Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|7 ottobre 2022| n. 29234.

Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa.

Sentenza|7 ottobre 2022| n. 29234. Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito

Data udienza 6 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Lavoro – Adibizione a mansioni inferiori – Pretesa risarcitoria – Non integrazione della prescrizione fino a che l’evento dannoso continua a protrarsi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. CASO Francesco Giuseppe L. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 696/2019 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
la (OMISSIS) ( (OMISSIS)) s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1804/2018 della Corte di Appello di Roma, depositata il 26.6.2018, R.G. n. 1615/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2022 dal Consigliere Dott. Francesco Giuseppe L. CASO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 3595/2015, il Tribunale di Roma rigettava la domanda che (OMISSIS) aveva proposto nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., diretta ad ottenerne la condanna al risarcimento del danno per erroneo inquadramento dall’1.10.1978 al 26.6.2002.
2. Il primo giudice riteneva, in tal senso, fondata l’eccezione di prescrizione del diritto azionato, osservando sul punto che, trattandosi di responsabilita’ contrattuale, il termine di prescrizione decennale ex articolo 2944 c.c., doveva farsi decorrere dal momento dell’asserito erroneo inquadramento del ricorrente da parte dell’allora datrice di lavoro (OMISSIS) (1973), e dunque abbondantemente trascorso alla data di presentazione della prima istanza di revisione del suo inquadramento nei ruoli della Regione Lazio (2007).
3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello che il (OMISSIS) aveva interposto contro la sentenza di primo grado, lo condannava al pagamento, in favore dell’appellata, delle spese del secondo grado, e lo dichiarava tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso in appello.
3. Avverso la sentenza di secondo grado il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. Ha resistito l’intimata, con controricorso.
5. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
6. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.

Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia “Violazione di legge: articolo 112 c.p.c., articoli 2103 e 2937 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”. In sintesi, sostiene che: “L’argomento della distinzione fra diritto alla qualifica superiore e singoli diritti patrimoniali connessi all’inquadramento piu’ elevato non era stato, innanzitutto, mai eccepito dalla difesa di Cotral”. Di qui il vizio di extrapetizione ex articolo 112 c.p.c., pur dedotto dal ricorrente in tale motivo. Sotto altro profilo, lo stesso deduce che le due pronunce citate dalla Corte distrettuale a sostegno del rigetto della domanda, nella prima parte della motivazione della sua decisione, non apparivano conferenti al caso di specie, e che gli atti di Cotral da lui indicati costituivano atti incompatibili con la volonta’ di far valere ovvero eccepire l’intervenuta prescrizione del diritto del ricorrente con gli effetti previsti dall’articolo 2937 c.c..
2. Con il secondo motivo, deduce “Violazione dell’articolo 2935 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”. In esso, critica l’impugnata sentenza nella parte relativa alla decorrenza del termine di prescrizione, sostenendo “che affinche’ il termine prescrizionale possa utilmente decorrere l’illecito (contrattuale o aquiliano), in particolare se si tratta di illecito che non si e’ estrinsecato in un unico fatto dannoso ma ha protratto nel tempo i suoi effetti (quindi, fino al giugno 2002, allegato 5.18) deve da un lato essere cessato e dall’altro essere “oggettivamente percepibile e riconoscibile” da parte del lavoratore, tenuto anche conto che, come evidenziato in primo grado “non e’ dal dipendente esigibile – alla stregua dell’ordinaria diligenza – alcuna verifica dei dati forniti che, provenendo dalla parte datoriale (nel nostro caso particolarmente qualificata e strutturata) dovevano ritenersi per cio’ solo attendibili”.
3. Il secondo motivo e’, per quanto di ragione, fondato.
4. Per comprendere il caso, occorre chiarire che, come risulta dalla decisione impugnata, il diritto fatto valere dal ricorrente era quello al risarcimento del danno per erroneo inquadramento dal 1 ottobre 1978 al 27 giugno 2002″ (e non il diritto alla qualifica superiore) e che l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla convenuta ed accolta gia’ dal primo giudice, era appunto riferibile a tale “diritto azionato” (cfr. § 1-2 dell’impugnata sentenza).
“Con il primo motivo l’appellante”, ossia il (OMISSIS), aveva censurato “la decisione de qua per essere incorsa in un errore di giudizio nel non considerare che, in ordine alla dedotta eccezione di prescrizione decennale sollevata dalla societa’ convenuta, quest’ultima con le note del 26 settembre 2007 prot. N. 31337 e del 15 aprile 2008 prot. 11925 aveva riconosciuto l’erroneita’ dell’inquadramento a suo tempo riconosciuto al lavoratore ponendo in essere un comportamento affatto incompatibile con l’interesse a far valere l’eccezione di prescrizione del diritto. Insomma, l’esternazione della volonta’ di riconoscere il diritto all’inquadramento corrispondente al livello spettante al ricorrente, indirizzata anche alla Regione Lazio affinche’ provvedesse ad adeguare, ancorche’ tardivamente, lo status giuridico ed economico del dipendente, rappresenterebbe, secondo la difesa appellante, una chiara espressione di rinuncia alla prescrizione del connesso diritto al risarcimento del danno, di cui il primo giudice non avrebbe ingiustamente tenuto conto” (cosi’ a pag. 2 nel § 3).
A questa prima doglianza dell’allora appellante si riferisce essenzialmente tutta una prima parte dell’impugnata sentenza (cfr. § 5, 5.1., 5.2., 5.3., 5.4. della stessa), che e’ quella che ora forma oggetto del primo motivo di ricorso.
In sintesi, in questa parte della sua motivazione, non del tutto chiara, la Corte territoriale, muovendo dalla “distinzione del diritto alla qualifica superiore… dai singoli diritti patrimoniali connessi all’inquadramento piu’ elevato” e dal rilievo che: “la domanda avente per oggetto il riconoscimento di qualifica”e “quella avente per oggetto la corresponsione della retribuzione adeguata alle mansioni superiori effettivamente svolte” sono da ritenersi “distinte ed autonome, in quanto basate su presupposti diversi, con la conseguenza che la seconda domanda, ove non espressamente proposta, non puo’ ritenersi implicitamente contenuta nella prima (Cass. 4698/1982)”, ha sostenuto che: “Analogamente, movendo su un piano nettamente distinto le differenti situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio (la mancata attribuzione della qualifica superiore e il risarcimento del danno da essa derivante) non possono dunque sovrapporsi per lasciare intendere che il riconoscimento del superiore inquadramento comporti il riconoscimento dei diritti connessi e, allo stesso tempo, la rinuncia a far valere la prescrizione di questi ultimi da parte dell’obbligato”.
5. Sempre secondo quanto riferito dal giudice a quo, “Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’erroneita’ della decisione sotto il diverso profilo della decorrenza della prescrizione, posto che il giudice di prime cure avrebbe dovuto individuare quale termine iniziale non gia’ la data del presunto erroneo inquadramento ma il momento in cui l’illecito era apparso al dipendente “oggettivamente percepibile e riconoscibile” e cioe’ dal settembre 2007 o quantomeno dalla cessazione degli effetti di tale illecito, corrispondente alla data di inquadramento del ricorrente nella superiore qualifica dirigenziale”.
In risposta a tale doglianza, la Corte di merito aveva osservato: “5.5. – Sotto altro profilo, appare del tutto erronea la prospettazione difensiva secondo cui, in ogni caso, il termine iniziale di decorrenza della prescrizione dovrebbe coincidere con il momento di percezione dell’esistenza di un danno, nella specie corrispondente alla comunicazione di (OMISSIS) del 2007, atteso che proprio il fatto generatore di danno denunciato dal ricorrente, costituito dal suo erroneo inquadramento iniziale risalente al 1973, era idoneo a produrre in ipotesi conseguenze ricadenti direttamente e immediatamente nella sua sfera patrimoniale (in quanto incidenti sulla progressione economica del lavoratore).
5.6. – Del resto, non puo’ sottacersi la circostanza – pure specificamente dedotta (dal)la difesa dell’appellata – che la nota di CO.TRAL del settembre 2007 fu la risposta ad un’istanza del (OMISSIS) con la quale si chiedeva il riesame del suo stato giuridico al momento del passaggio nei ruoli della Regione Lazio del 1978. Appare chiaro allora che il ricorrente fosse gia’ pienamente a conoscenza del presunto errore e delle supposte conseguenze dannose sin da prima del settembre 2007; cio’ ove piu’ si consideri che gia’ nel 1983 (delibera n. 6480 del 01.12.1983) la Regione Lazio aveva respinto analoga richiesta di revisione avanzata dal (OMISSIS) con provvedimento amministrativo verso il quale quest’ultimo aveva prestato acquiescenza (v. nota della Regione Lazio prot. N. 153329 del 5 dicembre 2007 doc. 5 del fascicolo di parte)”.
6. Ebbene, tali considerazioni della Corte romana, in base alle quali era rimasto confermato che il dies a quo del diritto azionato dovesse essere individuato nel “fatto generatore di danno denunciato dal ricorrente, costituito dal suo erroneo inquadramento iniziale risalente al 1973”, sono giuridicamente errate.
7. Sempre per ragioni di chiarezza, occorre ricordare che, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, il diritto del lavoratore all’inquadramento professionale, costituendo un diritto di credito derivante dalle mansioni concretamente svolte e in relazione al quale vi e’ per il datore di lavoro il corrispondente obbligo di assegnazione, soggiace alla prescrizione ordinaria decennale di cui all’articolo 2946 c.c.. Il decorso del decennio dal momento dell’insorgenza del diritto non preclude definitivamente l’accesso al superiore inquadramento allorche’ continui l’attivita’ potenzialmente idonea a determinarlo, in quanto, permanendo la situazione cui la norma collega il diritto, la prescrizione decorre autonomamente da ogni giorno successivo a quello nel quale si e’ per la prima volta concretata tale situazione, fino alla cessazione della medesima (cosi’ Cass. civ., sez. lav., 17.7.2001, n. 9662; id., 18.5.1995, n. 5486; id., 16.8.1993, n. 8711).
Sempre questa Corte, inoltre, ha insegnato che il protrarsi nel tempo di una situazione illegittima come il demansionamento del lavoratore, non puo’ essere intesa semplicemente come acquiescenza ad una situazione imposta dal datore di lavoro, trattandosi di una forma di illecito permanente. Ne consegue che la pretesa risarcitoria per il danno alla professionalita’ si rinnova in relazione al protrarsi dell’evento dannoso, impedendo il decorso della prescrizione fino al momento in cui il comportamento contra jus non sia cessato, ne’ sussistono limiti alla proposizione della domanda ed al conseguente soddisfacimento del diritto ad essa sotteso per tutto il tempo durante il quale la condotta e’ stata perpetuata (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. lav., 4.11.2021, n. 31558, la quale ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva fatto decorrere il diritto al risarcimento, anziche’ dall’inizio della condotta illecita posta in essere dal datore di lavoro, dalla data in cui era stato esperito il tentativo di conciliazione).
A riguardo nella motivazione di tale decisione e’ stata richiamata Cass. 18.7.2013, n. 17579, che, in caso analogo, pure riguardava la pretesa diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante da demansionamento e “prodotto anche per effetto del lungo protrarsi nel tempo dell’accertata dequalificazione”.
In termini ancor piu’ chiari, e’ stato deciso che, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si e’ manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 16.4.2018, n. 9318, che, in applicazione di detto principio, aveva cassato la decisione di merito, che, in una controversia per demansionamento, aveva individuato come dies a quo di decorrenza della prescrizione la data di manifestazione del danno invece che quella di cessazione della condotta illecita da parte del datore di lavoro).
Del resto, la distinzione tra illecito istantaneo con effetti permanenti ed illecito permanente e’ ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimita’, anche al di fuori di illeciti di natura contrattuale nel campo del lavoro, come quello che ci occupa (cfr., a mero titolo esemplificativo: Cass. civ., sez. II, 11.2.2020, n. 3314; id., sez. I, 7.10.2016, n. 20231), e comporta che, nel secondo caso dell’illecito permanente (ricorrente nella fattispecie in esame) i danni si verificano momento per momento mentre il diritto al risarcimento sorge e puo’ essere esercitato in ogni istante, pertanto il termine di prescrizione decorre de die in diem, man mano che i danni stessi accadono (cosi’ Cass. civ., sez. III, 19.6.2015, n. 12701).
E l’attuale ricorrente, come s’e’ visto, gia’ nel secondo motivo d’appello (sul punto specifico non considerato dalla Corte territoriale), ed ora nel secondo motivo di ricorso, aveva (anche) dedotto appunto che dovesse farsi capo alla cessazione degli effetti dell’illecito.
Giova, ancora, precisare che, anche se, come anticipato, il diritto fatto valere dall’attore non era quello al superiore inquadramento preteso, bensi’ il diritto al risarcimento del danno procurato piuttosto dalla lesione dell’altro diritto (lesione percio’ inclusa nella causa petendi in fatto e in diritto della sua domanda di condanna), il decorso della prescrizione si configura nella specie nei termini sopra specificati, praticamente speculari a quelli che concernono la decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla qualifica superiore.
8. Dunque, anche il diritto, nella specie azionato dal lavoratore, al risarcimento del danno per erroneo inquadramento, protrattosi secondo la prospettazione attorea dall’1.10.1973 al 26.6.2002, e’ assoggettato al suddetto peculiare regime del decorso della prescrizione (decennale), essendo scorretto ritenere che l’unico dies a quo del termine prescrizionale fosse da fissare nell’anno iniziale di tale erroneo inquadramento, come invece sostenuto dai giudici di merito di questo procedimento.
9. Resta, percio’, necessariamente assorbito il primo motivo di ricorso, perche’, stante tale differente regime – da applicarsi nel caso in esame – del decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno sino alla data di cessazione dell’illecito rappresentato dall’erroneo inquadramento, data fissata dall’istante al 26.6.2002, competera’ al giudice di rinvio stabilire se e quali atti delle parti, in detto arco temporale, abbiano integrato gli estremi, rispettivamente, dell’interruzione della prescrizione o della rinuncia ad avvalersi della stessa (la quale puo’ configurarsi soltanto appunto quando la prescrizione sia gia’ maturata).
10. La sentenza impugnata, pertanto, dev’essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvedera’ anche a regolare le spese di questo giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

 

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