Pagamento onorari ed interessi

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|19 agosto 2022| n. 24973.

 

Pagamento onorari ed interessi

Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento), e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui all’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore.

Sentenza|19 agosto 2022| n. 24973. Pagamento onorari ed interessi

Data udienza 24 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – ONORARIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FALASCHI Milena – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 28046/2019 proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), quale difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/02/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANNA MARIA SOLDI, che chiede il rigetto del ricorso;
Lette le memorie della ricorrente.

Pagamento onorari ed interessi

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’avv. (OMISSIS) proponeva ricorso ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, per ottenere la liquidazione dei compensi maturati per l’attivita’ professionale svolta dinanzi al Tribunale di Salerno per resistere alla domanda avanzata nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. dalla (OMISSIS) S.r.l..
Nella resistenza della banca convenuta, il Tribunale adito con ordinanza n. 48 del 26 febbraio 2019, per quanto ancora rileva in questa sede, liquidava in favore del professionista il compenso nell’ammontare di Euro 61.159,57, con gli interessi ex Decreto Legislativo n. 231 del 2002, a far data dal 24 ottobre 2010 al saldo.
Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso la (OMISSIS) S.p.A., sulla base di un motivo.
L’avv. (OMISSIS) resiste con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 9646 del 13 aprile 2021, la Sesta Sezione civile, ritenuta l’assenza di evidenza decisoria, ha rimesso la causa alla pubblica udienza, occorrendo rivalutare il principio di sovente affermato da questa Corte, secondo cui gli interessi di mora per i crediti professionali dell’avvocato maturano solo a far data dall’adozione del provvedimento di liquidazione dei compensi.
La causa e’ stata poi fissata per la pubblica udienza del 24 febbraio 2022, in prossimita’ della quale la ricorrente ha depositato memorie.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il motivo del ricorso principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 4, nella parte in cui l’ordinanza impugnata ha attribuito gli interessi moratori ai sensi dello stesso D.Lgs., a far data dal 24 luglio 2010 al saldo, e cioe’ a far data dal trentesimo giorno successivo alla data di ricevimento da parte del debitore della fattura ovvero di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente, e quindi nella fattispecie, dal trentesirno giorno successivo all’invio del preavviso di parcella da parte dell’avv. (OMISSIS).
Si deduce che in tal modo e’ stato violato il principio per cui, quando insorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso dovuto per prestazioni professionali, il debitore non puo’ essere ritenuto in mora prima della liquidazione dei compensi con l’ordinanza che chiude il procedimento per cui e’ a quella data, e nei limiti di quanto liquidato dal giudice, che va rapportata la decorrenza degli interessi.
2. Rileva il Collegio che la soluzione cui aspira parte ricorrente ha effettivamente trovato il conforto di numerosi precedenti di questa Corte, dai quali e’ possibile ricavare il principio secondo cui, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione (comune alle
tre tariffe forensi) contenuta nel Decreto Ministeriale n. 238 del 1992, applicabile “ratione temporis”, per la quale gli interessi di mora decorrono dal terzo mese successivo all’invio della parcella, non si applica in ipotesi di controversia avente ad oggetto il compenso tra avvocato e cliente, non potendo quest’ultimo essere ritenuto in mora prima della liquidazione delle somme dovute con l’ordinanza che conclude il procedimento L. n. 794 del 1942, ex articolo 28, (cosi’ da ultimo Cass. n. 17655/2018, che pero’ reputa necessario distinguere la liquidazione effettuata con il procedimento speciale di cui al citato articolo 28 – ora regolato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, – da quella effettuata con decreto ingiuntivo, per la quale gli interessi richiesti dal ricorrente decorrono dalla notifica dello stesso e non dalla pubblicazione della sentenza che definisce l’opposizione).
Siffatta regola era stata ancor prima precisata da Cass. n. 2954/2016, che aveva appunto riprodotto la distinzione tra liquidazione effettuata con il procedimento camerale di cui all’articolo 28, e liquidazione avvenuta con decreto ingiuntivo, sostenendosi che nel primo caso il debitore non puo’ essere ritenuto in mora prima della liquidazione delle somme dovute con l’ordinanza che conclude il procedimento L. n. 794 del 1942, ex articolo 28, sicche’ e’ da tale data che, entro i limiti degli importi riconosciuti dal giudice, decorrono gli interessi (in senso conforme (Cass. 29 maggio 1999 n. 5240; Cass. 7 giugno 2005 n. 11777; Cass. 2 febbraio 2011 n. 2431; Cass. n. 13586 del 17/12/1991, e la piu’ remota cui sembra risalire per la prima volta l’affermazione di tale regola, Cass. n. 3995 del 11/06/1988).
In particolare, Cass. n. 20806/2011, nel riepilogare gli argomenti che deporrebbero a favore di questa conclusione, nel ribadire che la semplice redazione della parcella, poi spedita ai clienti, non e’ idonea a far decorrere gli interessi di mora, e pur consapevole del fatto che la mora non presupponga necessariamente la liquidita’ del credito – non essendo stato riprodotto, nella sua assolutezza, nel nostro ordinamento il principio, tipico del diritto romano, secondo il quale “in illiquidis non fit mora” – ha pero’ ritenuto che e’ pur sempre necessario, affinche’ sia configurabile il colpevole ritardo nel pagamento del debito, che sussista una sufficiente certezza del suo ammontare, con la conseguenza che, quando la determinazione dell’esatto valore di un’obbligazione pecuniaria sia rimessa al giudice, la costituzione in mora puo’ aversi, di regola, solo con la domanda giudiziale, con l’atto cioe’ che rende attuale l’esercizio di quel potere da parte del medesimo giudice (conf. Cass. n. 4561/1993).
Pertanto, nel caso in cui nel giudizio avente ad aggetto la determinazione del credito per prestazioni professionali, nell’ambito del quale al giudice, in presenza di una contestazione non meramente pretestuosa del cliente, si chiede di determinare non solo se la pretesa del difensore si sia mantenuta entro i limiti della tariffa ma anche se la medesima sia “congrua”, risulterebbe essenziale la liquidazione giudiziale, essendo demandato al giudice di valutare la rilevanza della materia controversa al fine di determinare lo “scaglione” tariffario applicabile e, nell’ambito di un minimo ed un massimo, dare rilevanza – con provvedimento discrezionale ad elementi non obiettivamente ponderabili al momento della spedizione della parcella, quali l’importanza dei risultati conseguiti, il pregio dell’opera professionale e le difficolta’ incontrate nell’espletamento dell’incarico.
Inoltre pur ribadendosi che il decreto ingiuntivo su notule professionali, contiene gia’ una liquidazione del credito stesso, all’esito della delibazione – provvisoria ma tendenzialmente idonea a divenire definitiva in caso di mancanza di opposizione – della documentazione offerta dai ricorrente, con la conseguenza che la notifica del decreto stesso riveste la funzione di domanda giudiziale e costituisce primo atto di rituale messa in mora, la decisione pero’ ribadisce che nel procedimento ex articolo 28 la mora decorre solo dalla liquidazione.
2.1 A tale orientamento se ne contrappone un altro che si e’ sviluppato nel corso degli anni dando vita ad un contrasto obiettivamente sincronico, e proprio in relazione al diritto agli interessi di mora per i crediti del professionista legale.
Il fondamento teorico di tale diversa soluzione e’ rappresentato dal principio, anche di recente riaffermato, secondo cui la liquidita’ del debito non e’ condizione necessaria della costituzione in mora, nel nostro ordinamento non valendo il principio “in illiquidis non fit mora”, con la conseguenza che, in caso di contestazione dell’entita’ del credito, l’atto di costituzione in mora produce i suoi effetti tipici, con riguardo agli interessi moratori, limitatamente alla parte del credito riconosciuta (principio che trova una delle sue piu’ risalenti affermazioni in Cass. n. 1105/1959, per la quale sussiste la mora del debitore, e cioe’ il ritardo colpevole ad adempiere, quando la mancata o ritardata liquidazione sia conseguente alla condotta ingiustificatamente dilatoria del debitore, e, in genere, al fatto doloso o colposo di lui, quale e’ il suo illegittimo comportamento processuale per avere egli, a torto, contestato in radice la propria obbligazione; in tal caso, legittimamente, quindi, la sentenza che liquida l’obbligazione inadempiuta stabilisce la decorrenza degli interessi moratori dalla data della interpellatio; conf. Cass. n. 1813/1976; Cass. n. 4413/1980, secondo cui una volta avvenuta la messa in mora, l’insorgere di contestazioni sull’an o sul quantum ed il conseguente accertamento giudiziale non modificano la decorrenza degli interessi di mora che decorrono, sulla somma che sia stata accertata come dovuta, dal giorno in cui sia avvenuta la costituzione in mora del debitore; Cass. n. 9510/2014).
Il principio cosi’ individuato e’ stato poi specificamente declinato in relazione ai crediti professionali dell’avvocato da Cass. n. 11736/1998, secondo cui l’invio della notula contenente la richiesta di pagamento dei compensi integra tutti gli estremi dell’atto di costituzione in mora, idoneo (ove giunto a conoscenza del destinatario) a dispiegare effetti sia ai fini della decorrenza degli interessi che del calcolo del maggior danno ex articolo 1124 c.c., comma 2, senza che assuma, in contrario, alcun rilievo la (eventuale) contestazione cel credito da parte del cliente, non vigendo nel nostro ordinamento il principio romanistico “in illiquidis non fit mora” (con la conseguenza che l’atto di costituzione in mora produrra’ i suoi effetti tipici limitatamente alla parte del credito che risultera’ in concreto dovuta).
La sentenza, nel rilevare l’illegittimita’ delle previsioni regolamentari all’epoca introdotte dalle tariffe professionali, secondo cui all’avvocato erano dovuti gli interessi e la rivalutazione monetaria dopo che fossero trascorsi tre mesi dall’invio della parcella senza contestazioni, non potendo una norma regolamentare introdurre una deroga ai principi generali in materia di obbligazioni, ha pero’ ricordato che, proprio facendo applicazione delle regole e dei principi coclicistici in tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, gli interessi non potevano che decorrere dall’atto di costituzione in mora da identificarsi nell’invio della parcella (conf. Cass. n. 8865/87; Cass. n. 5772/97; Cass. n. 9514/96), e cio’ in quanto il credito del professionista, al pari di qualsiasi altro credito, non puo’ che trovare tutela nella detta disciplina generale.
La richiesta di pagamento per una somma maggiore o minore non esclude che il credito sia sufficientemente identificato, sicche’ e’ valida, ai fini della costituzione in mora, anche la richiesta di una somma maggiore, ma l’atto di costituzione in mora produce i suoi effetti limitatamente alla parte di credito non contestata ovvero a quella che risultera’ all’esito dell’accertamento giudiziale (in termini Cass. n. 6064/1979). In linea con questo orientamento si pone anche Cass. n. 4712/1994, che espone le ragioni del proprio dissenso da Cass. n. 3995/1988 che, come detto, aveva inaugurato l’orientamento della decorrenza degli interessi di mora dalla data della decisione del procedimento ex articolo 28, ricordando che il principio in illiquidis non fit mora non trova applicazione quando il credito sia facilmente liquidabile in base a tariffe professionali ovvero quando il debitore frapponga ostacoli ingiustificati alla liquidazione del debito, occorrendo limitare la portata di Cass. n. 3995/1998 alla necessita’ di disapplicare le previsioni regolamentari di cui alle tariffe forensi che, in aggiunta agli interessi, riconoscevano al professionista anche la rivalutazione, in quanto derogando alla norma generale in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie di cui all’articolo 1224 c.c., esorbitavano dai limiti del potere regolamentare del Consiglio nazionale forense ristretto alla fissazione dei criteri per la determinazione degli onorari, diritti ed indennita’ spettanti agli avvocati e procuratori per la loro opera processionale.
2.2 Cosi’ riassunti i termini del dibattito giurisprudenziale, reputa il Collegio che il contrasto debba essere risolto a favore della soluzione che ritiene che anche per i crediti professionali derivanti dallo svolgimento dell’attivita’ di avvocato gli interessi debbano essere fatti decorrere dalla messa in mora, e cio’ anche nel caso in cui alla liquidazione si pervenga all’esito del procedimento di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14.
Depone a favore di tale soluzione il rilievo, piu’ volte sottolineato, che nel nostro ordinamento non e’ stato riproposto il principio romanistico in illiquidis non fit mora, e che pertanto, non ravvisandosi valide ragioni per differenziare il diritto di credito dell’avvocato da quello degli altri creditori, non e’ dato dettare una regola differente solo in tale ambito.
Va altresi’ ricordato che sussiste la mora del debitore, e cioe’ il ritardo colpevole di lui ad adempiere quando la mancata o ritardata liquidazione sia conseguente alla condotta ingiustificatamente dilatoria del debitore e, in genere al fatto doloso o colposo, quale e’ il suo legittimo comportamento processuale per avere egli a torto contestata la propria obbligazione.
Ne consegue che la sentenza ovvero l’ordinanza che liquidano l’obbligazione inadempiuta legittimamente stabiliscono la decorrenza degli interessi moratori dalla data della interpellatio, sempre che la stessa permetta al debitore di comprendere le ragioni in base alle quali il pagamento gli viene richiesto.
La liquidita’ del credito non e’, come detto, un requisito per la mora, anche nel caso in cui ad essere oggetto della domanda sia un’obbligazione di valuta, quale il credito professionale dell’avvocato.
Infatti, ancorche’ la mora presupponga la colpa del debitore, tale colpa va esclusa nel caso in cui il debitore sia impossibilitato in maniera assoluta, alla stregua dell’ordinaria diligenza, a quantificare la prestazione dovuta, ma non anche nel diverso caso in cui, pur a fronte di un credito ancora illiquido, sia data al debitore la possibilita’ di compierne una stima, anche sulla scorta, nel caso di crediti professionali, delle tariffe ed in relazione ad attivita’ certe nell’avvenuto espletamento e nella qualificazione.
Va quindi ravvisata la colpa del debitore in presenza di una condotta ingiustificatamente dilatoria, come ad esempio, nel caso in cui la contestazione giudiziale del credito sia radicale ovvero riguardi elementi essenziali del rapporto ancorche’ le prove confortino la loro sussistenza.
Non puo’ quindi sostenersi che la mera proposizione della domanda di accertamento del credito L. n. 794 del 1942, ex articolo 28, imponga la debenza degli interessi dalla data della relativa decisione, in quanto, ben potrebbe tale decisione essere adottata all’esito di un giudizio che non ha visto la costituzione del cliente, essendo il giudice sollecitato quindi solo a tradurre in termini monetari, sulla scorta dei parametri tariffari, il corrispettivo maturato per lo svolgimento dell’attivita’ professionale, ovvero all’esito di un giudizio che ha visto si’ la resistenza del cliente, ma volta solo a sollecitare una corretta applicazione delle previsioni legali, o ancora all’esito di un giudizio in cui le difese del resistente si siano rivelate del tutto destituite di fondamento ed aventi carattere dilatorio.
Ne’ potrebbe escludere la colpa la sola circostanza che, a seguito della valutazione del giudice o anche in ragione di alcune difese o eccezioni del convenuto, il credito sia riconosciuto in misura inferiore rispetto alla richiesta dell’attore, in quanto la riduzione del credito implica di norma che gli interessi di mora andranno calcolati sull’importo inferiore oggetto di liquidazione, ma senza che di per se’ tale riduzione comporti ex se l’esclusione della colpa del debitore, essendo sempre necessario a tale fine che ricorra una situazione tale da rendere assolutamente impossibile per il debitore, alla stregua dell’ordinaria diligenza, stabilire la somma dovuta, ancorche’ in misura ridotta rispetto alla richiesta, onde permettergli di sottrarsi agli effetti della mora. Depone per tale conclusione anche la considerazione per cui, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, articolo 28, come sostituito dal Decreto Legislativo cit., puo’ essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c., che da’ luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli articoli 3, 4 e 14 del menzionato D.Lgs.; oppure: b) ai sensi dell’articolo 633 c.p.c. e segg., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c. e segg., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli articoli 648, 649, 653 e 654 c.p.c., essendo invece, esclusa la possibilita’ di introdurre l’azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dall’articolo 702 bis c.p.c. e segg. (Cass. S.U. n. 4485 del 23/02/2018).
Poiche’ quindi la fase di opposizione per i decreti ingiuntivi aventi ad oggetto crediti per prestazioni giudiziali civili deve necessariamente svolgersi nelle forme del rito sommario speciale, ed essendo preclusa la facolta’ di ricorso alle forme del processo ordinario di cognizione, non avrebbe una razionale giustificazione la conclusione cui pur perviene il diverso orientamento di questa Corte che ritiene che gli interessi di mora decorrano sempre dalla notifica del decreto ingiuntivo, pur se oggetto di opposizione, e che invece occorra attendere la decisione del giudice ove la parte si sia avvalsa del procedimento sommario di cui alla L. n. 794 del 1942, articolo 28.
L’orientamento qui avversato, oltre a creare uno statuto delle obbligazioni del tutto autonomo per i crediti professionali degli esercenti la professione forense, e derogatorio rispetto alle regole generali dettate in materia di obbligazioni, nell’affermare in maniera assoluta che sia sempre necessaria la decisione del procedimento sommario sui compensi dell’avvocato per la produzione della mora, anche laddove le contestazioni non siano tali da escludere la stessa colpa del debitore, secondo quanto sopra precisato, implica uri indubbio pregiudizio per la posizione del creditore, favorendo in tal modo il proliferare di contestazioni di carattere anche meramente dilatorio, attesa la possibilita’ per la parte debitrice di poter fruire di un differimento della decorrenza degli interessi di mora pari alla durata dell’intero procedimento di liquidazione giudiziale.
Se cosi’ non fosse, la contestazione da parte del debitore inadempiente si tradurrebbe in un inammissibile vantaggio per il medesimo. Il debitore, invece, per paralizzare gli effetti della mora deve offrire di adempiere, sia pure per la parte non contestata.
Ne’ appare munita di razionalita’ la distinzione tra accertamento del credito che avvenga all’esito del processo sommario di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, e cioe’ per prestazioni giudiziali rese in sede civile, e l’accertamento che avvenga per crediti dell’avvocato aventi una diversa causale, e per i quali resta ferma la possibilita’ di far ricorso al procedimento ordinario di cognizione ovvero al sommario codicistrco di cui all’articolo 702 bis c.p.c., per i qual del pari il giudice e’ chiamato a dare specificazione in termini monetari ad una pretesa creditoria avvalendosi dei parametri offerti dalle tariffe professionali.
Trattasi peraltro di esito che appare anche contrastare con i piu’ recenti interventi del legislatore che, proprio al fine di scongiurare condotte pretestuose del debitore in ambito processuale, con la L. n. 162 del 2014, di conversione del Decreto Legge n. 132 del 2014, per i giudizi introdotti a decorrere dal trentesimo giorno dalla data di pubblicazione della legge di conversione, ha introdotto l’articolo 1284 c.c., comma 4, che appunto dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali, manifestando in tal modo il chiaro intento di contrastare, anche con la maggiorazione degli interessi di mora, pratiche dilatorie ovvero ostruzionistiche del debitore, intendendo in ogni caso assicurare che la durata del processo non possa andare a danno del creditore.
Sostenere in maniera indiscriminata che gli interessi di mora decorrano solo dalla data della decisione che abba determinato l’esatto ammontare del credito professionale, equivarrebbe a rendere inapplicabile la previsione de qua ai crediti professionali degli avvocati, quanto meno per le prestazioni giudiziali, per le quali si impone la decisione con le ‘orme del procedimento sommario speciale.
2.3 Va quindi affermato il seguente principio di diritto: Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’articolo 1224 c.c., competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento), e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, non potendosi escludere la mora sol perche’ la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore.
Il motivo in esame deve quindi essere rigettato.
Infatti, rilevato che non e’ in contestazione il fatto che gli interessi moratori debbano essere calcolati in base alle previsione di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2002, e che la censura investe solo la data di decorrenza iniziale del loro calcolo, la decisione gravata ha deciso conformemente a diritto.
Infatti, una volta ritenuto che anche la comunicazione del preavviso di parcella conteneva una richiesta di pagamento, tale da determinare la messa in mora, e cio’ avuto riguardo al fatto che con la propria difesa la banca contestava solo l’applicazione dello scaglione effettivamente applicabile e non anche l’effettiva sussistenza delle prestazioni professionali per le quali era richiesto il compenso, la convenuta una volta pervenuta la richiesta del professionista, avrebbe dovuto quanto meno offrire il pagamento di quanto ritenuto essere dovuto sulla base del diverso scaglione tariffario applicabile. Sicche’ la sua resistenza in giudizio non impedisce le conseguenze della mora quanto alla minor somma comunque riconosciuta come spettante all’avv. (OMISSIS).
3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
4. Poiche’ il ricorso e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la sua impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma dell’articolo 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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