Predeterminazione dei criteri di valutazione nei concorsi pubblici

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7115.

La massima estrapolata:

La predeterminazione dei criteri di valutazione è regola generale per tutti i concorsi pubblici, non solo per quelli con accesso dall’esterno, rilevando in egual modo l’esigenza di garantire l’effettiva attuazione della trasparenza della procedura selettiva in quanto si configura, in tutti i casi, quale condizione necessaria e imprescindibile ai fini della sufficiente motivazione del giudizio espresso con voto numerico.

Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7115

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8785 del 2010, proposto da:
Comune di Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Am. Ba. e Gi. Sa. De Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ra. Po. in Roma, via (…);
contro
An. Ma. Ni., Mi. Sp., rappresentate e difese dall’avvocato An. Br., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Al. Vi. ed altri, non costituiti in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 8367 del 2010, proposto da:
Al. Vi. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Al. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. An. in Roma, piazza (…);

contro
An. Ni., Mi. Sp., rappresentate e difese dall’avvocato An. Br., con domicilio eletto presso lo studio An. Br. in Roma, via (…);
Commissione Esaminatrice Selezione Interna per 3 Posti di Ufficiale Tenente di Polizia Municipale ed altri, non costituiti in giudizio;

nei confronti
Comune di Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Am. Ba., Gi. Sa. De Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ra. Po. in Roma, via (…);
entrambi per la riforma:
della sentenza del T.a.r. Campania – Sezione Staccata di Salerno, Sezione II, n. 11035/2010, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ni. An. Ma., di Sp. Mi. e del Comune di Avellino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Am. Ba., An. Br., An. Gi. su delega dell’avvocato Al. Me.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, le signore An. Ma. Ni. e Mi. Sp. impugnavano gli atti (compresa la graduatoria di merito definitiva e, ove occorra e nei limiti dell’interesse, il bando) della selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di n. 3 posti di “Ufficiale Tenente” di Polizia Municipale, mediante progressione verticale – categoria D- posizione economica D1, indetta con determina dirigenziale n. 2595 del 29 agosto 2008 dal Comune di Avellino (di seguito “il Comune”) e alla quale le ricorrenti, istruttrici di vigilanza in servizio presso il Corpo di Polizia Municipale del Comune, avevano partecipato, collocandosi rispettivamente al quinto e al quattordicesimo posto.
2. Le ricorrenti assumevano che la procedura concorsuale fosse inficiata da una serie di illegittimità, articolando rispetto alla stessa plurime censure di violazione di legge, dei principi di legalità, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa, dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990, dei principi di segretezza e par condicio nelle procedure concorsuali, di eccesso di potere per arbitrarietà, irrazionalità, manifesta illogicità, disparità di trattamento.
2.1. In particolare, le ricorrenti con cinque motivi lamentavano che: a) le buste, contenenti gli elaborati dei singoli candidati, non erano state firmate, né datate sui lembi di chiusura, dal Presidente della Commissione, recando solo, sul fronte, delle sigle, assolutamente inidonee, tuttavia, a surrogare l’inderogabile prescrizione di cui sopra, analoghe a quelle recate anche dai regolamenti comunali; b) la Commissione non aveva preventivamente determinato i criteri di valutazione per la correzione delle prove scritte e la valutazione di quelle orali, non indicati neppure nel bando di concorso, che si era limitato a descrivere lo svolgimento delle operazioni; c) la mancanza di criteri preordinati alla valutazione aveva determinato anche una palese violazione dell’obbligo di congrua motivazione, traducendosi in un’assoluta arbitrarietà nell’attribuzione dei voti; d) la Commissione avrebbe sovvertito l’ordine dei lavori previsto dalla normativa di settore, che imponeva una tassativa scansione procedimentale, laddove, nella specie, la valutazione dei titoli aveva preceduto lo svolgimento delle prove scritte e orali; e) il numero delle domande predisposte dalla Commissione per le prove orali era insufficiente rispetto al numero dei candidati.
2.2. Si costituivano in resistenza il Comune e i controinteressati classificati ai primi tre posti (Vi. Al. ed altri) i quali depositavano controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso collettivo per conflitto di interessi tra le ricorrenti, e ricorso incidentale, con cui impugnavano gli stessi provvedimenti gravati, nella parte in cui non avevano disposto l’esclusione delle ricorrenti principali benché gli elaborati delle loro prove scritte presentassero evidenti segni di riconoscimento.
3. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale, ritenuta la propria giurisdizione e respinte le eccezioni di tardività sollevate dalla difesa comunale (per asserita mancata tempestiva impugnazione delle previsioni del bando, di cui il provvedimento impugnato era mera attuazione) e di inammissibilità (del ricorso cumulativo per conflitto di interessi tra le posizioni soggettive dedotte in giudizio dalle ricorrenti principali), ha accolto il ricorso principale ritenendo fondato il vizio, assorbente e con valenza invalidante dell’intera procedura, relativo alla dedotta violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 487 del 1984, stante l’assenza di predeterminazione da parte della Commissione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali al fine dell’assegnazione dei punteggi, dichiarando perciò inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale dei controinteressati in quanto sarebbe stato ultroneo discutere dell’esclusione delle concorrenti da una procedura irrimediabilmente illegittima e perciò da annullare.
4. Per la riforma della sentenza hanno proposto appello, con i due separati ricorsi indicati in epigrafe, il Comune di Avellino e i signori Vi. Al. ed altri.
4.1. Il Comune (ricorso n. 8785 del 2010) ha dedotto l’ingiustizia della sentenza alla stregua dei seguenti motivi: “1) Inammissibilità – improcedibilità – sopravvenuta carenza di interesse; 2) Error in procedendo – irricevibilità – inammissibilità – improcedibilità – carenza di interesse – 3) Error in iudicando- violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2. del d.P.R. n. 487 del 9 maggio 1994 e del Regolamento per le selezioni del personale ai fini delle progressioni verticali del Comune di Avellino approvato con Delibera di G.C. numero 272/2008 – Erroneità, contraddittorietà, insufficienza di motivazione su punti decisivi ai fini della decisione della controversia”.
4.2. Nel ricorso n. 8367 del 2010 gli appellanti hanno invece dedotto: “1) Error in procedendo – Violazione dei principi in materia di ricorso collettivo – Motivazione erronea e carente; 2) Error in iudicando – errore di fatto e di diritto e falsa applicazione degli artt. 1 e 12 del d.P.R. 9 maggio 1984, n. 487 – Carenza, incongruenza ed erroneità della motivazione”.
4.3. Nel ricorso n. 8367 del 2010 si è costituito in giudizio il Comune chiedendo l’accoglimento dell’appello.
4.4. Hanno resistito agli appelli le originarie ricorrenti, mediante memorie difensive con cui hanno illustrato le loro tesi, riproponendo altresì, ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm., le censure ritenute assorbite dal tribunale.
4.4. All’udienza del 27 settembre 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. Va innanzitutto disposta la riunione degli appelli in trattazione, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., in quanto rivolti avverso la stessa sentenza (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1763).
6. La Sezione preliminarmente rileva come non sussista l’eccepita carenza di interesse ad impugnare la sentenza in epigrafe da parte del Comune appellante, che si è limitato a dare esecuzione al dictum giudiziale, costituendo mero atto dovuto la conformazione del potere agli effetti della sentenza, senza che in ciò possa ravvisarsi prestazione di acquiescenza alle statuizioni contestate con l’odierna impugnazione.
7. Vanno, poi, scrutinate le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, riproposte dagli appellanti e disattese dal tribunale, sia per l’esistenza di un conflitto di interesse tra le posizioni soggettive delle originarie ricorrenti (avendo la Ni., collocatasi in posizione utile, interesse alla conservazione della graduatoria di merito, la Sp., invece, solo un interesse, confliggente rispetto al primo, all’annullamento dell’intera procedura), sia per carenza di interesse ad agire, per l’impossibilità, da parte delle medesime, di trarre alcuna utilità dall’annullamento degli atti impugnati, stante la preclusione per l’Amministrazione, alla luce della sopravvenuta disposizione di cui all’art. 62 del d.lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 (che ha modificato l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001), di procedere all’espletamento di un concorso interno riservato e il mancato possesso, da parte delle ricorrenti in primo grado, dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno mediante partecipazione al concorso pubblico che, nel caso di specie, per la categoria messa a concorso è il diploma di laurea.
6.1. Le eccezioni sono infondate.
6.2. La Sezione rileva, invero, come, per un verso, la diversità delle posizioni nella titolarità delle ricorrenti in primo grado sia solo dedotto dall’appellanti, ma smentito dai contenuti del ricorso introduttivo, essendo tutte le censure ivi articolate volte ad ottenere l’integrale demolizione della selezione in parola (con conseguente ammissibilità del ricorso cumulativo proposto), e, per altro verso, che l’interesse al ricorso permane nonostante il fatto che, per effetto della normativa sopravvenuta su indicata, l’amministrazione non potrà più bandire concorsi riservati al personale interno ai fini della realizzazione delle progressioni c.d. verticale: non vi è dubbio che, infatti, nel caso di specie l’interesse delle ricorrenti in primo grado si ricollegava e si ricollega ancora oggi quanto meno al fatto di non vedersi sopravanzate nell’organizzazione della Polizia Municipale da soggetti non valutati legittimamente.
7. Nel merito gli appelli sono infondati, avendo in effetti il primo giudice fatto retto governo dei consolidati principi giurisprudenziali in materia di pubblici concorsi.
7.1. Invero, come noto (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 agosto 2017 n. 4107), in materia di pubblici concorsi, le commissioni esaminatrici, chiamate a fissare i parametri di valutazione e poi a giudicare su prove di esame o di concorso, esercitano non una ponderazione di interessi, ma un’amplissima discrezionalità tecnica, sulla quale il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere in particolari ipotesi-limite, riscontrabili dall’esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza); costituiscono, pertanto, espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica, culturale ovvero attitudinale dei candidati, tanto il momento (a monte) dell’individuazione dei criteri di massima per la valutazione delle prove, quanto quello (a valle) delle valutazioni espresse dalla commissione giudicatrice; da ciò discende che sia i criteri di giudizio, sia le valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non nei limitati casi in cui l’esercizio del potere discrezionale trasmodi in uno o più dei vizi sintomatici dell’eccesso di potere (irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti), i quali – tipicamente – rappresentano vizi della funzione amministrativa, per essere stato, il potere, scorrettamente esercitato o finalizzato al raggiungimento di finalità estranee a quella della scelta dei soggetti più idonei a ricoprire la funzione (in tal senso Cons. di Stato, V, 28 febbraio 2018, n. 1218).
7.2. Ciò premesso, non è revocabile in dubbio che, nel caso di specie, sia del tutto mancata l’indispensabile e compiuta predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove dei candidati, sia nel bando (che si è limitato a disciplinare lo svolgimento della selezione, il contenuto delle prove e le modalità di calcolo del voto numerico espresso in trentesimi) sia, successivamente, ad opera della Commissione esaminatrice in apposito verbale da redigersi prima dell’esame o dello svolgimento delle prove, contenente la formulazione dei criteri di massima o la sua integrazione (anche mediante un mero richiamo agli indirizzi, autovincolanti, eventualmente già espressi in sede di redazione del bando): ed infatti, come bene rilevato dal primo giudice, dalla lettura dei verbali delle operazioni concorsuali, emerge che la Commissione non ha preventivamente fissato alcun criterio, in linea generale ed astratta, per la valutazione e l’attribuzione del punteggio delle prove scritte (vedasi verbali contrassegnati con i numeri 6 e 7), come pure delle prove orali (verbale numero 11).
7.3. Non coglie, poi, nel segno l’argomento secondo cui, vertendosi nel caso di specie in esame di un concorso interno (e, in definitiva, di forme di riqualificazione del personale già in servizio) o, comunque, indetto da un ente locale, ciò escluderebbe la necessità di una predeterminazione dei criteri di massima, venendo così meno la portata invalidante dell’intera procedura conseguente ad una siffatta mancanza. La predeterminazione dei criteri di valutazione è, infatti, regola generale per tutti i concorsi pubblici (non solo per quelli con accesso dall’esterno), rilevando in egual modo l’esigenza di garantire l’effettiva attuazione della trasparenza della procedura selettiva in quanto si configura, in tutti i casi, quale condizione necessaria e imprescindibile ai fini della sufficiente motivazione del giudizio espresso con voto numerico (Cons. di Stato, V, 28 giugno 2004, n. 4782): ciò in base ai principi enunciati dall’art. 12, comma 1, d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (rubricato “trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali”), norma correttamente richiamata dal primo giudice e posta a fondamento della decisione impugnata, che testualmente dispone: “Le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove.” Non può, infatti, condividersi l’assunto delle parti appellanti (ricorso n. 8367/2010) secondo cui la norma non troverebbe applicazione per gli enti locali, a seguito delle modifiche recate agli artt. 114 e 117 Cost. dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 in considerazione dell’autonomia regolamentare riconosciuta ai Comuni nelle materie di propria competenza, compresa dunque quella delle procedure selettive e dovendo, per tale ragionare, operare le specifiche previsioni del Regolamento comunale per i concorsi interni che non richiederebbero alcuna previa determinazione dei criteri valutativi: la norma richiamata, avente natura imperativa, deve, infatti, ritenersi espressione dei principi di buon andamento, trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione.
7.4. Né può confondersi la verbalizzazione dei giudizi, costituenti espressione di discrezionalità tecnica nella valutazione delle prove sostenute dai partecipanti al concorso, con l’indicazione puntuale dei criteri di massima, che rappresentano invece i parametri cui deve conformarsi il legittimo esercizio di quella discrezionalità .
7.5. Non merita, poi, neppure favorevole considerazione l’assunto, prospettato dal Comune appellante con il secondo motivo di censura, in merito all’irricevibilità del ricorso per la tardiva impugnazione del bando nel termine perentorio di legge (decorrente dalla sua pubblicazione), con conseguente inammissibilità dell’impugnazione degli atti concorsuali, aventi natura meramente esecutiva delle previsioni contenute nella “lex specialis” del concorso: ciò in quanto, come peraltro riconosciuto dallo stesso Comune, per un verso, la predeterminazione di criteri e modalità di valutazione delle prove, costituendo profilo attinente al corretto svolgimento delle operazioni concorsuali, avviene normalmente ad opera della Commissione, non sussistendo perciò alcun onere di immediata impugnativa del bando che quella predeterminazione non conteneva (ben potendo le partecipanti confidare nel fatto che ciò sarebbe avvenuto in itinere); per altro verso, l’onere di immediata impugnativa delle clausole del bando, come ricordato dal primo giudice, sussiste soltanto per le clausole determinanti un’immediata preclusione alla partecipazione e, perciò, lesive dell’interesse sostanziale del soggetto che domanda di partecipare alla procedura, mentre negli altri casi l’impugnazione delle norme del bando può e deve essere proposta unitamente agli atti che di esse fanno applicazione, conclusivi del procedimento concorsuale ed idonei a rendere concreta e attuale la lesione della situazione soggettiva che legittima la proposizione del ricorso. Pertanto, la partecipazione delle originarie ricorrenti al concorso in oggetto, pur nell’assenza di previsioni sui parametri di massima per la valutazione ad opera del bando (e, successivamente, da parte della Commissione) ed in mancanza di una sua tempestiva impugnazione, non comporta acquiescenza e non preclude l’impugnazione degli atti concorsuali per violazione di legge e dei principi di trasparenza e imparzialità che devono informare lo svolgimento delle procedure selettive.
7.6. Parimenti, non coglie nel segno la tesi del Comune secondo cui sarebbe stato onere delle originarie ricorrenti contestare di aver subito, a ragione di tale omissione, un concreto ed effettivo pregiudizio rispetto alle prove sostenute, sia pure sul piano comparativo, formulando specifiche censure riguardo alle valutazioni operate dalla Commissione nei loro confronti: ciò che infatti viene qui constatato non è l’esistenza di contraddizioni nei giudizi espressi né l’attribuzione dei punteggi conseguiti, né l’esistenza di presunte disparità di trattamento o la violazione del principio di imparzialità (con riguardo alla predeterminazione delle domande poste ai candidati e al loro sorteggio nonché alla motivazione dei giudizi concernenti lo svolgimento delle prove), bensì un’irregolarità sostanziale attinente all’assenza dei criteri e dei metodi di valutazione idonea ad inficiare l’intera procedura (le ricorrenti facendo così valere non già un interesse meramente strumentale al ripristino della legalità violata, bensì l’interesse sostanziale alla riedizione della selezione e al riacquisto delle “chances” di vittoria), in quanto una tale violazione non consente alcun controllo in concreto circa il corretto esercizio della discrezionalità tecnica spesa dalla Commissione, escludendo di fatto ogni possibilità di verifica circa il percorso logico-argomentativo seguito da quest’ultima nella valutazione degli elaborati scritti e dell’esposizione orale dei candidati e in ordine all’effettiva rispondenza dei giudizi espressi alle prove effettivamente da questi sostenute, nonché dei singoli punteggi attribuiti ad una griglia di valori preventivamente stabilita, al fine di assicurare il regolare esito della selezione e garantire il fine proprio della procedura concorsuale. Di conseguenza, il vizio dedotto, ed effettivamente riscontrato, ha comportato una radicale e insanabile illegittimità dell’intera operazione valutativa del concorso in argomento, traducendosi in una grave violazione delle regole di trasparenza ed imparzialità che devono presiedere ogni procedura concorsuale, attesa la valenza imperativa dell’art. 12 del d.P.R. n. 487 del 1984 risultando, in assenza della previa fissazione dei criteri di massima, ogni valutazione delle prove d’esame arbitraria ed irrimediabilmente illegittima, pur in presenza di un eventuale giudizio, sintetico o analitico, di supporto al punteggio numerico attribuito.
8. In conclusione, gli appelli riuniti devono essere respinti, il che esime la Sezione dall’esame dei motivi assorbiti, ma riproposti.
9. Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della vicenda e della natura della controversia, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così provvede: a) riunisce gli appelli; b) li respinge.
Dispone compensarsi integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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