P.v.c. dell’Ag. delle Entrate e l’obbligo di avviso dell’assistenza di un legale

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47104.

La massima estrapolata:

Il processo verbale di constatazione redatto dal personale della Agenzia delle Entrate, per la sua natura di atto amministrativo extraprocessuale di specie ricognitiva, non presuppone l’obbligo di avvisare il soggetto sottoposto a verifica fiscale della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia, precisandosi che neppure puo’ essere qualificato quale “particolare modalita’ di inoltro della notizia di reato” (articolo 221 disp. att. c.p.p.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi.
Nel momento in cui emergono indizi di reato e non meri sospetti, occorre, pero’, procedere secondo le modalita’ prescritte dall’articolo 220 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed e’ utilizzabile, mentre non e’ tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. La richiamata disposizione stabilisce che “quando nel corso di attivita’ ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”. Dal momento cio’ nondimeno che nell’ambito di un’attivita’ ispettiva fiscale, quale quella che ha precorso la contestazione oggetto del presente procedimento, il soggetto sottoposto a verifica non riveste la posizione di persona sottoposta alle indagini ed, inoltre, detta attivita’ non rientra tra quelle indicate dall’articolo 356 c.p.p., che l’articolo 114 disp. att. c.p.p. – norma che presuppone lo svolgimento di un’attivita’ di polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto gia’ sottoposto ad indagini – espressamente richiama, l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal contribuente non deriva da una verifica fiscale in corso, ma solo dalla sussistenza di indizi di reato emersi nei suoi confronti nel corso dell’attivita’ medesima: solo in tal caso e’ richiesta l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma unicamente per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l’applicazione della legge penale

Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47104

Data udienza 24 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 9.2.2017 della Corte di Appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Fimiani Pasquale, che ha concluso per l’inammissibilita’
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 9.2.2017 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Treviso che aveva condannato (OMISSIS), titolare della ditta individuale ” (OMISSIS)” esercente attivita’ di commercio di alimenti e bevande per mezzo di distributori automatici, alla pena di 1 anno ed 8 mesi di reclusione per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 riferito alla dichiarazione IRPEF dell’anno di imposta 2008 per aver ivi indicato elementi attivi inferiori a quelli accertati dalla competente Agenzia delle Entrate nella nota allegata all’imputazione.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito all’articolo 552 c.p.p., comma 1, lettera c) e all’articolo 6 par. 1 lettera a) CEDU e al vizio motivazionale, la nullita’ della sentenza per mancata enunciazione del fatto contestato, in quanto, nelle tabelle allegate all’imputazione, due per ogni anno di imposta, non si specifica a quali voci debbono essere riferiti gli importi indicati, tutti riportati in un’unica casella con cifre in parte uguali, in parte diverse, cosi’ da non rendere comprensibile il fatto, non chiarito dalla Corte di Appello la cui motivazione, stante il generico riferimento alle tabelle, risulta meramente apparente.
3. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 62, 63, 64, 350 e 503 c.p.p. e articolo 220 disp. att. c.p.p. l’utilizzabilita’, quali elementi di prova, delle agende personali scritte a mano dall’imputato riferite all’anno di imposta in contestazione su cui si fonda, in quanto contenenti dati diversi da quelli ufficiali, la pronuncia di condanna. Deduce al riguardo che la qualificazione dei corrispettivi ivi annotati come dati della contabilita’ effettiva era stata tratta da dichiarazioni rese dall’imputato alla Guardia di Finanza nel corso della verifica fiscale, in assenza delle garanzie di legge. Sostiene che qualora nel corso della verifica fiscale emergano indizi di reato nei confronti del contribuente, diventa necessario al fine di legittimare l’utilizzabilita’ dei dati acquisiti come fonti di prova, procedere secondo le modalita’ di cui all’articolo 220 disp. att. c.p.p., indipendentemente dal fatto che si proceda nell’ambito di un procedimento amministrativo: conseguentemente i dati contenuti nelle agende dell’imputato non potevano essere ne’ acquisiti, ne’ utilizzati dal perito nominato ai fini della ricostruzione della contabilita’ dell’impresa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo non puo’ ritenersi ammissibile sia perche’ generico, non venendo specificato in cosa consista la dedotta equivocita’ delle tabelle sia perche’, in ogni caso, manifestamente infondato.
Poiche’ il principio informatore della contestazione dell’accusa e’ quello di assicurare all’imputato la possibilita’ di espletare la propria difesa rispetto ad ogni elemento dell’imputazione, in tanto e’ profilabile il vizio di indeterminatezza in relazione al fatto, in quanto sussista un’incertezza effettiva sul suo contenuto, tale da precludere all’imputato di avere chiara cognizione, ai fini della sua difesa, del fatto sostanziale, inteso come l’accadimento di ordine naturale, di cui cui vengono descritte nell’imputazione le circostanze soggettive ed oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra loro, da cui vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica.
Di regola, tali elementi risultano dagli atti facenti parte del processo e non soltanto da quelli che hanno la specifica funzione di segnare i termini dell’accusa (come gli ordini,i mandati,il decreto di citazione per il giudizio), ma anche da tutti gli altri atti che siano idonei ad avvertire l’imputato dei termini della contestazione, onde sia in grado di provvedere alla propria difesa. Come affermato gia’ da questa Corte “la nullita’ prevista per il caso in cui vi sia incertezza assoluta “sui fatti che determinano l’imputazione” non e’ configurabile allorche’ questa, anche se formulata in termini concisi e senza dettagliata enunciazione dei dati di accusa, sia idonea a rappresentare l’oggetto della incolpazione in relazione alle risultanze del processo, conosciute o conoscibili dall’imputato, e rispetto alla quale egli si sia difeso o sia stato posto nella condizione di difendersi” (Sez. 3, n. 5778 del 10/04/1985 – dep. 13/06/1985, Gonnelli, Rv. 169740): non soltanto il presente procedimento risulta preceduto dalla verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, onde l’imputato sin da allora e’ stato messo a conoscenza delle irregolarita’ riscontrate nei suoi confronti, ma in ogni caso lo specifico richiamo, contenuto nell’imputazione, alla nota delle Agenzia delle Entrate, e dunque all’avviso di accertamento, espressamente qualificata come parte integrante dello stesso atto, consente di prendere puntuale cognizione degli specifici importi contestati emergenti dal raffronto tra i dati dichiarati e quelli invece accertati, con conseguente determinazione dei profili fondamentali del fatto per il quale il giudizio e’ stato disposto.
Del resto lo stesso ricorrente, lamentando che gli elementi specificatori dell’accusa “vengono riportati in un’unica casella alla quale corrispondono importi in alcune ipotesi diversi, in altre ipotesi uguali”, da atto dell’indicazione degli specifici importi, attenendo al merito la verifica della loro rispondenza ai dati effettivi.
2. Il secondo motivo risulta inammissibile per la genericita’ delle censure di cui si compone. Mentre le agende personali dell’imputato costituiscono documenti di cui, in quanto provenienti dall’imputato che le ha spontaneamente consegnate alla GdF, e’ sempre consentita a norma dell’articolo 237 c.p.p. l’acquisizione e dunque pienamente utilizzabili, per quanto concerne le dichiarazioni rese da quest’ultimo nel corso della verifica fiscale, secondo cui in dette agende era contenuta la contabilita’ effettiva dell’impresa essendo ivi riportati gli incassi reali a seguito delle operazioni poste in essere, va rilevato che in tanto avrebbe potuto esserne preclusa l’utilizzazione in quanto fossero state acquisite ove fossero emersi, gia’ in pendenza della suddetta verifica, elementi di reita’ a carico del contribuente.
Invero, come gia’ affermato da questa Corte, il processo verbale di constatazione redatto dal personale della Agenzia delle Entrate, per la sua natura di atto amministrativo extraprocessuale di specie ricognitiva, non presuppone l’obbligo di avvisare il soggetto sottoposto a verifica fiscale della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia, precisandosi che neppure puo’ essere qualificato quale “particolare modalita’ di inoltro della notizia di reato” (articolo 221 disp. att. c.p.p.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi (Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015 – dep. 23/02/2015, Marchetti e altro, Rv. 262518; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008 dep. 2009), Ceragioli e altri, Rv. 242523).
Si e’ tuttavia precisato che, nel momento in cui emergono indizi di reato e non meri sospetti, occorre, pero’, procedere secondo le modalita’ prescritte dall’articolo 220 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed e’ utilizzabile, mentre non e’ tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. La richiamata disposizione stabilisce che “quando nel corso di attivita’ ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”. Dal momento cio’ nondimeno che nell’ambito di un’attivita’ ispettiva fiscale, quale quella che ha precorso la contestazione oggetto del presente procedimento, il soggetto sottoposto a verifica non riveste la posizione di persona sottoposta alle indagini ed, inoltre, detta attivita’ non rientra tra quelle indicate dall’articolo 356 c.p.p., che l’articolo 114 disp. att. c.p.p. – norma che presuppone lo svolgimento di un’attivita’ di polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto gia’ sottoposto ad indagini – espressamente richiama, l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal contribuente non deriva da una verifica fiscale in corso, ma solo dalla sussistenza di indizi di reato emersi nei suoi confronti nel corso dell’attivita’ medesima: solo in tal caso e’ richiesta l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma unicamente per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l’applicazione della legge penale (cfr. (Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015 – dep. 23/02/2015, citata).
Nulla di tutto cio’ viene dedotto dal ricorrente, che lungi dal menzionare l’emersione di indizi di reita’ nei suoi confronti, fa derivare l’eccepita inutilizzabilita’ delle sue dichiarazioni dalla sola verifica fiscale, atto che e’ invece di per se’ neutro con riferimento all’azione penale, occorrendoiper contro, per attribuire rilevanza penale al fatto, la concreta evenienza che emergano dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato che emerga dall’inchiesta amministrativa, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005 (dep. 2006), Cacace, Rv. 233330; Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).
Il ricorso deve essere in conclusione dichiarato inammissibile. Segue a tale esito la condanna del ricorrente a norma dell’articolo 616 c.p.p., non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Avv. Renato D’Isa