Principio di economia processuale e potere della Corte di cassazione di correggere la sola motivazione della sentenza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 gennaio 2023| n. 1669.

Principio di economia processuale e potere della Corte di cassazione di correggere la sola motivazione della sentenza

Il principio di economia processuale (quale riflesso della garanzia costituzionale del giusto processo) giustifica il potere della Corte di cassazione di correggere, ex art. 384, comma 4, c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata anche con riferimento all'”error in procedendo”, in particolare all'”error in iudicando de modo procedendi” (cioè all’errore di applicazione della norma processuale che sfocia in un corrispondente vizio di attività), indipendentemente dalla circostanza che la falsa applicazione dipenda dall’erronea soluzione di una “quaestio iuris” o di una “quaestio facti”, trattandosi di fatto processuale rispetto al quale la Corte ha potere d’indagine autonoma sul fascicolo.

Ordinanza|19 gennaio 2023| n. 1669. Principio di economia processuale e potere della Corte di cassazione di correggere la sola motivazione della sentenza

Data udienza 15 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – ESECUZIONE DELL’OPERA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – rel. Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8851/2017, proposto da:
(OMISSIS) s.p.a., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS) s.r.l., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI TORINO n. 1734/2016, depositata il 05/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/09/2022 dal consigliere CAPONI REMO.

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FATTI DI CAUSA

La controversia origina dalla rottura dell’alloggiamento di un cuscinetto del generatore in una centrale idroelettrica.
Nel giugno del 2012, (OMISSIS) s.r.l. convenne in giudizio per il risarcimento dei danni il proprio fornitore (OMISSIS) s.r.l. dinanzi al Tribunale di Aosta. La convenuta chiama in causa (OMISSIS) s.p.a. (nominata qui (OMISSIS) per semplicita’, benche’ all’epoca dei fatti si chiamasse (OMISSIS) s.r.l. e poi (OMISSIS) s.p.a.), quale autrice della riparazione del componente (immediatamente anteriore alla seconda rottura, di cui e’ causa).
Qualche giorno prima della chiamata in causa di (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Aosta, (OMISSIS) aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano su ricorso di (OMISSIS) per il corrispettivo di prestazioni di materiali e servizi.
(OMISSIS) ricorre in cassazione avverso la sentenza che, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Aosta: (a) ha condannato (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS) la somma di 147.897,00 Euro di risarcimento danni; (b) ha condannato (OMISSIS) a manlevare (OMISSIS).
Nella pendenza del ricorso in cassazione, e’ passata in giudicato – ed e’ stata allegata da (OMISSIS) con la memoria depositata in prossimita’ della presente adunanza camerale – la sentenza della Corte d’appello di Milano resa nel giudizio tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la quale ha accertato che il controverso guasto di cui e’ causa e’ imputabile a (OMISSIS).
Il ricorso in cassazione e’ articolato in quattro motivi, illustrati da memoria. Resistono (OMISSIS) e (OMISSIS) con distinti controricorsi, ciascuno dei quali e’ parimenti illustrato da memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4, si deduce la violazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, per avere la Corte di appello di Torino consentito la produzione di un nuovo documento senza motivarne l’ammissibilita’ in secondo grado. In particolare, la parte ricorrente denuncia che: (a) essa ne ha contestato l’ammissibilita’; (b) la Corte d’appello non ha giustificato previamente – cioe’ in modo distinto e precedente rispetto all’utilizzazione del documento in giudizio – l’attitudine di quest’ultimo a risolvere lo stato di incertezza sui fatti controversi; (c) le parti non possono sanare a posteriori, attraverso la reciproca accettazione del contraddittorio sul punto, l’inammissibilita’ della produzione di un nuovo documento.
Con il secondo motivo, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4 e n. 5, si deduce omessa motivazione su un fatto decisivo, per avere la Corte di appello motivato sulla imputabilita’ a (OMISSIS) della rottura del componente, rinviando sostanzialmente alla perizia raccolta in altro processo.
I due motivi vanno esaminati contestualmente, stante la loro connessione oggettiva, ruotante sul punto fondamentale della controversia.
1.2. – Il primo motivo non e’ fondato.
Il documento de quo e’ una perizia, svolta nell’altro giudizio pendente tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e prodotta da quest’ultima all’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio d’appello. Nella perizia si constata – nel contraddittorio tra le parti interessate all’accertamento della responsabilita’ del guasto e del conseguente danno cagionato a (OMISSIS) – che la rottura del componente della centrale idroelettrica e’ “ascrivibile a (OMISSIS)”.
L’articolo 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. Ne segue che i profili sub (a) e (c) denunziati dalla parte ricorrente sono irrilevanti, poiche’ l’ammissibilita’ di nuovi documenti in appello non e’ condizionata alla mancata contestazione o al consenso della controparte, ne’ alla reciproca accettazione del contraddittorio tra le parti sul documento, contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte d’appello nel luogo bersagliato dal ricorrente: “La c.t.u. dell’ing. (OMISSIS) puo’ essere senz’altro acquisita agli atti del presente processo, in quanto utilizzata, senza alcuna contestazione delle parti o dei loro c.t., dallo stesso ing. (OMISSIS) per la redazione della sua relazione peritale” (cfr. sentenza, p. 8).
Tale giustificazione dell’utilizzo della perizia e’ da sostituire con il fondamento corretto dal punto di vista processuale. Infatti la correzione ex articolo 384 c.p.c., comma 4, della motivazione erronea in punto di diritto e’ ammissibile anche in caso di error in iudicando de modo procedendi (in questo senso, v. in particolare Cass. 15810/2005, con una statuizione che merita di essere ribadita con l’enunciazione di un principio di diritto, si veda avanti, n. 6).
In questo caso la motivazione corretta riposa sull’articolo 345 c.p.c., comma 3, cioe’ sulla causa non imputabile che ha impedito la produzione della c.t.u. in primo grado. Tale condizione ricorre nel caso di specie, poiche’ la perizia e’ stata depositata nell’altro processo il 13/01/2015, quando il giudizio era gia’ pendente in grado d’appello. Ne’ fa difetto la tempestivita’, poiche’ la perizia e’ stata prodotta alla prima udienza utile. Evidente e’ la rilevanza probatoria pur in appello, cosi’ come viene concretizzata dalla giurisprudenza di questa Corte in termini di “idoneita’ della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi”: cfr. Cass. 15488/2020), poiche’ oggetto della c.t.u. e’ il fatto centrale in controversia.
1.3. – Rimane da scrutinare il terzo profilo di censura, sub (c). Secondo il ricorrente il giudice d’appello deve motivare previamente – cioe’ in modo distinto e precedente rispetto all’utilizzazione del documento in giudizio – sull’attitudine di quest’ultimo a risolvere lo stato di incertezza sui fatti controversi. Innanzitutto, la censura non e’ articolata in modo compiuto, con un’argomentazione che la concretizzi con l’indicazione della specifica disposizione processuale che si assume violata per non avere la Corte d’appello motivato previamente sull’ammissibilita’ del documento.

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Il vizio di specificita’ non e’ pero’ di ostacolo ad una pronuncia sul merito del profilo, giacche’ e’ ragionevole (ed esigibile ad opera del Collegio) congetturare che si tratti dell’articolo 359 c.p.c., ove si prevede che: “Nei procedimenti d’appello (…) si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale, se non sono incompatibili con le disposizioni del presente capo”. La norma del giudizio di primo grado in questione e’ l’articolo 183 c.p.c., comma 7, ove si prevede che “il giudice provvede sulle richieste istruttorie fissando l’udienza di cui all’articolo 184 per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere pronunciata entro trenta giorni”. La disposizione si rivolge direttamente alle prove da formare in giudizio (“fissando l’udienza… per l’assunzione dei mezzi di prova). Il rinvio che l’articolo 359 c.p.c. compie (anche) all’articolo 183 c.p.c., comma 7, – sempre intermediato dalle clausole di applicabilita’ e compatibilita’ – non e’ sufficiente a fondare il notevole irrigidimento che la soluzione pretesa dalla ricorrente imporrebbe allo svolgimento del giudizio d’appello, in termini di un’apposita udienza o ordinanza fuori udienza diretta esclusivamente a pronunciarsi sull’ammissibilita’ di una prova precostituita.
Tale soluzione nemmeno puo’ essere ricavata dalla giurisprudenza di legittimita’, che la ricorrente mostra di invocare a sostegno della propria tesi. Infatti, questa Corte ha statuito che: “Il giudice del gravame deve, tuttavia, motivare espressamente sulla ritenuta attitudine (il corsivo e’ nostro) positiva o negativa della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi”. Facendo leva sulla parola “attitudine”, riportata in grassetto nel ricorso (nonche’ implicitamente – in apicibus – sulla distinzione aristotelica tra potenza e atto), la ricorrente ritiene che la motivazione sull’ammissibilita’ del nuovo documento: “deve ovviamente precedere la sua utilizzazione in giudizio” (cfr. ricorso, p. 10). L’argomento letterale – pur sagacemente formulato – e’ fragile, poiche’ fa perno solo su una delle possibili accezioni di “attitudine” (cioe’ di potenziale idoneita’) e scarta proprio l’accezione in cui il termine e’ impiegato dalla Corte, cioe’ quella di “destro” o “opportunita’ (cfr. (OMISSIS)), come e’ rivelato dal profilo funzionale enucleato da questa Corte nel proseguimento dell’argomentazione: “L’ammissibilita’ di nuovi mezzi di prova (…) impone al giudice del gravame di motivare espressamente sulla ritenuta attitudine, positiva o negativa, della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, cosi’ da consentire, in sede di legittimita’, il necessario controllo sulla congruita’ e sulla logicita’ del percorso motivazionale seguito” (cosi’, Cass. 15488/2020).
La giurisprudenza – al pari della legge – non richiede quindi che i modi e i tempi della motivazione sull’ammissibilita’ e sulla rilevanza dei nuovi documenti in appello si atteggino in modo diverso da quelli che – per quanto attiene alla funzione endoprocessuale – consentano al giudice dell’impugnazione, e quindi a questa Corte, di controllare il rispetto del “minimo costituzionale” (presenza effettiva, comprensibilita’, assenza di contraddizioni non risolvibili).
Tali requisiti sono presenti nel caso di specie, giacche’ non e’ tale la contraddizione rilevata dalla ricorrente al n. 30 del ricorso, essendo ben plausibile che il c.t.u. incaricato dal giudice d’appello di quantificare il danno, pur non essendo destinatario di un quesito relativo all’an (ormai risolto dalla c.t.u. importata da altro giudizio), abbia avuto comunque occasione di svolgere accertamenti tecnici che hanno corroborato gli accertamenti della c.t.u. condotta in altro processo.

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In conclusione, il primo motivo e’ rigettato.
2.1. – Le argomentazioni svolte nel penultimo e terz’ultimo capoverso del paragrafo precedente dischiudono la prospettiva per una valutazione di infondatezza del secondo motivo, con il quale e’ bersagliato il seguente luogo della sentenza (p. 7): “Ritiene la Corte che (l’effettiva responsabilita’ sul guasto in oggetto) vada attribuita unicamente all’ (OMISSIS) s.r.l. Cio’ risulta chiaro nell’accertamento peritale svolto dall’ing. (OMISSIS) (…) nel processo presso il Tribunale di Milano (…) ove, pur nell’impossibilita’ di verificare l’esatta causa del guasto del generatore elettrico, se ne e’ comunque affermata l’esclusiva responsabilita’ dell’ (OMISSIS) s.r.l., nell’avere erroneamente indicato la tolleranza di lavorazione della nuova sede per il cuscinetto 6232, oppure, piu’ verosimilmente, per non avere impedito la presenza di impurita’ abrasive nel grasso di lubrificazione del predetto cuscinetto (…). Va inoltre ribadito come la c.t.u., pur non essendo una prova stricto sensu, puo’ nondimeno costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni fattuali rilevabili solamente con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (…), in ordine alle quali nulla potrebbero aggiungere eventuali prove orari”.
Il luogo citato richiede solo di essere leggermente corretto nel passaggio in cui mostra di ritenere – con un’affermazione insufficientemente controllata nella sua portata di carattere generale – che la c.t.u. non possa mai essere “una prova stricto sensu”, mentre invece occorre distinguere i casi in cui la c.t.u. non e’ prova in senso tecnico – poiche’ e’ semplice strumento ausiliario del giudice nella valutazione di fonti di prova rappresentativa (ad es., una consulenza contabile che aiuta il giudice a leggere un bilancio, indicandogli massime di sapere specialistico) – dalla consulenza tecnica percipiente, come quella del caso di specie, che e’ fonte e mezzo di prova (cfr. Cass. 36638/2021) e che da’ luogo ad un accertamento tecnico da vagliare criticamente da parte del giudice. Vaglio che nel caso di specie vi e’ stato, come si desume tra l’altro dalla congrua preferenza accordata alla c.t.u. rispetto all’assunzione di prove orali e dalla decisione di rimettere la causa sul ruolo per disporre una consulenza tecnica sulla quantificazione del danno che – nonostante la limitazione del quesito – non poteva certo erigere barriere cognitive sul punto pregiudiziale relativo all’an, qualora l’impianto dell’accertamento tecnico della prima perizia si fosse rivelato manifestamente infondato agli occhi del secondo consulente.
2.2. – Quanto al secondo profilo di censura, relativo alla congruita’ della valutazione di una perizia raccolta in un altro processo, esso rivela un punto debole gia’ nel puntare le proprie carte sulla massima desunta da Cass. 7364/2012, mostrando cosi’ di non tenere in gran conto della verita’ che le massime della giurisprudenza di legittimita’ stanno ai relativi casi di specie come la scocca di un’autovettura sta al motore: viaggiano insieme. Infatti, la ricorrente cita il seguente passo (con riferimento ai risultati di una c.t.u formata in altro giudizio): “La valutazione del giudice deve essere piu’ rigorosa, e devono essere rese chiaramente ostensibili in motivazione le ragioni per le quali, nonostante la oggettiva diversita’ dei fatti storici esaminati dalla c.t.u. e quelli esaminati nel giudizio pendente, i rilevamenti di fatto compiuti dall’ausiliario e le conclusioni da questo raggiunte possano essere in tutto od in parte trasposti anche nel nuovo giudizio”. Sulla base di questo principio, la Corte aveva cassato la decisione della corte di merito che aveva valorizzato per relationem, in modo decisivo, la c.t.u. di altro giudizio, che aveva ad oggetto la rilevazione dell’ubicazione di fondi soggetti ad opere di bonifica, la individuazione di tali opere e la verifica della funzionalita’ ad arrecare beneficio ai fondi, sebbene i due giudizi si riferissero a periodi di tempo, fatti storici e parti processuali coincidenti solo in parte. Diametralmente opposta e’ la situazione nel caso di specie, in cui si tratta degli stessi fatti accertati tra le stesse parti, come si e’ gia’ rilevato. In considerazione di cio’, per le ragioni gia’ rilevate in precedenza, la motivazione e’ congrua.
In conclusione, il secondo motivo e’ rigettato.
3. – Con il terzo motivo, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 2 e n. 5, si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 c.p.c., comma 2, per avere il Tribunale di Aosta e la Corte d’appello di Torino omesso di dichiarare il rapporto di continenza tra la causa pendente dinanzi a loro rispetto e la causa instaurata a Milano.
Del terzo motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’ per difetto di specificita’, poiche’ non si incarica di argomentare la sussistenza del requisito richiesto dall’articolo 39 c.p.c., comma 2, ai fini della riunione delle due cause dinanzi al giudice adito per primo, cioe’ la competenza di questi anche per la causa successivamente proposta. Se non fosse inammissibile, sarebbe infondato alla stregua degli stessi orientamenti citati dalla ricorrente, i quali si riferiscono palesemente ad un nesso di pregiudizialita’ in senso logico, cioe’ all’interno di un unico rapporto complesso, non gia’ ad una connessione per pregiudizialita’-dipendenza in senso tecnico, cioe’ tra diritti o rapporti diversi, come nel caso di specie, che rientra tra le ipotesi della garanzia cosiddetta impropria (come e’ riconosciuto dalla stessa parte ricorrente a p. 23). Ad abundantiam, il motivo e’ superato dal giudicato calato nel frattempo sulla causa milanese.
In conclusione, il terzo motivo e’ inammissibile.
4. – Con il quarto motivo, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 2, si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 28 c.p.c., per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione d’incompetenza territoriale, fondata sulla clausola di deroga della competenza territoriale in favore del Tribunale di Milano (contenuta nel contratto tra (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Del quarto motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’ per difetto di specificita’, poiche’ esso non prende le mosse dalla illustrazione del contenuto rilevante della clausola invocata e cosi’ non mette il Collegio nella condizione di esaminare la censura. Se il motivo fosse stato ammissibile, avrebbe dato al Collegio il destro di correggere la motivazione, sostituendo l’articolo 36 c.p.c., invocato dalla Corte d’appello a fondamento del rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale, con l’articolo 32 c.p.c., sulla base di Cass. SU 24707/20015, secondo la quale la distinzione tra garanzia propria e impropria ha tutt’al piu’ valore descrittivo ed e’ priva di effetti ai fini dell’applicazione degli articoli 32, 108 e 331 c.p.c..
In conclusione, il quarto motivo e’ inammissibile.
5. – L’infondatezza o inammissibilita’ di ogni motivo su cui il ricorso si fonda, determina l’infondatezza del ricorso nel suo complesso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.
6. – In ordine al rigetto del primo motivo (cfr. indietro n. 1.2), il Collegio ribadisce il seguente principio di diritto:
“Il principio di economia processuale (quale riflesso della garanzia costituzionale del giusto processo) giustifica il potere della Corte di Cassazione di correggere ex articolo 384 c.p.c., comma 4, la motivazione della sentenza impugnata anche con riferimento all’error in procedendo, in particolare all’error in iudicando de modo procedendi (cioe’ all’errore di applicazione della norma processuale che sfocia in un corrispondente vizio di attivita’), indipendentemente dalla circostanza che la falsa applicazione dipenda dall’erronea soluzione di una quaestio iuris o di una quaestio facti, trattandosi di fatto processuale rispetto al quale la Corte ha potere d’indagine autonoma sul fascicolo” (conferma di Cass. 15810/2005).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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