesta di notifica trasmessa in data 2 febbraio 2019 tramite posta certificata dalla cancelleria della Corte di appello di Napoli alla stazione Carabinieri di Marianella nel cui territorio l’imputato era detenuto in regime di arresti domiciliari. La notifica non risulta effettuata, il tentativo di reperire prova dell’adempimento dell’incombente da parte dei Carabinieri e’ stato infruttuoso.
2.2.2 A fronte di tanto va osservato che:
– l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione per conto del proprio assistito;
– l’impugnazione attacca tutti i punti della decisione ancora in contestazione dopo la rinuncia parziale ad alcuni motivi di appello (cfr. sopra paragrafo 3 del “ritenuto in fatto”);
– nell’atto di impugnazione il difensore non solleva questioni processuali, in particolare non eccepisce l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito della sentenza;
– in ragione della imminente scadenza dei termini di prescrizione di alcuni reati, su segnalazione dell’ufficio spoglio della quinta sezione, il processo e’ stato fissato dinanzi alla sezione feriale per l’udienza del 8 agosto 2019;
– l’avviso di fissazione udienza risulta notificato in data 11 luglio 2019 ai due difensori di fiducia, avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– l’udienza del 8 agosto 2019 e’ stata rinviata a quella odierna in accoglimento di un’istanza congiunta delle difese; anche in quella sede nulla e’ stato eccepito dai difensori dell’imputato;
– con atto privo di data, ma depositato nella cancelleria della Corte di cassazione il 3 ottobre 2019, (OMISSIS) dichiara di revocare la nomina dell’avv. (OMISSIS) dichiarando testualmente di essere “imputato nel proc. pen. 23092/2019 di questa Corte e fissato per l’udienza del 14 novembre 2019”;
– con memoria depositata in data 8 novembre 2019 l’avv. (OMISSIS) rileva che (OMISSIS) non ha mai ricevuto l’avviso di deposito della sentenza di appello, depositata fuori termine; e che, quindi, il termine per proporre ricorso per cassazione non sarebbe mai decorso, di talche’ il predetto imputato sarebbe ancora nei termini per proporre motivi nuovi nonche’ ulteriore mezzo di impugnazione tramite altro difensore da nominare;
– all’udienza odierna l’avv. (OMISSIS) ha depositato dichiarazione di nomina da parte di (OMISSIS) “affinche’ proponga ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 5821/18 della Corte di appello di Napoli – VI sezione penale, depositata fuori termine e con avviso di deposito mai notificato al sottoscritto”.
2.2.3 La questione e’ infondata per le ragioni di seguito esposte.
2.2.4 L’articolo 548 c.p.p., comma 2, prevede che quando la sentenza non e’ depositata entro il trentesimo giorno o entro il diverso termine indicato dal giudice a norma dell’articolo 544, comma 3, l’avviso di deposito e’ comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private cui spetta il diritto di impugnazione. E’ notificato altresi’ a chi risulta difensore dell’imputato al momento del deposito della sentenza.
Scopo dell’adempimento e’ quello di portare la parte a conoscenza non dell’esistenza di un processo a suo carico e della decisione assunta (come succedeva per l’abrogato istituto della notifica dell’estratto contumaciale), ma soltanto le ragioni poste a fondamento di quella decisione al fine di un utile esercizio del diritto di impugnazione.
Deriva che la mancata notifica all’imputato dell’avviso di deposito di sentenza (o di qualunque altro provvedimento impugnabile) configura una nullita’ di ordine generale “a regime intermedio” che resta sanata per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’articolo 183 c.p.p., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale (Sez. 1, n. 10410 del 24/02/2010, Italiano, Rv. 246504; conf. Sez. 5, n. 11651 del 23/01/2012, Marcello, Rv. 252957).
Questo principio, che il collegio intende qui ribadire, si ispira a una regola generale elaborata dalla giurisprudenza di legittimita’ anche con riguardo alla situazione, analoga, della mancata traduzione della sentenza in lingua conosciuta all’imputato.
Secondo ius receptum, la mancata traduzione della sentenza nella lingua comprensibile all’imputato alloglotta non incide sulla validita’ della decisione, ma si riverbera soltanto sulla facolta’, riconosciuta all’imputato in proprio, di impugnare quella decisione.
In sostanza “la mancata traduzione non inficia di per se’ la decisione, ma incide soltanto sui termini per proporre impugnazione, dal momento che impedisce all’interessato di prendere contezza delle ragioni che sono state poste a fondamento della condanna pronunciata nei suoi confronti e dunque di esercitare appieno le sue prerogative difensive, che passano anche attraverso il diretto accesso alle motivazioni, senza il filtro della difesa tecnica, cosi’ da poter meglio valutare l’an ed il quomodo degli ulteriori sviluppi processuali” (Sez. 6, n. 45457 del 29/09/2015, Astorga, in motivazione).
L’omessa traduzione produce, quindi, una sospensione o comunque una dilazione del termine per proporre impugnazione in capo all’imputato fintanto che questi non abbia avuto compiuta conoscenza dell’atto in una lingua a lui nota (Sez. 1, n. 23608 del 11/02/2014, Wang, Rv. 259732; Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444).
Ergo, nel caso dell’impugnazione proposta dal difensore di fiducia dell’imputato, puo’ configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte dell’imputato, solo qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Sez. 6, n. 45457 del 29/09/2015, Astorga, Rv. 265521; Sez. 6, n. 22814 del 10/05/2016, Pannatier, Rv. 267941; Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016, dep. 2017, Zaroual, Rv. 269982; Sez. 6, n. 25276 del 06/04/2017, Rv. 270491, Money).
2.2.5 In difformita’ rispetto a quanto affermato da alcune decisioni della Corte di legittimita’ (Sez. 5, n. 44863 del 07/10/2014, Prudentino, Rv. 261314; Sez. 5, n. 50980 del 05/11/2014, Stevanato, Rv. 261763; Sez. 5, n. 3881 del 19/11/2014, dep. 2015, Acquaviva, Rv. 262228), questo collegio ritiene che non osti al principio sopra ricordato il fatto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 317 del 2009, abbia dichiarato illegittima la lettura dell’articolo 175 c.p.p., comma 2 nella parte in cui non consentiva la restituzione dell’imputato, che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato.
Si tratta infatti di sentenza che ha riguardato la disamina della ampiezza del diritto di difesa e di impugnazione del “contumace inconsapevole”, nonche’ del diritto di questi a fruire di una misura ripristinatoria che, per avere effettivita’, non puo’ essere ritenuta “consumata” dall’atto di un soggetto, il difensore (normalmente nominato d’ufficio, in tali casi, stante l’assenza e l’irreperibilita’ dell’imputato), che agisca esclusivamente di propria iniziativa (Sez. 5, n. 41066 del 11/07/2014, Chiavacci, in motivazione).
La fattispecie di cui si e’ occupata la Corte costituzionale afferiva all’istituto della rimessione in termini dell’imputato contumace ex articolo 175 c.p.p., comma 2 nel testo anteriore alla L. n. 67 del 2014.
I presupposti consistevano in un processo svoltosi in contumacia dell’imputato, nella inconsapevolezza di questi, e conclusosi con una sentenza divenuta definitiva in seguito al rigetto dell’impugnazione presentata dal difensore di ufficio vale a dire da un soggetto non necessariamente in contatto con l’imputato e che avrebbe potuto prendere l’iniziativa di insorgere contro la sentenza anche all’insaputa del suo assistito.
In tali condizioni occorreva assegnare uno spazio ulteriore all’imputato contumace che fosse rimasto all’oscuro del processo, della sentenza, dell’impugnazione del difensore, al fine di porre rimedio al “sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto articolo 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall’articolo 24 Cost., comma 2: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell’effetto espansivo dell’articolo 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo” (Corte Cost. sent. n. 317 del 2009 cit.).
Quello spazio e’ stato riconosciuto ampliando i confini dell’articolo 175 c.p.p., comma 2 di cui la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimita’ costituzionale (ante L. n. 67 del 2014), nella parte in cui non consentiva la restituzione dell’imputato, che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato.
Ben diverso il caso in esame.
L’imputato (OMISSIS) ha goduto di tutte le garanzie del processo, celebrato in sua presenza, con piena conoscenza dell’esito del processo per aver egli partecipato all’udienza all’esito della quale e’ stata data lettura del dispositivo, con l’assistenza tecnica di due difensori di fiducia uno dei quali ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione.
2.2.6 In definitiva la nullita’, connessa alla mancata notifica all’imputato dell’avviso di deposito ex articolo 548 c.p.p., comma 2, si e’ sanata: l’atto ha raggiunto il suo scopo data la tempestiva proposizione del ricorso per cassazione da parte del difensore; la nullita’ non e’ mai stata eccepita ne’ con l’impugnazione, ne’ nelle istanze successive, ne’ all’udienza odierna.
Va rilevato che l’avv. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione e:
– da un lato non ha lasciato spazi inesplorati, contrastando tutti i punti della decisione ancora in discussione;
– dall’altro lato ne’ i difensori (ammesso che ne abbiano la legittimazione, lo esclude Sez. F, n. 3144 del 04/09/2014, dep. 2015, Tripodo, Rv. 262040) ne’ l’imputato hanno mai precisato in quali termini sia derivato un vulnus alle prerogative difensive proprie dell’imputato stesso, ne’ hanno indicato che cosa la presentazione del ricorso da parte di un secondo difensore avrebbe potuto aggiungere rispetto all’impugnazione proposta dell’avv. (OMISSIS).
Sotto tale ultimo profilo non puo’ sfuggire la peculiarita’ del giudizio di legittimita’ come ridisegnato dalla L. n. 103 del 2017, la’ dove ha diversamente regolato la disciplina del ricorso per cassazione negando all’imputato la possibilita’ di sottoscrivere personalmente l’atto di impugnazione.
“L’attuale quadro normativo trova una sua oggettiva giustificazione nell’esigenza, generalmente avvertita, di assicurare un alto livello di professionalita’ nell’impostazione e nella redazione di un atto di impugnazione, il ricorso per cassazione, introduttivo di un procedimento connotato da una particolare importanza e da un elevato tecnicismo, tipico del giudizio di legittimita’, scoraggiando al contempo la diffusa prassi dei ricorsi redatti da difensori non iscritti nell’apposito albo speciale, ma formalmente sottoscritti dai propri assistiti per eludere il contenuto precettivo dell’articolo 613, comma 1” (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello).
D’altra parte l’imputato non puo’ dedurre fruttuosamente il proprio interesse, prospettato in maniera generica e astratta, ad avvalersi di un secondo difensore per proporre una nuova impugnazione, posto che egli gia’ era munito di un secondo difensore, nella persona dell’avv. (OMISSIS), che non ha esercitato tale facolta’ nei termini previsti.
Non viene in considerazione la previsione dell’articolo 585 c.p.p., comma 3 (diff. Sez. 5, n. 44863 del 07/10/2014, Prudentino, cit.) secondo cui “quando la decorrenza del termine per impugnare e’ diversa per l’imputato e per il suo difensore opera per entrambi il termine che scade per ultimo”. Invero a tale regola occorre avere riguardo nel caso in cui si ponga un problema di tempestivita’ dell’impugnazione, mentre gli istituti, qui in rilievo, operano su piani diversi (“consumazione” del diritto di impugnazione e della sanatoria delle nullita’) che presuppongono la proposizione di una impugnazione tempestiva, quale e’ il ricorso per cassazione a firma dell’avv. (OMISSIS) per (OMISSIS).
2.2.7 Ferma la decisivita’ dei rilievi che precedono, i caratteri del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione rilevano anche sotto un ulteriore profilo.
A mente dell’articolo 613 c.p.p., commi 2 “per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti e’ presso i rispettivi difensori”, salvo il caso previsto dal comma 4 in cui l’imputato sia privo del difensore di fiducia.
Si tratta di una domiciliazione ex lege, inderogabile, per cui non spettano avvisi personali all’imputato assistito da difensore di fiducia.
Se ne ricava una presunzione di conoscenza anche in capo all’imputato del contenuto degli avvisi inviati dalla Corte di cassazione al suo difensore di fiducia.
Puo’ dunque ragionevolmente presumersi che (OMISSIS) abbia avuto contezza della pendenza del ricorso per cassazione (e dunque del deposito della sentenza impugnata) quantomeno alla data del 11 luglio 2019 allorche’ i suoi due difensori di fiducia, anche a suo nome e per suo conto, hanno ricevuto l’avviso di fissazione udienza dinanzi alla Corte di cassazione.
Questa presunzione di conoscenza non e’ mai stata smentita dall’imputato, che, personalmente o per il tramite dei difensori, non ha mai rappresentato una circostanza opposta.
La validita’ della presunzione trova conferma nel fatto che l’imputato ha avuto piena contezza non solo della pendenza del ricorso per cassazione, ma anche del numero di ruolo e della data di udienza, poiche’ indica tali elementi nella dichiarazione di revoca dell’avv. (OMISSIS), che lo stesso ha sottoscritto in data non specificata e che e’ stata depositata presso la cancelleria della Corte di cassazione il 3 ottobre 2019.
3. Il ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Sono precluse, a seguito di rinuncia ai motivi di appello, tutte le questioni in punto di responsabilita’ degli imputati per i reati loro ascritti, tra cui anche quello di cui all’articolo 416-bis c.p. per aver partecipato alla associazione mafiosa “clan (OMISSIS)” dal 1987 al 2008 (capo A1).
Rimangono in discussione soltanto la configurabilita’ della circostanza aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6 nonche’ le censure sulla confisca dei beni personali e sul trattamento sanzionatorio.
In via generale deve osservarsi che i ricorrenti reiterano i medesimi motivi proposti con gli atti di appello, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, rv. 259456).
Inoltre, al di la’ della enunciazione formale, essi sollecitano una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, che tuttavia e’ preclusa in questa sede, posto che non puo’ integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
3.1 L’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6, (primo motivo).
3.1.1 Le linee guida della circostanza aggravante in esame sono tracciate dalle Sezioni Unite Iavarazzo (n. 25191 del 27/02/2014).
“L’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6, ricorre quando gli associati cercano di penetrare in un determinato settore della vita economica e si pongono nelle condizioni di influire sul mercato finanziario e sulle regole della concorrenza, finanziando, in tutto o in parte, le attivita’ con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti”.
“L’aggravante in esame stabilisce una precisa correlazione logico-causale tra le diverse finalita’ indicate nell’articolo 416-bis c.p., comma 3, colte nella loro proiezione dinamico-strutturale, essendo delineato un chiaro nesso funzionale tra la consumazione di delitti, la gestione di attivita’ imprenditoriali, la realizzazione di vantaggi ingiusti, intesi o quale derivazione da attivita’ economiche sanzionate come contravvenzione o quali aspetti complementari al controllo delle attivita’ economiche. L’apporto di capitale deve corrispondere ad un reinvestimento delle utilita’ procurate dalle azioni delittuose. Il riferimento all’attivita’ economiche e’ da intendere come intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrano beni e servizi”.
“La ratio di tale previsione e’ da ravvisare nella necessita’ di introdurre uno strumento normativo in grado di colpire piu’ efficacemente l’inserimento delle associazioni mafiose nei circuiti dell’economia legale grazie alla maggiore liquidita’ derivante da delitti, costituenti una sostanziale progressione criminosa rispetto al reato-base, cosi’ concretizzando una piu’ articolata e incisiva offesa degli interessi protetti”.
“Come si desume dal chiaro tenore letterale dell’articolo 416-bis c.p., comma 6, ai fini della configurabilita’ dell’aggravante non e’ necessario che l’attivita’ imprenditoriale mafiosa venga finanziata interamente con fondi provenienti da delitto: la norma stabilisce espressamente, infatti, che deve ritenersi configurata l’aggravante anche se il finanziamento e’ di tipo misto, ossia e’ alimentato, in parte, dagli utili della gestione formalmente lecita e, in parte, dai proventi delittuosi”.
“L’aggravante, che appartiene al novero di quelle speciali, ha natura oggettiva (articolo 70 c.p.), poiche’ il perseguimento della finalita’ descritta nell’articolo 416-bis c.p., comma 6, mediante i proventi dei delitti, costituisce una connotazione obiettiva dell’associazione e ne qualifica la pericolosita’ al pari del suo carattere armato. In coerenza con tale natura dell’aggravante e’ da ritenere che essa vada riferita all’attivita’ dell’associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta individuale del partecipe”.
“Ne consegue che, ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 416 bis c.p., comma 6, non e’ necessario che il singolo associato s’interessi personalmente di finanziare, con i proventi dei delitti, le attivita’ economiche, di cui i partecipi dell’associazione mafiosa intendano assumere o mantenere il controllo”.
“La natura oggettiva della circostanza aggravante comporta, in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 59 c.p., comma 2, (introdotto dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19), che essa sia valutabile a carico di tutti i componenti del sodalizio, sempre che essi siano stati a conoscenza dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa”.
“Peraltro, qualora sia in concreto accertata la normalita’ e frequenza del reimpiego di profitti delittuosi da parte di un determinato sodalizio di tipo mafioso, ciascuno dei membri del sodalizio mafioso deve considerarsi al corrente della relativa circostanza e deve, di regola, ritenersi ascrivibile a colpa l’eventuale ignoranza sul punto da parte di taluno dei componenti”.
3.1.2 La sentenza impugnata fa buon governo dei principi sopra enucleati.
La Corte di appello osserva che dalle prove raccolte e’ emerso:
– che dagli anni novanta agli anni 2008/2009 l’attivita’ edilizia del Comune di Marano era praticamente gestita e controllata dai (OMISSIS) e per cio’ stesso, alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, da considerarsi attivita’ riconducibile agli “affari” del clan (OMISSIS);
– che (OMISSIS), nella qualita’ di capo dell’omonimo clan, sosteneva le imprese dei (OMISSIS) convogliandovi il capitale proveniente dalle utilita’ delittuose compiute dalla associazione criminale;
– e’ stato accertato un consistente flusso economico sia in entrata sia in uscita nelle imprese dei (OMISSIS), compatibile esclusivamente con appoggi e investimenti costanti da parte dell’associazione (pag 22 sentenza impugnata).
3.1.3 Le doglianze coltivate dai ricorrenti si infrangono sulla barriera della inammissibilita’, poiche’ ignorano le ragioni del decidere, si appuntano su elementi privi di concreta rilevanza ai fini della configurabilita’ dell’aggravante in rassegna, allegano dati meramente fattuali, spesso prospettati in maniera assertiva.
3.2 Le circostanze attenuanti generiche e il giudizio ex articolo 69 c.p. (secondo e terzo motivo).
Le censure mosse dai ricorrenti sono estranee al novero di quelle deducibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
3.2.1 Non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
3.2.2 La Corte di appello ha esposto, in maniera logica, le ragioni ritenute dirimenti ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche in favore di (OMISSIS), valorizzando il ruolo dominante significativo dallo stesso ricoperto all’interno dell’associazione mafiosa, tenuto conto “della stretta contiguita’ tra il prevenuto e il capo clan, la partecipazione – intesa come assoluta condivisione – alla maggior parte delle attivita’ imprenditoriali del clan, nonche’ l’imposizione ai figli delle proprie scelte imprenditoriali di carattere illecito” (pag. 24)
Per altro verso ha positivamente valutato la rinuncia ai motivi di merito nonche’ il ruolo secondario di (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto da riconoscere agli stessi le attenuanti di cui all’articolo 62-bis c.p. con giudizio di equivalenza sull’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6.
La prevalenza e’ stata motivatamente esclusa alla luce della gravita’ dei fatti, spregiudicatezza dimostrata (pag. 24).
In tale incedere argomentativo non e’ dato ravvisare alcuna caduta logica.
3.3 La confisca (quarto motivo).
Secondo i ricorrenti i giudici di merito avrebbero potuto procedere alla confisca: “solo dei beni per i quali sussisteva un vincolo di pertinenza certo e diretto con l’attivita’ illecita e certo tali non potevano ritenersi i beni personali dei (OMISSIS), tenuti ben distinti da quelli delle societa’”.
La doglianza, generica, non coglie la ratio decidendi in rapporto ai caratteri della confisca disposta ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies (ora 240-bis c.p.).
La condanna per uno dei reati indicati nell’articolo 12-sexies cit. (tra cui l’articolo 416-bis c.p.) comporta la confisca dei beni nella disponibilita’ del condannato, allorche’, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attivita’ economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi.
E’ invece irrilevante il requisito della “pertinenzialita’” del bene rispetto al reato per cui si e’ proceduto (per tutte Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella Rv. 226490).
L’unico motivo di ricorso proposto in tema di confisca si rivela dunque non pertinente all’istituto in rilievo.
Mentre le contestazioni in fatto, proposte anche mediante l’apporto di consulenti tecnici, risultano ampiamente disattese gia’ da parte del Tribunale con diffusa motivazione (pag. 588 e ss.) che la Corte di appello richiama, evidenziando l’assenza di elementi di novita’ (pagg. 24 e 25).
Peraltro la stessa Corte distrettuale ha condotto uno scrutinio attento, giungendo a una revoca parziale della confisca sulla scorta del perimetro di rilevanza temporale degli acquisti tracciato, in rapporto al tempus commissi delicti (pagg. 25 e 26).
3.4 Le pene accessorie e la misura di sicurezza (quinto motivo).
La censura e’ inammissibile, come lo era l’omologo motivo di gravame, in quanto carente della indicazione di concreti elementi, in tesi ignorati dal giudice di merito, che avrebbero dovuto condurre a una commisurazione meno afflittiva di pene accessorie e misura di sicurezza, si’ da contrastare, in termini di vizio motivazionale, l’argomento speso dalla Corte di appello che ha escluso la rilevanza della “cessazione della partecipazione alla associazione a far data dal 2008, trattandosi comunque di illeciti la cui consumazione in un arco temporale assolutamente dilatato appare sintomatica di maggior pervicacia, pericolosita’ sociale e di conseguente maggior riprovevolezza in termini sanzionatori” (pag. 27).
4. Il ricorso di (OMISSIS).
E’ inammissibile per genericita’ l’unico motivo proposto, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).
Va ricordato che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (per tutte Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, in motivazione).
Nella specie la doglianza del ricorrente viene formulata in modo generico, senza alcun riferimento concreto al processo ne’ alcun confronto con la sentenza impugnata.
L’imputato viene ritenuto colpevole dei reati di evasione delle imposte per varie annate, quale socio accomandatario e titolare del 90% delle quote sociali della ” (OMISSIS) sas” (capo Ab2) nonche’ quale legale rappresentante de ” (OMISSIS) sas” (capo Ac2).
La Corte di appello ha ritenuto configurabile il concorso del (OMISSIS), quale mero prestanome, con gli amministratori di fatto delle societa’, rilevando che: “depone per una condotta pienamente consapevole, predeterminata e funzionale all’esigenza di evadere le imposte, la reiterazione delle condotte. nel corso delle varie annualita’ durante le quali l’imputato ha ricoperto le cariche suddette” (pag. 31).
L’argomento, ignorato dal ricorrente, si pone nel solco della giurisprudenza consolidata di legittimita’ in forza della quale: “La prova del dolo specifico dei reati tributari in capo all’amministratore di diritto di una societa’, che funge da mero prestanome, puo’ essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalita’ dell’attivita’ svolta e la consapevolezza di tale illegalita’” (da ultimo Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Rv. 275830).
5. Il ricorso di (OMISSIS).
5.1 Il primo motivo e’ inammissibile.
Nonostante il riferimento formale al vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera d), il tenore complessivo dell’atto lascia comprendere come il vizio denunciato sia quello afferente alla motivazione e non alla mancata assunzione di prova decisiva.
Anche cosi’ configurata, la doglianza non riesce ad accedere all’ambito del giudizio di legittimita’, poiche’, lungi dal confrontarsi criticamente con le argomentazioni sviluppate dal giudice d’appello e con la complessiva tenuta logico-argomentativa della sentenza impugnata, sollecita una non consentita rivisitazione dalle valutazioni espresse dalla Corte distrettuale, reitera rilievi gia’ esposti e risolti in sede di merito, prospetta una lettura alternativa del materiale probatorio.
La vicenda – ricostruita analiticamente alle pagine 379 e ss. della sentenza di primo grado e trattata alle pagine 37 e 38 della sentenza di appello – concerne la demolizione del locale adibito a deposito ubicato sulla particella n. (OMISSIS) del catasto e dell’immobile di proprieta’ della famiglia (OMISSIS) insistente sulle particelle (OMISSIS), nonche’ la costruzione, in luogo degli stessi, di un edificio completamente diverso per sagoma, volume e prospetto.
In estrema sintesi (OMISSIS) – funzionario dell’ufficio tecnico del settore “urbanistica” del Comune di Marano e tecnico responsabile del procedimento in materia di controllo della DIA n. 20271 – nel redigere le relazioni n. 1175 del (OMISSIS) e n. 534 del 15 marzo 2006, ha attestato falsamente di aver accertato, in seguito a sopralluogo, che l’opera edificata era conforme al grafico di progetto allegato alla DIA, omettendo ogni riferimento alla illegittimita’ dell’intervento edilizio e alla sua manifesta incompatibilita’ con il PRG del Comune di Marano. La violazione piu’ grave ed evidente, su cui il pubblico ufficiale taceva, riguardava il cambio di destinazione d’uso e le modifiche strutturali apportate a un “locale-deposito” – di cui al foglio n. 38, particella 45 sub 2) posto a servizio di un convento dei frati minori – trasformato in “civili abitazioni”, nonostante la sottoposizione a vincolo storico – artistico ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004.
E’ pacifica, ed emerge per tabulas, la falsita’ ideologica delle relazioni tecniche in rassegna.
Il ricorrente deduce un vizio di motivazione in punto di elemento soggettivo, deducendo l’omessa valutazione di elementi a suo dire decisivi: l’esistenza di una particella gravata da vincolo storico non era stata denunciata nella pratica depositata in Comune, la circostanza non era nota all’imputato, che non avrebbe potuto avvedersene in sede di sopralluogo; tale verifica era estranea alle competenze e all’esperienza di un tecnico comunale addetto alla fase repressiva, non a quella istruttoria; non risponde al vero la circostanza che, nelle relazioni ritenute false, (OMISSIS) abbia citato la particella 45 sub 2 tra quelle interessate dai lavori; la buona fede dell’imputato sarebbe dimostrata dal fatto che lo stesso, una volta appresa l’esistenza del vincolo apposto dalla soprintendenza, si sarebbe immediatamente attivato al fine di sospendere l’esecuzione dei lavori.
Si tratta tuttavia di meri assunti che, nel riproporre tesi difensive gia’ confutate in sede di gravame, non tengono conto della risposta fornita dalla Corte di appello (pag. 38):
– la consapevolezza della falsita’ si trae dal fatto che l’imputato ha riportato la particella n. 45 sub 2 in altro provvedimento relativo al medesimo procedimento, mentre ne ha pretermesso l’indicazione nella relazione contestata;
– le censure difensive sono mere illazioni decontestualizzate dal quadro istruttorio;
– l’imputato era un tecnico di comprovata esperienza che operava nel territorio del Comune di Marano dal 2001;
– la versione secondo cui (OMISSIS) si sarebbe autodenunciato e’ smentita dalle risultanze in atti, dalle quali emerge che l’imputato, invece, prima ha omesso di rilevare l’esecuzione di lavori anche sulla particella 45 sub 2 e poi ha falsamente dichiarato che questa particella era stata indicata nella D.I.A. tra quelle che dovevano essere oggetto dei lavori da parte dei (OMISSIS).
5.2 Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
Il calcolo del termine prescrizionale afferisce a una questione giuridica, rispetto alla quale rileva la correttezza della decisione, mentre resta ininfluente il percorso argomentativo seguito e i correlativi, eventuali, vizi di motivazione.
Prendendo in considerazione il primo, in ordine temporale, dei due reati di falso addebitati all’imputato (quello afferente alla relazione tecnica n. 1175 del (OMISSIS)) si ottiene quanto segue.
Viene in rilievo il delitto di falso in atto pubblico fidefacente commesso da un pubblico ufficiale:
– secondo la disciplina in vigore al momento del fatto (prima della modifica introdotta con la L. n. 251 del 2005), tenuto conto del bilanciamento, effettuato in sentenza, in termini di equivalenza, tra aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, e circostanze attenuanti generiche: pena edittale massima sei anni di reclusione; prescrizione ordinaria: 10 anni; prescrizione massima 15 anni;
– secondo la disciplina in vigore dal 8 dicembre 2005, tenuto conto soltanto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale e non considerato il giudizio di bilanciamento: pena edittale massima computata l’aggravante ad effetto speciale di cui all’articolo 476 c.p., comma 2: dieci anni di reclusione: prescrizione ordinaria 10 anni; prescrizione massima dodici anni e sei mesi.
E’ piu’ favorevole il regime successivo alla L. n. 251 del 2005.
Avuto riguardo alla data di commissione del fatto ((OMISSIS)) e tenuto conto di almeno 242 giorni di sospensione a seguito di rinvii concessi su istanza dei difensori (dal 15 aprile 2015 al 6 maggio 2015: 21 giorni; dal 30 settembre 2015 al 7 ottobre 2015: 7 giorni; dal 21 luglio 2017 al 5 dicembre 2017: 137 giorni; dal 5 dicembre 2017 al 16 gennaio 2018: 42 giorni; dal 6 marzo 2018 al 10 aprile 2018: 35 giorni), il termine di prescrizione sarebbe decorso il 28 dicembre 2018, vale a dire dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado deliberata il 6 luglio 2018.
L’inammissibilita’ del ricorso preclude il rilievo della prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
A maggior ragione, prima della sentenza impugnata, non e’ maturata la prescrizione per il reato di falso, commesso con la relazione tecnica n. 534 del 15 marzo 2006.
6. Dalla inammissibilita’ dei ricorsi discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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