Proposizione domanda di condanna generica

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 giugno 2022| n. 17984.

Proposizione domanda di condanna generica

L’attore che chiede la tutela giurisdizionale di una situazione giuridica soggettiva, secondo la tecnica di tutela della condanna all’esecuzione della prestazione necessaria per assicurare tutela a detta situazione, non può proporre la domanda limitando la richiesta di tutela ad una condanna generica, cioè al solo “an debeatur” e fare riserva di introdurre un successivo giudizio per l’accertamento del “quantum”, a somiglianza di quanto l’art. 278 cod. proc. civ. consente all’attore di chiedere nel corso del processo in cui abbia proposto la domanda di condanna in modo pieno. (Nel caso di specie, la Suprema Corte, rivisitando un risalente orientamento espresso dalle Sezioni Unite, ha affermato l’enunciato principio di diritto).

Ordinanza|3 giugno 2022| n. 17984. Proposizione domanda di condanna generica

Data udienza 5 ottobre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Azione – Tutela giurisdizionale – Sentenze di condanna – Proposizione domanda di condanna generica – Ammissibilità – Esclusione Cpc, articoli 112 e 278

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso principale iscritto al n. r.g. 16535/2016 proposto da:
(OMISSIS) – (OMISSIS) Spa, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende anche disgiuntamente all’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) Spa, (gia’ (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) spa), ora (OMISSIS) spa, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonche’ sul ricorso successivo proposto da:
(OMISSIS) Spa (gia’ (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) spa), rappresentata e domiciliata come sopra;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, (OMISSIS), rappresentata e domiciliata come sopra;
– resistente e ricorrente incidentale –
avverso il cui ricorso incidentale ha resistito (OMISSIS) spa, rappresentata e domiciliata come sopra;
– controricorrente al ricorso incidentale –
e contro
(OMISSIS)- (OMISSIS) Spa, domiciliata e rappresentata come sopra;
– controricorrente –
nonche’ sul ricorso successivo proposto da:
(OMISSIS) Spa, (OMISSIS), rappresentata e domiciliata come sopra;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS)- (OMISSIS) Spa, domiciliata e rappresentata come sopra;
– controricorrente – –
e contro
(OMISSIS) Spa (gia’ (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) spa), ora (OMISSIS) spa;
Ricorsi tutti proposti avverso la sentenza n. 1046/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/10/2021 dal Presidente Relatore Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.

RITENUTO

che:
1. Nel giudizio di rinvio, riassunto ai sensi dell’articolo 392 c.p.c. in seguito alla sentenza di questa Corte di Cassazione n. 2956 del 7 febbraio 2013 n. 2956, decidendo sulle conclusioni precisate dall’appellante principale (OMISSIS) s.p.a. e dalle societa’ appellate – derivate da atto di scissione – (OMISSIS) – (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) s.p.a. – gia’ (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) s.p.a.- in qualita’ di concessionarie del servizio di riscossione del tributo locale ICI per la provincia di Cuneo, la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 29 maggio 2015, ha condannato (OMISSIS) ed (OMISSIS) s.p.a., per quanto di competenza, al pagamento in favore di (OMISSIS) s.p.a. della commissione pari ad Euro 0,05 (gia’ Lire 100) a far data dal 1 aprile 1997 sino al 31 maggio 2001 e pari ad Euro 0,23 (gia’ Lire 450) a far data dal 1 giugno 2001 fino alla data della domanda giudiziale proposta il 28 febbraio 2002, per ciascun bollettino postale, avente ad oggetto il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), lavorato dagli uffici postali con accredito degli importi versati sul conto corrente postale intestato a ciascuna delle predette societa’ concessionarie del servizio di riscossione del tributo, nonche’ al pagamento degli interessi al tasso legale, dalla domanda al saldo, ed alla rifusione delle spese di lite.
2. La Corte territoriale ha rilevato, da un lato, che, a seguito della sentenza di cassazione con rinvio, era rimasto accertato il diritto di Poste, ai sensi della L. n. 662 del 1996, di stabilire commissioni per la prestazione dei servizi liberalizzati, tra i quali doveva ricomprendersi anche il servizio di conto corrente postale, non sussistendo alcuna norma in deroga che esonerasse il Concessionario dall’obbligo di pagamento di tale servizio; dall’altro lato, che, in base alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, l’accesso del contribuente a plurime modalita’ di pagamento della imposta – direttamente allo sportello del Concessionario ovvero tramite versamento sul c/c postale a quello intestato -, non determinava una situazione di monopolio a favore di (OMISSIS) s.p.a.
Conseguentemente ha ritenuto preclusa dal giudicato interno la questione, prospettata da (OMISSIS) s.p.a., concernente la asserita necessaria subordinazione della libera determinazione dell’importo della commissione del servizio, riconosciuta a (OMISSIS) s.p.a., alla previsione legislativa – intervenuta soltanto con il Decreto Legislativo n. 446 del 1997 – che aveva autorizzato modalita’ alternative di pagamento del tributo anche tramite soggetti diversi dal Concessionario (cioe’, direttamente all’ufficio di tesoreria del Comune ovvero su conto corrente intestato all’ufficio di tesoreria dell’ente locale, ovvero “tramite il sistema bancario”).
3. La sentenza emessa in sede di rinvio e’ stata impugnata per cassazione:
a) con ricorso proposto da (OMISSIS) s.p.a., con atto consegnato per la notifica in data 27 giugno 2016 con il quale, vengono dedotti cinque motivi. A tale ricorso hanno resistito con separati controricorsi (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., ed (OMISSIS) s.p.a. (societa’ incorporante (OMISSIS) s.p.a. in virtu’ di atto di fusione a rogito notaio (OMISSIS) in Roma);
b) con ricorso proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., con atto notificato dal punto di vista del notificante a mezzo posta ex lege n. 53 del 1994, in data 28 giugno 2016, con il quale vengono dedotti nove motivi: resistono con controricorso (OMISSIS) s.p.a. (societa’ incorporante (OMISSIS) s.p.a. in virtu’ di atto di fusione a rogito notaio (OMISSIS) in Roma), e (OMISSIS) s.p.a. che ha proposto anche in seno a tale ricorso un ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi;
c) con altro ricorso autonomo, proposto da (OMISSIS) s.p.a., con atto notificato a mezzo PEC, in data 29 giugno 2016, con il quale sono stati dedotti sette motivi: resistono con controricorso (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a.; (OMISSIS) s.p.a. che ha proposto anche ricorso incidentale affidato a tre motivi al quale ha resistito (OMISSIS) s.p.a. depositando controricorso al ricorso incidentale.
4. La trattazione dei ricorsi veniva fissata nella pubblica udienza del 6 marzo 2018 ed in vista di essa (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) – (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) s.p.a. depositavano memorie illustrative ex articolo 378 c.p.c.
5. All’esito dell’udienza, questa Corte, pronunciava l’ordinanza interlocutoria n. 28080 del 2018, con la quale rinviava a nuovo ruolo la trattazione.
6. La detta ordinanza cosi’ motivava il rinvio a nuovo ruolo:
“Rilevato che questa Corte Sez. III civile, con ordinanza in data 6.3.2018 n. 5342, emessa nel giudizio iscritto al RG n. 1088/2015 tra la ricorrente (OMISSIS) s.p.a. e la resistente (OMISSIS) s.p.a., avente ad oggetto analoghe questioni di diritto, ha sottoposto alla Corte di Giustizia della Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE le seguenti questioni pregiudiziali: 1) se osti agli articoli 14 TFUE (gia’ articolo 7D Trattato, poi articolo 16 TCE) e 106, paragr. 2, TFUE (gia’ articolo 90 Trattato, poi articolo 86, paragr. 2, TCE) ed all’inquadramento nello schema del servizio di interesse economico generale (SIEG) una norma come quella prevista dal combinato disposto dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, comma 3, con la L. n. 662 del 1996, articolo 2, commi 18-20, secondo cui viene istituita e mantenuta -anche a seguito della privatizzazione dei servizi di ” (OMISSIS)” erogati da (OMISSIS) s.p.a.- una riserva di attivita’ (regime di monopolio) a favore di (OMISSIS) s.p.a. avente ad oggetto la gestione del servizio di conto corrente postale dedicato alla raccolta del tributo locale ICI, tenuto conto della evoluzione della normativa statale in materia di riscossione delle imposte, che almeno a far data dall’anno 1997, consente ai contribuenti ed anche agli enti locali impositori, di avvalersi di modalita’ di pagamento e riscossione attraverso il sistema bancario; 2) qualora – in risposta al primo quesito – la istituzione del monopolio legale dovesse essere riconosciuta rispondente alle caratteristiche del SIEG, se osti agli articoli 106, paragr. 2, TFUE (gia’ articolo 90 Trattato, poi articolo 86, paragr. 2, TCE) e 107, paragr. 1, TFUE (gia’ articolo 92 Trattato, poi articolo 87 TCE), secondo la interpretazione di tali norme fornita dalla Corte di Giustizia con riferimento ai requisiti intesi a distinguere una misura legittima -compensatoria degli obblighi di servizio pubblico- da un aiuto di Stato illegittimo (Corte giustizia sentenza 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark Trans GmbH e Regierungsprijsidium Magdeburg/Nahverkehrsgesellschaft Altmark GmbH), una norma come quella risultante dal combinato disposto dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, comma 3, L. n. 662 del 1996, articolo 2, commi 18-20, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articolo 3, comma 1, che attribuiscono a (OMISSIS) s.p.a. il potere di determinazione unilaterale dell’importo della “commissione” dovuta dal Concessionario (Agente) della riscossione del tributo ICI, ed applicata su ciascuna operazione di gestione effettuata sul conto corrente postale intestato al Concessionario, tenuto conto che (OMISSIS) s.p.a. con Delib. consiglio di amministrazione n. 57 del 1996 ha stabilito detta commissione in Lire 100 per il periodo 1.4.199731.5.2001 ed in Euro 0,23 per il periodo successivo all’1.6.2001; 3) se – osti all’articolo 102, paragr. 1, TFUE (gia’ articolo 86 Trattato, poi articolo 82, paragr. 1, TCE), come interpretato dalla Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giustizia sentenza 13 dicembre 1991, causa C-18/88, GB Inno BM; id. sentenza 25 giugno 1998, causa C-203/96, Chemische Afvalstoffen Dussseldorp BV; id. sentenza 17 maggio 2001 C-340/99, TNT TRACO s.p.a.) un complesso normativo quale quello costituito della L. n. 662 del 1996, articolo 2, commi 18-20, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articolo 3, comma 1, e dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, comma 3, dovendo necessariamente assoggettarsi il Concessionario (Agente) al pagamento della “commissione”, cosi’ come unilateralmente determinata e/o variata da (OMISSIS) s.p.a., non potendo altrimenti recedere dal contratto di conto corrente postale, se non incorrendo nella violazione dell’obbligo prescritto dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, comma 3, e nel conseguente inadempimento alla obbligazione di riscossione dell’ICI assunta nei confronti dell’ente locale impositore.”. Sulla base di tali considerazioni questa Corte riteneva “che, pertanto, venendo in esame nel presente giudizio identiche questioni in diritto, deve disporsi il rinvio a nuovo ruolo della causa, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia UE.”.
7. Dopo che la trattazione dei ricorsi era stata fissata nuovamente per l’udienza pubblica del 27 marzo 2019 (in vista della quale la (OMISSIS) depositava memoria), ma il Presidente Titolare disponeva che i ricorsi fossero tolti dal ruolo di quella udienza. Essendo poi sopravvenuta la pronuncia della CGUE, la trattazione e’ stata fissata nuovamente ma ai sensi dell’articolo 380-bis.1. per l’odierna adunanza camerale in vista della quale sono state depositate memorie da parte di (OMISSIS) e della (OMISSIS) Nessuna delle parti ha sollevato obiezioni in ordine alla modalita’ di trattazione disposta.
CONSIDERATO
che:
1. In via preliminare va rilevato che il primo ricorso che risulta depositato presso questa Corte ed in relazione al quale si e’ dato corso all’iscrizione a ruolo risulta essere quello della (OMISSIS) Ne segue che, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c. vanno ad esso riuniti gli altri ricorsi autonomi e gli incidentali presentati in seno ad essi.
A- Ricorso principale della (OMISSIS)
2. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione di legge con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articolo 3, comma 1 al Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articolo 2, comma 3 e dell’articolo 118 T.U.B. Falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, articolo 2, comma 18”.
Il motivo lamenta che in violazione di dette norme la corte di rinvio avrebbe ritenuto applicabili modifiche unilaterali del rapporto di conto corrente da parte di (OMISSIS) con riferimento all’ammontare della commissione per ogni bollettino lavorato relativo all’ICI.
2.1. Con il secondo motivo si prospetta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” sempre con riferimento al profilo indicato nel primo motivo, adducendo che la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare circostanze inerenti comportamenti di (OMISSIS) che avrebbero evidenziato la consapevolezza da parte sua di non poter modificare unilateralmente le condizioni contrattuali.
2.2. Con il terzo motivo si deduce, in una prima parte sub a), “nullita’ della sentenza per assenza di motivazione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4” e cio’ sempre con riferimento alla questione posta con il primo motivo e all’omesso esame prospettato con il secondo.
In una seconda parte sub b), che e’ preannunciata come doglianza “sull’assorbimento delle questioni attinenti al rapporto contrattuale sottoscritto tra la (OMISSIS) e le (OMISSIS) s.p.a. in data 21.4.2004”, sulla premessa che la sentenza impugnata avrebbe dichiarato assorbito il riferimento al rapporto contrattuale sottoscritto il 21 aprile 2005 inter partes ci si limita, con una sorta di impropria prospettazione condizionale, a dichiarare, per il caso di proposizione di ricorso incidentale da parte di (OMISSIS) di voler riproporre le questioni che in relazione all’oggetto dell’assorbimento rimasero non esaminate.
2.3. Con un quarto motivo, la cui esposizione e’ svolta sub IV-a ed inizia alla pagina 50, si deduce “nullita’ della sentenza per assoluta contraddittorieta’ e carenza della motivazione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Vi si censura la motivazione della sentenza impugnata in cui la corte torinese si e’ cosi’ espressa:
“In relazione alla natura della domanda proposta da (OMISSIS) SPA la Corte di rinvio osserva quanto segue. La domanda delle (OMISSIS) e’ domanda di condanna “specifica”, perche’ e’ svolta per unita’ di compenso (cioe’ Euro 0,05 ovvero poi Euro 0,23 per ciascun bollettino) e non per un unico credito di massa (si tratta infatti solo della sommatoria di crediti unitari) e perche’ fissa i parametri nummari temporali di ciascun debito di parti convenute per ciascun servizio reso. A fronte di quanto sopra consegue la condanna delle parti convenute Soc. (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.p.a.) ed (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.p..a, gia’ (OMISSIS) s.p.a. ed in origine (OMISSIS)- (OMISSIS) S.p.A.), ciascuno per quanto di competenza, al pagamento della commissione di Euro 0,05 dall’1-4-1997 sino al 31 maggio 2001 e di Euro 0,23 dal primo giugno 2001, per ciascun bollettino postale di incasso di L. C.I. con accredito sul conto corrente postale intestato a parte convenuta (OMISSIS), dapprima, ed a parte (OMISSIS) S.p.A., gia’ (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.p.a.) ora (OMISSIS) S.p.A.”.
La motivazione viene criticata assumendo che nei precedenti gradi di giudizio la ricorrente aveva sostenuto che, pur ammettendo che la commissione sui bollettini fosse dovuta a (OMISSIS) s.p.a., la domanda di condanna nei termini proposti dalla stessa non avrebbe potuto essere accolta per difetto di prova, in quanto la condanna richiesta sarebbe stata “specifica” e cio’ perche’ la condanna era stata richiesta con riferimento a “ciascun bollettino” riscosso, ma (OMISSIS) non aveva “mai prodotto (e nemmeno elencato) i bollettini postali rispetto ai quali chiedeva(no) la condanna al pagamento della commissione, ne'” avevano “mai depositato in giudizio gli estratti del conto corrente postale dai quali si potesse evincere l’effettivo incasso degli stessi bollettini”. D’altro canto, (OMISSIS) e nemmeno aveva chiesto consulenza tecnica o l’assunzione di altri mezzi istruttori – a prescindere da ogni problema di inammissibilita’, stante il loro carattere esplorativo per accertare quanti bollettini erano stati incassati durante il periodo di riferimento della domanda. Per tali ragioni la ricorrente aveva chiesto rigettarsi la domanda per mancanza di prova non avendo (OMISSIS) quantificato il numero di bollettini per cui veniva richiesta la commissione.
Si sostiene che la corte di rinvio aveva riconosciuto che la domanda di condanna era “specifica” e non generica, come aveva preteso di sostenere (OMISSIS), ma anziche’ rigettare la domanda condannando la ricorrente a corrispondere una determinata commissione “per ciascun bollettino postale di incasso da I.C.I. con accredito sul conto corrente intestato a parte convenuta”, cosi’ pervenendo ad una conclusione “del tutto contraddittoria con le premesse della motivazione della sentenza”, cosi’ dando luogo ad una condanna senza quantificazione, per la mancanza di “uno dei termini della moltiplicazione che consentirebbe di ricavare il quantum debeatur “conclusivo”, nel suo complessivo ammontare”, atteso che “si conosce infatti solo un termine della moltiplicazione in questione (l’importo della commissione dichiarata come dovuta) ma non anche l’altro termine (il numero dei bollettini effettivamente “lavorati”, il quale moltiplicato appunto per il primo termine consentirebbe di ottenere il risultato finale di quanto, in concreto, la (OMISSIS) s.p.a. sarebbe tenuta a corrispondere alle (OMISSIS) s.p.a. La contraddittorieta’ della motivazione sarebbe evidente perche’, pur avendo la corte territoriale qualificato la domanda come di condanna specifica ha condannato la ricorrente al pagamento di un importo non determinabile per la mancata prova del numero dei bollettini. Ne seguirebbe la nullita’ della sentenza. D’altro canto, la sentenza impugnata per un verso non ha affermato la desumibilita’ della quantificazione “definitiva” del dovuto “da certi documenti avversati, ne’ ha anche solo rinviato ad un successivo giudizio di merito la quantificazione del dovuto”, onde “la sentenza impugnata, sotto tale profilo, appare pertanto nulla anche per assenza di motivazione”.
2.4. Con un sostanziale quinto motivo, enunciato sub IV-b, si denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sempre con riferimento al profilo indicato nel motivo precedente, cioe’ nonostante (OMISSIS) non avesse mai indicato il numero di bollettini e non l’avesse mai provato: questo si assume essere il fatto decisivo di cui si sarebbe omesso l’esame.
2.5. Con il sesto motivo, indicato come V-a ci si duole di: “violazione di legge con riferimento all’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Nullita’ della sentenza e del procedimento (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Il motivo lamenta che la corte territoriale non si sia pronunciata sulla richiesta di contenere l’accoglimento con riferimento al periodo successivo al settembre del 2006, epoca in cui la deducente era nata per scissione della (OMISSIS) – (OMISSIS).
Con un settimo motivo, dedotto sub V-b, si lamenta in relazione alla stessa questione “nullita’ della sentenza per difetto di motivazione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Con un ottavo motivo, dedotto sub V-c, si deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” sempre su detta questione.
B – Ricorso incidentale di (OMISSIS) contro la (OMISSIS).
3. Resistendo con controricorso al ricorso della (OMISSIS), in esso (OMISSIS) ha svolto un ricorso incidentale dichiarato espressamente subordinato e condizionato all’eventuale accoglimento dei motivi indicati nel ricorso della (OMISSIS) come IV-a e IV-b, cioe’ all’ipotesi in cui questa Corte “ritenga E…) che la condanna disposta dal Giudice del rinvio non sia passata in giudicato ovvero la sussistenza di una domanda di condanna specifica non provata nel quantum (e neppure quantificabile in via equitativa, come pure possibile sulla base degli oggettivi parametri documentati in atti e riallegati sub docc. 3 e 2 del fasc. ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e qui ad ogni buon fine ribadito e riproposto)”, intendendosi per tale ipotesi riproporre in questo giudizio di legittimita’ “la tesi della qualificazione della domanda di condanna formulata da (OMISSIS) come domanda di condanna generica”.
3.1. Nel primo motivo si deduce: “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 278 e 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) – Nullita’ per omessa pronuncia (articolo 360 c.p.c., n. 4) – Violazione del principio della disponibilita’ dei diritti e delle forme di tutela giudiziaria degli stessi nonche’ delle prove (articolo 360 c.p.c., n. 3). In subordine, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.
Vi e’ svolta la tesi che la corte territoriale avrebbe violato le norme in rubrica, in quanto avrebbe trascurato “tutta una serie di elementi, risultanti per tabulas dagli scritti difensivi di (OMISSIS) (ma anche di controparte) dai quali evincere la sussistenza sin ab origine di una duplice domanda accertativa e una domanda di condanna generica consistente quest’ultima nella richiesta di condanna al pagamento non gia’ di un importo complessivo predeterminato o da determinarsi all’esito dell’istruttoria, bensi’ al pagamento di un importo unitario dovuto a titolo di commissione per ciascun bollettino ICI Prov. Cuneo lavorato da (OMISSIS)”.
La tesi e’ sostenuta adducendo: a) che nell’atto di citazione introduttivo del giudizio al punto 17 si era sostenuto “di avere “diritto al riconoscimento, a titolo di commission ed a carico della (OMISSIS) S.p.A….di un importo pari a quello di Lire 100 dal 1.4.1997 e di Lire 450 dal 1.6.2001 per ogni bollettino di conto corrente postale ICI versato in favore del concessionario correntista”, con cio’ evidenziando il carattere accertativo ed autonomo della prima parte della domanda e le richiesta circoscritta ad un importo unitario (a titolo di commissione) per ogni bollettino ICI Prov. Cuneo lavorato”; b) che nelle conclusioni della citazione si erano formulate “ai punti a) e 2), esplicite, autonome e separate domande di accertamento e declaratoria da un lato del diritto alla commissione (punto a delle conclusioni: “accertare e dichiarare che la Soc. (OMISSIS) S.p.A. ha dirito di applicare una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale I.C.I. sui conti correnti postali intestati alla (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A., quale concessionaria del servizio riscossione I.C.I. per la provincia di Cuneo”), e dall’altro lato del quantum unitario delle singole commissioni per ciascun periodo eventualmente riconosciute (punto 2 delle conclusioni: “conseguentemente, accertare e dichiarare l’entita’ della predetta commissione della misura, per ciascun bollettino, di Lire 100 dal 1.4.1997 e di Lire 450 dal 1.6.2011 ovvero nella diversa misura accertata e/o ritenuta, anche di giustizia.”)”; c) che “la stessa domanda di condanna” era “stata formulata al punto 3 delle originarie conclusioni alla pag. 7 dell’atto di citazione in senso chiaramente generico e cioe’ “al pagamento della predetta commissione nella misura e decorrenza accertata e/o ritenuta per ciascun bollettino”, non richiedendosi quindi uno specifico importo complessivo (mai rivendicato), bensi’ una condanna (generica) al pagamento di una commissione unitaria per ciascun bollettino ICI Prov. Cuneo in relazione alla quale si era in precedenza richiesto l’accertamento dell’an e del quantum unitario (quantum (…) della singola commissione dovuta per ogni bollettino ICI lavorato e non dell’intero importo dovuto, evidentemente rimandato al altro giudizio)”; d) che anche nella memoria conclusionale di primo grado del 15 dicembre 2005, al punto 2 lettera L) a pag. 6 si era “ancora precisato che “Per quanto concerne poi la quantificazione della commissione richiesta, la stessa e’ stata effettuata in Lire 100 (pari a Euro 0.05) per ogni bollettino lavorato dal 1.4.1997 al 31.5.2001 in virtu’ della Delib. C. d.A. di (OMISSIS) n. 57 del 1996 (i atti), mentre per il periodo dal 1.6.2001 in poi si e’ ritenuto di quantificare la stessa in Lire 450 (pari a Euro 0,23) per ogni bollettino lavorato i virtu’ delle citate ed intervenute condizioni economiche dei servi di (OMISSIS)…””; e) che anche dagli scritti difensivi della (OMISSIS) in primo grado e di (OMISSIS) costituitasi in secondo grado “si evincerebbe come le controparti abbiano (esse) stesse ritenuto essersi in presenza di una domanda di condanna generica: in detti scritti si fa infatti sempre riferimento alla singola “commissione” richiesta”; f) che “del resto, le domande di condanna specifiche contengono sempre la richiesta di un importo specifico o quantomeno di un importo da indicarsi all’esito dell’istruttoria, mentre nel caso di specie e’ stata richiesta, si ripete, la condanna dei Concessionari al pagamento “della predetta commissione” (N. B.: commissione richiesta al singolare, a conferma della volonta’ di ottenere il riconoscimento della debenza di una commissione per ogni bollettino lavorato, lasciando poi ad altra sede la quantificazione complessiva), e “nella misura” (N. B.: misura unitaria della stessa commissione) e nella “decorrenza” (N. B.: decorrenza della stessa commissione unitaria) accertata, e cio’ in quanto la misura unitaria della ricorrenza erano state rivendicate, nelle due domande di accertamento in precedenza formulate, in entita’ diverse in relazione a periodi diversi: il che orienterebbe nel senso della proposizione della domanda di condanna generica; g) che anche nell’atto di appello del 03/07/2007 (OMISSIS) aveva evidenziato la propria richiesta di condanna al pagamento della commissione unitaria richiesta e cosi’ nella memoria conclusionale, dove – “in assenza, si ripete, di avverse deduzioni ed eccezioni al riguardo – era stato “ulteriormente” chiarito che la domanda aveva riguardato l’accertamento della condanna al pagamento della commissione richiesta, che in ripetuti passi dello stesso atto di appello era sempre stata citata al singolare e nella sua misura unitaria per ciascun bollettino lavorato; h) che “le stesse sentenze della Corte di Cassazione” che si erano avvicendate sulla stessa questione “paiono poi presupporre la predetta qualificazione delle domande di (OMISSIS) (duplice domanda accertativa dell’an debeatur della commissione in questione e del quantum unitario della commissione stessa e connessa domanda di condanna generica al pagamento “della commissione” stessa)”.
3.2. Con un secondo motivo di prospetta: “violazione e/o falsa applicazione delle norme di legge in materia di interpretazione di atti e negozi (ivi compresi gli articoli 1362, 1363 e 1367 c.c.) – Ulteriore violazione dell’articolo 278 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.
Vi si sostiene che le considerazioni svolte nel motivo precedente “costituirebbero la naturale premessa della violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle norme in materia di interpretazione degli atti e negozi (in analogia all’interpretazione dei contratti)…in quanto la Corte di Appello di Torino non avrebbe indagato, come pure l’articolo 278 c.p.c. e le altre norme (…) rubricate impongono, quale fosse lo scopo perseguito da (OMISSIS) sottostante alle domande formulate”. Sotto tale profilo: aa) in violazione dell’articolo 1362 c.c., non sarebbe stato considerato il comportamento dei convenuti, “evidentemente di condivisione/acquiescenza e comunque di mancata contestazione della domanda di condanna come formulata da (OMISSIS), che il concessionario ha contestato solo con riferimento all’au debeatur”; bb) non sarebbe stato considerato il complesso degli atti processuali in violazione dell’articolo 1363 c.c.; cc) la corte territoriale non avrebbe interpretato gli atti difensivi nel senso imposto dall’articolo 1367 c.c., “negando alla duplice domanda accertatoria ogni e qualsiasi effetto”.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta “in subordine: ulteriore violazione dell’articolo 278 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, adducendo – con citazione di Cass. n. 4020 del 1983 – che la corte territoriale avrebbe violato l’articolo 278 c.p.c. per non avere limitato la condanna al solo an debeatur, nonostante la mancata opposizione della parte convenuta.
C – Ricorso successivo di (OMISSIS).
4. Con il primo motivo si articola espressamente “istanza di correzione di errore materiale”, che si individua nella circostanza che, pur avendo in motivazione la sentenza accertato il diritto dal 1 giugno 2001 in poi, nel dispositivo l’avrebbe limitato fino alla data della domanda giudiziale.
4.1. Con un secondo motivo si prospetta “violazione dell’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 4)” e si lamenta che alla statuizione di condanna non si sia accompagnata quella di accertamento che ne e’ la premessa, presente invece in due parti della motivazione.
4.2. Con il terzo motivo si prospetta: “a) Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. Nullita’ (articolo 360 c.p.c., n. 4). b) Violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di acquiescenza e accettazione del contraddittorio, nonche’ con i principi in materia di economia processuale (arttt. 360 n. 3 e 4 c.p.c.) c) Violazione e/o falsa applicazione delle norme sul giudicato con riferimento agli articoli 2909 c.c. e 324 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4)”.
Vi sono esposte tre distinte censure:
1a) una prima censura e’ di violazione dell’articolo 112 c.p.c. e ripercorre una serie di atti processuali per dimostrare che erroneamente la corte territoriale avrebbe limitato la condanna al periodo fino al momento della proposizione della domanda introduttiva della lite, mentre era stata proposta sempre mantenuta senza quella limitazione;
1b) la seconda censura postula che la pretesa limitazione della condanna sarebbe avvenuta senza eccezione delle controparti;
1c) la terza censura evoca, sempre nella stessa logica, le conclusioni riportate dalla sentenza di primo grado, dalla prima sentenza di appello cassata e dalla Corte di Cassazione.
4.3. Con un quarto motivo si deduce, sempre in relazione ai profili indicati prima ed evocando l’articolo 1362 c.c. che la domanda sarebbe stata male interpretata.
4.4. Con il quinto motivo viene prospettato come omesso esame quello degli atti con cui si sarebbe proposta la domanda senza limitazione.
4.6. Con un sesto motivo, proposto in via subordinata rispetto agli altri si denuncia omessa pronuncia sulla domanda ai sensi dell’articolo 2041.
D – Ricorso successivo di (OMISSIS) contro (OMISSIS).
5. Con il primo motivo si deduce con una prima censura “violazione e falsa applicazione dell’articolo 324 c.p.c. e dell’articolo 2909 c.c. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il motivo si duole del disconoscimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sulla base di un giudicato inesistente sulla prima sentenza di appello cassata.
Con una seconda censura si prospetta “carenza di motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: anche tale motivo concerne il problema della legittimazione.
5.1. Con il secondo motivo si prospetta: “motivazione apparente. Nullita’ della sentenza p del procedimento ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Il motivo concerne la condanna “per quanto di competenza”, che si assume non spiegata.
5.2. Con il terzo motivo si fa valere “violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e dell’articolo 2597 c.c.: il motivo riguarda la pretesa qualita’ di monopolista di (OMISSIS).
5.3. Con il quarto motivo si fa valere “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5” in ordine alla gratuita’ del rapporto nel periodo dal 1997 fino al 2001.
5.4. Con il quinto motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articoli 1, 3 e 13. Violazione del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 118 ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1, n. 3”: vi si censura la sentenza quanto alla riconosciuta possibilita’ per (OMISSIS) di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, adducendo che la corte territoriale, pur non facendovi riferimento avrebbe a torto condiviso l’invocazione da parte di (OMISSIS) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001 e lo avrebbe fatto in violazione della norma del Decreto Legislativo n. 385 del 1993.
5.5. Con il sesto motivo si fa valere “violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e dell’articolo 2697 c.c., comma 1, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Il motivo impugna la stessa motivazione censurata nel ricorso principale con il motivo che si e’ detto enunciato sub IV-a.
Vi si sostiene che detta motivazione sarebbe errata perche’ da un lato avrebbe qualificato come “domanda di condanna specifica” “una domanda (e una sentenza) che seguendo il ragionamento della Corte avrebbe dovuto essere qualificata come di “mero accertamento””, dall’altro sarebbe erronea per non avere riconosciuto era stata formulata in giudizio “una domanda di condanna specifica, che tuttavia e’ rimasta indimostrata, non avendo (OMISSIS) poi ne’ allegato ne’ dimostrato se e quanti bollettini di pagamento ha lavorato e quindi quali e quante e quando sarebbero state (eseguite-) le prestazioni delle quali ha chiesto in giudizio il corrispettivo”.
Sulla premessa che il distinguo fra condanna generica e condanna specifica starebbe nel fatto che la prima “accerta il diritto ad ottenere un pagamento rinviando ad altra sede giudiziale la quantificazione in concreto, mentre la condanna specifica quantifica il pagamento dovuto dal convenuto in una determinata misura (…) e statuisce il dovere del debitore a corrispondere in favore dell’attore tali somme, per come determinate o determinabili dalla sentenza”, si sostiene che la sentenza impugnata non conterrebbe una condanna “in quanto sulla base dell’accertamento compiuto in sentenza e nel corso del processo non sono determinati ne’ determinabili, perche’ non sono stati nemmeno allegati e provati, ne’ il numero, ne’ i tempi, delle operazioni in concreto svolte dalle (OMISSIS)”. La sentenza per come formulata sembrerebbe una sentenza di accertamento, tanto che le (OMISSIS) non disporrebbero di un titolo esecutivo e dovrebbero procedere “ad un accertamento del concreto ammontare delle proprie pretese dimostrando a quali effettivi servizi (operazioni) il generico diritto a ricevere una commissione si riferirebbe, questione che peraltro sara’ oggetto di altra sicura controversia”.
Sulla base di queste premesse si assume che (OMISSIS), “consapevole di non aver dato contenuto alla propria domanda di condanna” avrebbe a torto sostenuto nel suo ricorso per cassazione (evidentemente pervenuto nelle more della notifica del ricorso in esame) che la sua domanda sarebbe stata di “condanna generica”. Una simile qualificazione risulterebbe incompatibile con il tenore della domanda, in quanto proposta con richiesta di condanna al pagamento della commissione per come indicata “per ogni singolo bollettino di pagamento” ed in particolare con la formulazione: “”per l’effetto, condannare…al pagamento della predetta commissione nella misura e decorrenza accertata e/o ritenuta per ciascun bollettino. Il tutto con le maggiorazioni ed interessi e rivalutazione dalla data di ciascuna operazione ovvero della domanda””. La richiesta di condanna al pagamento di un importo determinato e non di una condanna generica e con invocazione di interessi e rivalutazione monetaria “dalla data di ciascuna operazione” risulterebbe incompatibile con la logica di una domanda di condanna generica. Essendo mancata la dimostrazione da parte di (OMISSIS) di “ciascuna operazione” e delle relative date la domanda sarebbe rimasta non provata, come avrebbe ritenuto in una vicenda simile anche un precedente di altra corte d’appello, di cui si riporta un brano motivazionale.
Sulla base di tale prospettazione si sostiene che, non essendo la domanda di (OMISSIS) ne’ di mero accertamento ne’ di condanna generica, bensi’ una domanda di condanna specifica sarebbe stata viziata da indeterminatezza ai sensi dell’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e comunque da respingere per mancanza di prova ai sensi dell’articolo 2697 c.c. Non essendo il dispositivo della sentenza impugnata di condanna specifica, bensi’ di mero accertamento e non esaurendo tale accertamento la domanda attorea, la sentenza impugnata sarebbe viziata “per non avere respinto per indeterminatezza (…) ed infondatezza (…) la domanda di condanna avversaria”.
E – Ricorso incidentale di (OMISSIS) contro (OMISSIS) s.p.a.
6. Tale ricorso incidentale e’ proposto, in via condizionata all’accoglimento del sesto motivo del ricorso di Equitalia, con gli stessi motivi articolati nel ricorso incidentale contro la (OMISSIS)
7. Il Collegio ritiene che l’esame dei motivi dei ricorsi riuniti e dei ricorsi incidentali possa svolgersi secondo il criterio di scrutinio della c.d. questione piu’ liquida (utilizzabile da questa Corte: Cass. Sez. Un., n. 9936 del 2014), giacche’ appare dirimente l’esame del motivo IV-a del ricorso della (OMISSIS) e del sesto motivo del ricorso della (OMISSIS) s.p.a., in quanto all’esito di esso e del riconoscimento della loro fondatezza, nonche’ in ragione delle implicazioni che l’illustrazione delle ragioni di tale riconoscimento determinera’ nel senso della infondatezza dei motivi di ricorso incidentale condizionato di (OMISSIS), con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, si palesera’ una situazione nella quale, senza bisogno di accertamenti di fatto, le domande proposte da (OMISSIS) contro la (OMISSIS) e contro (OMISSIS) risultano prive di fondamento e da rigettare senza che occorra rispondere ai quesiti posti dagli altri motivi di tutti i ricorsi, i quali rimarranno assorbiti.
L’esame del motivo sub IV-a e del sesto motivo suppone l’indagine sulla natura della domanda proposta da (OMISSIS).
Tale indagine deve procedere in primo luogo considerando il tenore della domanda proposta da (OMISSIS) con l’atto introduttivo di giudizio.
7.1. Al riguardo si rileva che la ricorrente (OMISSIS), pur avendo fatto riferimento alla citazione, non ha indicato se e dove l’ha prodotta in questa sede di legittimita’. Tuttavia, avendo con il suo motivo censurato direttamente la motivazione della sentenza impugnata riproducendola, la’ dove Essa ha fatto riferimento al tenore della domanda richiamandone in via indiretta il contenuto, lo scrutinio di tale motivo risultava comunque ammissibile in quanto correlato a detta motivazione e, dunque, possibile e procedibile sulla base dell’esame di essa senza necessita’ di esaminare direttamente la citazione.
Riguardo al ricorso della (OMISSIS), dunque, non si sarebbe potuto configurare una violazione dell’articolo 366, n. 6.
Peraltro, nel resistere con controricorso e ricorso incidentale al ricorso della (OMISSIS), (OMISSIS) ha prodotto l’atto di citazione, sicche’ l’esame diretto di tale atto e’ comunque possibile, essendo stato rispettato dalla resistente e ricorrente incidentale l’onere di cui a quella norma.
7.1.1. La ricorrente (OMISSIS) a sua volta ha invece indicato come prodotta detta citazione e (OMISSIS) nel controricorso e ricorso incidentale contro detto ricorso ha analogamente prodotto la citazione.
Tanto si osserva per evidenziare che nel caso in esame non ricorre la situazione che in controversia similare questa Corte ebbe a scrutinare nell’ordinanza n. 300 del 2017.
7.2. Come si evince dalla citazione prodotta in questa sede (OMISSIS) aveva formulato la domanda nei seguenti termini, che si riproducono letteralmente:
“a) accertare e dichiarare che la Soc. (OMISSIS) ha diritto ad applicare una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale I.C.I. sui conti correnti postali intestati alla (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A., quale concessionaria del servizio di riscossione I.C.I. per la provincia di Cuneo; 2) conseguentemente, accertare e dichiarare l’entita’ della predetta commissione della (sic) misura, per ciascun bollettino, di Lire 100 dal 1.4.1997 di Lire 450 dal 1.6.2001 ovvero nella diversa misura accertata e/o ritenuta, anche di giustizia; 3) per l’effetto condannare la (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A., quale concessionaria del servizio riscossione I.C.I. per la provincia di Cuneo, al pagamento della predetta commissione nella misura e decorrenza accertata e/o ritenuta per ciascun bollettino. Il tutto con le maggiorazioni di interessi e rivalutazione dalla data di ciascuna operazione ovvero dalla domanda; 4) in via subordinata e sussidiaria, condannare la stessa (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A., ai sensi dell’articolo 2041 c.c. e sss., al pagamento in favore dell’istante del relativo indennizzo virgola, che si indica allo stato nella stessa misura di cui sopra e salva la via equitativa.”.
Atteso tale tenore della domanda originaria, ad avviso del Collegio, la natura di essa non era quella di una domanda di condanna generica, bensi’ di una condanna “piena”.
7.3. Prima di esporne le ragioni ed anche avuto riguardo al dibattito svolto dalle parti nel giudizio di merito almeno – come si vedra’ – dopo la riassunzione a seguito del risposto rinvio ed in questa sede, mette conto di esaminare la questione del se, qualora la domanda fosse stata di natura “generica”, si sarebbe configurata come richiesta di tutela giurisdizionale consentita dall’articolo 99 c.p.c. in relazione all’articolo 100 c.p.c. e particolarmente alla luce dell’esegesi che tali norme debbono ricevere secondo la proclamazione dell’articolo 24 Cost., comma 1, ai sensi del quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”.
Tanto la norma del codice di rito, quanto la norma costituzionale correlano il diritto di azione alla tutela di un diritto (o, ma non e’ qui profilo rilevante, di un interesse legittimo per quanto attiene alla norma costituzionale). Il riferimento al diritto dovrebbe, in mancanza di aggettivazioni, intendersi relativo alla richiesta di tutela del diritto nella completezza della dimensione che esso ha nell’ordinamento e dunque senz’altro implicare che l’attore non possa chiedere la tutela per esso domandandola per una parte di quella dimensione.
La tutela che l’ordinamento riconosce ai diritti, per come espressa nelle norme sostanziali che appunto riconoscono i diritti, e’, com’e’ noto, suscettibile di estrinsecarsi – per restare, naturalmente, sul piano della tutela definitiva, che e’ quello che qui rileva, e non strumentale quale quella cautelare – in varie forme, cioe’ attraverso la tecnica dell’accertamento mero, quella della condanna e quella della costituzione dell’effetto previsto dalla norma astratta, cioe’ la tecnica della tutela costitutiva. Mentre la tecnica di tutela della condanna e quella costitutiva emergono direttamente dalle previsioni sostanziali che scolpiscono il diritto, in quanto esse esigono tali tecniche come mezzo con cui si assicura tramite il comando del giudice la realizzazione del diritto di fronte alla violazione altrui impediente quella realizzazione, la tecnica dell’accertamento – si allude all’accertamento mero – non e’ direttamente giustificabile sulla base del contenuto con cui la norma sostanziale individua il diritto ed in quanto il comportamento altrui si risolva nella negazione di esso, ma viene individuata attraverso la valorizzazione dell’articolo 100 c.p.c. e particolarmente attraverso l’individuazione di un interesse a far valere il diritto anche quando esso non e’ violato, cioe’ non ha sofferto per un comportamento altrui che ne impedisca la realizzazione secondo il modello della norma sostanziale che lo prevede, bensi’ e’ esposto ad un atteggiamento altrui che si esprima solo in un’attivita’ di negazione della sua esistenza ovvero nel vanto di una situazione giuridica che si profili incompatibile con il diritto e che, dunque, ne implichi la negazione dell’esistenza.
7.4. Ora, se ci si sofferma sulla tecnica di tutela mediante la condanna, poiche’ tale tecnica – in quanto diretta ad assicurare la realizzazione tramite il comando del giudice consacrato nella decisione, da attuarsi poi, se del caso, in difetto di spontaneo adempimento, con la tutela giurisdizionale esecutiva – implica che con il diritto di azione si chieda al giudice di ripetere nel comando espresso nella decisione la tutela prevista dalla norma sostanziale il cui contenuto e’ stato violato dal convenuto, dovrebbe risultare evidente a chi abbia consapevolezza dell’ancoraggio della tutela assicurata dal diritto di azione con il profilo contenutistico del diritto sostanziale, che un’azione di condanna sia garantita dall’articolo 99 c.p.c. e dalla stessa Carta Costituzionale nell’articolo 24, comma 1 solo con un contenuto che, quanto alla richiesta di tutela risulti corrispondente a quanto prevede la norma sostanziale che si assuma violata, si’ da necessitare dell’intervento del giudice che ne assicuri l’osservanza a tutela del titolare.
Con riferimento alla norma sostanziale che preveda che qualcuno abbia diritto ad una prestazione, intesa come tipo di comportamento, e nel contempo ne preveda la misura, la quantificazione, cioe’ la commisurazione ad un certo valore, la violazione del diritto a tale prestazione, siccome espresso dalla norma sostanziale, in quanto sia fatta oggetto di tutela giurisdizionale con una domanda di condanna, dovrebbe allora necessariamente implicare che la situazione sostanziale venga fatta valere sotto entrambi i profili, cioe’ sia nell’an che nel quantum.
Non dovrebbe, dunque, essere consentito all’attore, sulla base della lettura del diritto di azione ad immagine di quanto prevede il diritto sostanziale, di far valere ai sensi dell’articolo 99 c.p.c. solo il primo profilo e non anche il secondo.
7.5. D’altro canto, la lettura del tessuto delle norme positive evidenzia una norma che, ad avviso del Collegio, dovrebbe confermare quanto si e’ detto.
Essa e’ l’articolo 278 c.p.c., la quale, sotto la rubrica “Condanna generica. Provvisionale”, stabilisce, con riferimento al giudizio introdotto per conseguire la tutela di condanna piena, che “quando e’ gia’ accertata la sussistenza di un diritto, ma e’ ancora controversa la quantita’ della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, puo’ limitarsi a pronunziare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione”.
Poiche’ la legge prevede la possibilita’ di un frazionamento della richiesta di tutela fra an e quantum debeatur solo come fattispecie che si puo’ verificare nel corso di un giudizio introdotto a tutela della situazione giuridica nella sua pienezza, si dovrebbe lecitamente argomentare a contrario che la norma registri il principio per cui il frazionamento non possa essere deciso dall’attore che introduce la domanda, cioe’ proponendo egli stesso una domanda limitata all’an.
E’ noto, tuttavia, che parte della dottrina ed anche la giurisprudenza di questa Corte hanno ritenuto in tempi risalenti il contrario ed affermato che fosse possibile che chi si fa attore potesse proporre una domanda limitata all’an debeatur e chiedere una condanna generica, nel contempo reputando pero’ che la proposizione di una simile domanda, per determinare una effettiva trattazione limitata solo all’an debeatur avesse bisogno di un atteggiamento del convenuto di assenso a tale limitazione fatta dall’attore.
Peraltro, coessenziale alla proposizione di una domanda limitata all’an debeatur era, come emerge dall’analisi della giurisprudenza, l’espressa limitazione in tal senso della domanda da parte dell’attore oppure la formulazione di una generica richiesta di condanna alla prestazione nell’au, con una riserva pero’ in entrambi i casi di un successivo giudizio sul quantum. In mancanza di una formulazione che evidenziasse in uno dei sensi appena indicati la limitazione della domanda all’an debeatur e la manifestazione di intenzione di far luogo al successivo giudizio sul quantum, la domanda non avrebbe potuto considerarsi generica per il sol fatto che non fosse determinato da esso il quantum.
E’ sufficiente osservare che il codice di rito conosce la proposizione della domanda senza determinazione del quantum richiesto, ma essa, nonostante tale mancanza non si considera volta ad ottenere il riconoscimento solo dell’an. L’articolo 14 c.p.c. evidenzia che la mancanza di determinazione quantitativa della domanda implica solo che la domanda si presuma formulata per il massimo della competenza del giudice e, dunque, se il giudice adito ha una competenza ratione valoris con un limite di valore di valore eguale alla sua competenza, se il giudice e’ competente senza un limite di valore, la domanda comunque si intende estesa al quantum.
Peraltro, la ritenuta ammissibilita’ della domanda generica nei termini indicati supponeva che l’attore manifestasse la volonta’ di dar luogo successivamente al giudizio nel quantum.
7.6. Ormai ventisette anni fa della questione dell’ammissibilita’ della condanna generica proposta direttamente come tale dall’attore vennero investite le Sezioni Unite della Corte, le quali ebbero a pronunciarsi con la sentenza n. 12103 del 1995, della quale e’ qui opportuno richiamare i passaggi, immediatamente avvertendo che si intende superare le conclusioni in allora raggiunte e cio’ senza che si ritenga necessario sollecitare un loro nuovo intervento, dato il tempo trascorso da quell’arresto e considerata l’evoluzione della stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite manifestatasi in tema di c.d. frazionamento della pretesa creditoria, e comunque perche’, come si vedra’, ai fini del presente scrutinio, la problematica in discussione non risultera’ dirimente per la sorte del ricorso.
E’ poi appena il caso di avvertire che la domanda che esaminarono le Sezioni Unite era stata proposta con espressa riserva di liquidazione del quantum in separato giudizio.
7.6.1. Le Sezioni Unite nell’indicata decisione, dopo avere espressamente indicato le ragioni per superare l’orientamento in allora vigente, il quale reputava che una domanda di condanna generica potesse proporsi, ma – come s’e’ detto – che la prospettiva di essere esaminata come tale fosse condizionata all’atteggiamento del convenuto, il quale, attraverso un meccanismo simile ad una riconvenzionale avrebbe potuto chiedere l’estensione al quantum della domanda, passarono espressamente ad affrontare il quesito concernente “l’ammissibilita’, o non, del potere di proporre autonomamente un’azione di condanna generica” ed osservarono quanto segue nel risolverlo in senso positivo ed escludere la rilevanza dell’atteggiamento del convenuto:
“Per individuare la possibilita’ giuridica di detta azione, e l’interesse dell’attore a proporla nell’ambito del suo potere di autonomia e disponibilita’ del diritto alla tutela, occorre chiarire quale ne sia l’oggetto e quale il limite della pronuncia richiesta. Ancorche’ si tratti di “condanna generica”, deve trattarsi pur sempre di azione di condanna, alla cui individuazione non e’ sufficiente il mero accertamento di un illecito; di una pretesa, quindi, che tenda, nella sua fase finale e completiva, alla preparazione di un’esecuzione forzata e che, quindi, sia diretta ad ottenere una sentenza finale contenente, rispetto al semplice accertamento, quel quid in piu’ che serva ad aprire la via all’esecuzione forzata. Considerata nella completezza delle varie fasi, quindi, l’azione tende all’accertamento di un diritto, della sua violazione, della determinazione di un pregiudizio mediante l’azione lesiva, della quantificazione del pregiudizio patrimoniale integrante un credito che, in quanto accertato sussistente nella sua entita’ verso un soggetto determinato, e’ oggetto del titolo esecutivo costituito dalla pronuncia definitiva di condanna. Se questo e’ l’iter logico della sentenza tipica di condanna, si tratta di valutare a quale dei vari passaggi possa, o debba, fermarsi la pronuncia del giudice adito con una domanda speciale di condanna, quella generica. L’accertamento sul “se” di una certa prestazione e’ condizionato all’interesse, o bisogno, dell’attore alla forma di tutela oggetto della domanda. La tutela cui tende l’azione di condanna, ancorche’ generica, non si esaurisce in quella di un mero accertamento dell’esistenza di un diritto contestato (tipico dell’azione di mero accertamento), ma e’ pur sempre quella che nasce dall’esistenza di un diritto assertivamente violato, al fine di ottenere la reintegrazione anche coattiva del patrimonio in ipotesi pregiudicato e per equivalente pecuniario. Una forma di tutela tendente alla reintegrazione patrimoniale, peraltro, puo’ assumere preventive forme cautelari per assicurare l’effettivita’ di successive forme esecutive. Di fronte all’esistenza attuale di una lesione di diritto per la quale manchino ancora le prove dell’entita’ del pregiudizio, il pregiudicato puo’ avere l’interesse di fatto ad un’azione attuale, in quanto su di essa si radica l’interesse, giuridicamente rilevante come condizione dell’azione, all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ex articolo 2818 c.c., che prevede espressamente la sentenza di “condanna… al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente”, ancorche’ non
passata in giudicato.
D’altronde, se con la previsione specifica dell’articolo 278 c.p.c., si individua l’interesse giuridicamente rilevante dell’attore ad ottenere, sulla base dell’accertata sussistenza di un diritto, una sentenza di condanna generica alla prestazione, salva la liquidazione successiva, non vi e’ ragione di negare la sussistenza della stessa condizione dell’azione allorche’ la domanda alla condanna generica sia proposta in via autonoma “ab initio”. Non e’ argomento adeguato in contrario quello con cui si valorizza la specialita’ della fattispecie dell’articolo 278 c.p.c., comma 1, nella distinzione della domanda di condanna generica inizialmente proposta, in relazione al fatto che il giudizio debba proseguire nella fase successiva gia’ instaurata; cosa non necessariamente conseguente quanto l’azione di condanna generica sia autonomamente proposta. Indubbiamente la fattispecie dell’articolo 278 c.p.c. e’ speciale, ma speciale in relazione al principio della concentrazione del giudizio gia’ proposto nella sua globalita’, principio che, come gia’ accennato non e’ estensibile alla fattispecie in discussione. Detta specialita’, poi, non incide su una situazione che e’ logicamente anteriore alla prosecuzione del giudizio (anche nell’ipotesi dell’articolo 278 c.p.c., inoltre, la condotta delle parti potrebbe interrompere la fase successiva del giudizio, pur permanendo la sentenza provvisoria gia’ emessa) e che individua l’interesse dell’attore alla pronuncia parziale. Se nessun interesse delle parti sussistesse alla condanna generica nella fattispecie dell’articolo 278 c.p.c., la previsione normativa specifica non avrebbe significato rilevante. Al contrario l’interesse alla pronuncia parziale deve individuarsi, per l’attore, proprio nell’accesso alle forme cautelative di un diritto accertato, ed in linea con la prevista prosecuzione del giudizio per addivenire alla condanna definitiva; accesso che e’ identico sia nella previsione dell’articolo 278 c.p.c., sia in quella dell’autonoma azione di condanna generica e che in entrambi i casi delinea l’interesse all’indirizzo dell’azione al risultato parziale. L’uniformita’ dell’interesse, peraltro, nelle due situazioni deve indurre a ritenere che identiche possano essere il tenore e l’estensione della pronuncia nell’uno e nell’altro caso. Con cio’ non si intende sostenere un’interpretazione analogica o estensiva dell’articolo 278 c.p.c., ma rilevare come la stessa previsione di detto articolo sia espressione del piu’ generale principio e disponibilita’ della domanda volta ad una tutela cui l’attore abbia interesse; situazione che nella fattispecie dell’articolo 278 c.p.c., ha richiesto un’espressa previsione normativa per superare il contrasto con il diverso principio di concentrazione processuale in quel caso richiamabile. D’altronde l’autonoma proponibilita’ dell’azione di condanna generica era gia’ ampiamente ammessa in sede dottrinaria e giurisprudenziale prima dell’emanazione del vigente codice di rito, pur in assenza di espressa previsione normativa; rispetto a detto indirizzo il dato dell’articolo 278 c.p.c. non assume carattere limitativo, ma di puntualizzazione in situazione particolare. A maggior ragione, poi, la legittimazione a richiedere autonomamente la condanna generica si giustifica in una fattispecie concorrenziale illecita, nella quale l’interesse alla neutralizzazione degli effetti di un danno gia’ prodotto o eventuale e futuro, trova una forma specifica di tutela nell’articolo 2600 c.c. (v. Cass. 10 maggio 1993 n. 5346). Puo’, quindi, affermarsi, in virtu’ di un principio di autonoma disponibilita’ delle forme di tutela offerte dall’ordinamento, la legittimazione dell’attore a proporre un’autonoma domanda di condanna generica, indipendentemente dal successivo consenso del convenuto.”.
Sulla base di questa considerazioni, le Sezioni Unite, dopo aver esaminato il problema della rilevanza dell’atteggiamento del convenuto, espressero il seguente principio di diritto: “Con riguardo alle azioni di risarcimento del danno (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), e’ ammissibile la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilita’ delle forme di tutela offerte dall’ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell’attore a forme di tutela cautelare o speciale (quali l’iscrizione d’ipoteca giudiziale ex articolo 2818 c.c. o l’azione risarcitoria in materia di concorrenza sleale di cui all’articolo 2600 c.c.). Rispetto a siffatta domanda, l’opposizione del convenuto si configura come richiesta (anche implicita) di accertamento dell’insussistenza del danno, attraverso un giudizio di certezza e non di semplice probabilita’, ed e’ ricollegabile all’interesse del convenuto medesimo ad ottenere una tutela preventiva contrapposta a quella richiesta dall’attore; con la conseguenza che, una volta proposta detta opposizione, l’attore, al fine dell’accoglimento della propria domanda, e’ tenuto a dare la dimostrazione della sussistenza del danno (non della sua mera probabilita’), anche se indipendentemente dall’individuazione attuale dell’entita’ dello stesso.”.
7.7. Le argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite nella ormai lontana pronuncia del 1995 non appaiono convincenti.
Queste le ragioni.
7.7.1. L’argomento che con la norma dell’articolo 278 c.p.c. risulta individuato e tutelato un “interesse giuridicamente rilevante dell’attore ad ottenere, sulla base dell’accertata sussistenza di un diritto, una sentenza di condanna generica alla prestazione, salva la liquidazione successiva”, onde non vi sarebbe “ragione di negare la sussistenza della stessa condizione dell’azione allorche’ la domanda alla condanna generica sia proposta in via autonoma “ah initio””, postula una equivalenza fra le due situazioni sotto il profilo dell’identita’ dell’interesse, la quale non sembra convincente: le due situazioni non sono affatto tali da giustificare, proprio sul piano allora prescelto dalle Sezioni Unite, quello dell’interesse, l’apprezzamento di sussistenza del medesimo interesse.
Invero, nell’articolo 278 c.p.c. l’interesse di chi si e’ fatto attore esercitando la richiesta di tutela giurisdizionale in modo completo e’ un interesse che si fonda naturalmente su quanto e’ emerso dallo svolgimento processuale ed ha dunque un fondamento oggettivo. Nell’ipotesi in cui si ammetta l’azione di condanna generica d’iniziativa di chi si fa attore ed introduce la tutela giurisdizionale non v’e’ alcun fondamento oggettivo che possa giustificare, sebbene a livello di prospettazione, la rilevanza di un simile interesse. Mentre chi chiede la condanna generica ai sensi dell’articolo 278 c.p.c. deve basare la sua richiesta sulle emergenze processuali, cioe’ su cio’ che e’ emerso nel processo e, dunque, nel contraddittorio, chi dovesse proporre una domanda generica potrebbe prospettare solo un interesse motivato dal rilievo di quelle che in limine litis sono mere allegazioni ancora non divenute acquisizioni processuali tramite la verifica istruttoria.
7.7.2. L’escludere quale argomento adeguato in contrario il fatto che nell’ipotesi di cui all’articolo 278 c.p.c. il giudizio prosegue per la liquidazione del quantum della prestazione, mentre nella domanda di condanna generica in ipotesi proposta come tale, questa prosecuzione non vi e’, con il rilievo che “la fattispecie dell’articolo 278 c.p.c. e’ speciale, ma speciale in relazione al principio della concentrazione del giudizio gia’ proposto nella sua globalita’, principio che, come gia’ accennato non e’ estensibile alla fattispecie in discussione”, si risolve in un paradosso: cio’ che si dice forma di tutela speciale di una tutela giurisdizionale esercitata con pienezza, nonostante tale specialita’, che la correla all’ipotesi di esercizio della tutela condannatoria con pienezza, invece di essere considerata fattispecie eccezionale, frutto di una scelta del legislatore, viene usata come dato normativo per desumere la configurabilita’ di un’altra fattispecie speciale, quella della azione di condanna generica per scelta di chi si fa attore.
Invece, proprio la specialita’, l’eccezionalita’, espressa dall’articolo 278 c.p.c. dovrebbe al contrario suggerire che non se possa ritenere un’altra.
7.7.3. Inoltre, la specialita’ espressa dall’articolo 278 c.p.c., la’ dove suppone che, dopo la sentenza di condanna generica, il giudizio debba proseguire sul quantum non puo’ essere quanto a tale elemento svalutata dal rilievo che anche “nell’ipotesi dell’articolo 278 c.p.c., inoltre, la condotta delle parti potrebbe interrompere la fase successiva del giudizio, pur permanendo la sentenza provvisoria gia’ emessa”: e’ sufficiente osservare che l’eventuale estinzione del giudizio in prosecuzione sul quantum dipendera’ da una scelta riferibile ad entrambe le parti e, dunque, non solo all’attore, ma anche al convenuto, mentre, ammettendo l’azione di condanna generica e’ il solo attore che diverrebbe dominus della mancanza del giudizio sul quantum.
Se poi si volesse far leva sull’eventuale richiesta del convenuto di estensione al quantum per desumere l’omologia fra le due situazioni, sarebbe facile obiettare che si tratterebbe di un atteggiamento appunto solo eventuale, destinato peraltro ad operare solo dopo l’introduzione del giudizio ad iniziativa dell’attore, la cui possibilita’ e’ il quid demonstrandum e suppone che la dimostrazione debba avvenire con riferimento al momento dell’introduzione dell’azione in giudizio, cioe’ della richiesta di tutela con il diritto di azione.
7.7.4. Si deve, inoltre, rilevare che le argomentazioni allora svolte dalle Sezioni Unite non tennero conto in alcun modo di una circostanza che emerge dal paradigma dell’articolo 278 c.p.c.: se, infatti, in esso l’iniziativa della richiesta di condanna generica e’ rimessa all’attore, si tratta di un’iniziativa che, una volta assunta, non vincola il giudice a pronunciarsi, dato che con il “puo’ limitare” la norma affida in realta’ al giudice il potere di valutare se far luogo o meno alla chiesta pronuncia generica oppure ad una decisione totalitaria. Il rilievo del potere del giudice evidenzia che la richiesta dell’attore, pur essendo certamente un’espressione del diritto di azione, a differenza dell’esercizio di questo con l’introduzione del giudizio, che vincola il giudice a pronunciare, siccome emerge dall’articolo 112 c.p.c. ed e’ coessenziale al detto diritto, non e’, nel contesto dell’articolo 278 c.p.c., soggetta al regime dell’articolo 112, non da’ luogo ad un ridimensionamento temporaneo del diritto di azione, che vincoli il giudice a pronunciarsi ai sensi dello stesso articolo 278 c.p.c.
Ebbene, e’ evidente che la prospettiva che esprime l’idea dell’azione di condanna generica ad iniziativa dell’attore sarebbe invece soggetta all’articolo 112 c.p.c. e vincolerebbe il giudice (salvo il rilievo estensivo dell’atteggiamento del convenuto nel senso indicato dalle Sezioni Unite).
Non sembra corretto, dunque, rilevare – come fecero le Sezioni Unite – che la previsione dell’articolo 278 c.p.c. sarebbe “espressione del piu’ generale principio della disponibilita’ della domanda volta ad una tutela cui l’attore abbia interesse”. In realta’, l’articolo 278 c.p.c. riconosce solo una facolta’ all’attore e non gli riconosce affatto, proprio perche’ e’ il giudice che decide se far luogo alla sentenza di condanna generica, un potere dispositivo dell’azione di condanna nel senso di limitarla al profilo generico dell’an debeatur.
Viceversa, il consentire all’attore di introdurre ab origine una richiesta di condanna generica implicherebbe – esso si’ – il potere di disporre dell’azione.
7.7.5. Che poi nell’ordinamento processualcivilistico precedente al Codice del 1940, che ignorava l’esistenza di una norma, la dottrina avesse ipotizzato che l’esercizio di un’azione di condanna potesse avvenire con richiesta di condanna generica, e’ argomento che, al lume della presenza nel nuovo codice solo della previsione dell’articolo 278, dovrebbe, tutto al contrario di quanto sostenuto dalla ricordata decisione del 1995, evidenziare una precisa presa di posizione del legislatore limitativa soltanto a detta previsione e nel particolare modo da essa previsto dell’istituto della condanna con riserva, allorquando il bisogno di tutela giurisdizione riguardi una situazione in cui la norma sostanziale per la cui osservanza si agisce richieda la tecnica della condanna. E dunque dovrebbe essere la cartina di tornasole dell’esclusione del potere di introdurre la condanna generica ab origine.
7.7.6. Non e’ poi senza rilievo un’altra circostanza, che costituisce pure un dato normativo: l’utilita’ della condanna con riserva di cui all’articolo 278 c.p.c. e, quindi, la sua giustificazione, si deve ricostruire in senso sostanzialmente, sebbene lato sensu, cautelare, dato che essa si esprime sostanzialmente nel consentire all’attore che l’abbia ottenuta la possibilita’ di iscrivere ipoteca giudiziale a norma dell’articolo 2818 c.c. e, quindi, di conseguire una misura che serve ad assicurare che la successiva condanna nel quantum possa realizzarsi fruttuosamente. Ma cio’ accade con un meccanismo che prevede necessariamente che il giudizio debba proseguire per la consecuzione di quella condanna e che dunque a’ncora l’iscrizione al risultato finale della prosecuzione, cosi’ connotando l’utilita’ della stessa in via strumentale.
Tanto non e’ escluso dal fatto che, qualora il giudizio in prosecuzione sul quantum si estingua, l’articolo 310 c.p.c. preservi l’efficacia della sentenza di condanna con riserva: e’ sufficiente osservare che l’estinzione dipende da comportamenti che debbono tenere entrambe le parti e dunque anche il convenuto, che bene valutera’ la conseguenza del permanere dell’iscrizione, sempre che egli e l’attore non abbiano regolato la situazione nel fare estinguere il giudizio.
7.7.7. Conclusivamente, si deve ritenere che gli argomenti addotti dalle Sezioni Unite nel 1995 non erano convincenti.
Essi non lo erano in via generica per le ragioni che si sono esposte sopra in via preliminare circa il modellarsi dell’esercizio dell’azione ad instar di quanto prevedono le norme sostanziali e particolarmente quelle la cui tutela davanti al giudice suppone una tecnica condannatoria.
Non lo erano in via specifica per le ragioni che si sono esposte ripercorrendo la motivazione della sentenza.
Si puo’ anche aggiungere che a sostegno dell’esclusione della proponibilita’ in via autonoma dell’azione di condanna in via generica puo’ evocarsi anche l’orientamento che le Sezioni Unite hanno inaugurato sul tema del c.d. frazionamento della domanda con la sentenza n. 23726 del 2007 e successivamente ribadito con la sentenza n. 4090 del 2017: e’ evidente che i principi ispiratori di questa giurisprudenza, la’ dove hanno evidenziato che sul piano costituzionale una parcellizzazione dell’esercizio della tutela giurisdizionale determina un vero e proprio abuso del processo, non possono che giustificare l’abbandono del principio risalente all’arresto del 1995.
Invero, consentire all’attore che intenda esercitare il diritto di azione di proporre per sua decisione una domanda di condanna generica, implica che egli parcellizzi la tutela, con conseguente inutile moltiplicazione dei processi.
7.8. Deve, dunque, affermarsi il principio di diritto secondo cui “l’attore che chiede la tutela giurisdizionale di una situazione giuridica soggettiva, secondo la tecnica di tutela della condanna all’esecuzione della prestazione necessaria per assicurare tutela a detta situazione, non puo’ proporre la domanda limitando la richiesta di tutela ad una condanna generica, cioe’ al solo an debeatur e fare riserva di introdurre un successivo giudizio per l’accertamento del quantum, a somiglianza di quanto l’articolo 278 c.p.c. consente all’attore di chiedere nel corso del processo in cui abbia proposto la domanda di condanna in modo pieno”.
7.9. Resta da dire di che cosa accada ove la domanda sia proposta in tali termini. Si deve ritenere che la limitazione all’an risulti tamquam non esset, con la conseguenza che il giudice deve qualificare la domanda come volta a chiedere una tutela condannatoria piena e procedere all’accertamento del diritto fatto valere sia nell’an che nel quantum. Gli oneri di allegazione e prova dell’attore andranno vagliati in funzione di tale accertamento pieno.
Va avvertito che, se riguardo al quantum l’atto introduttivo si presentasse carente quanto all’indicazione dei fatti identificatori della domanda sotto tale profilo, il giudice dovrebbe procedere al rilievo della nullita’ della citazione ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 4 e ss. e, dunque, ordinare il rinnovo della citazione o la sua integrazione.
8. Raggiunte tali conclusioni, si puo’ tornare all’esame della domanda proposta da (OMISSIS).
Si deve rilevare che, come emerge dal tenore che sopra si e’ riportato essa non poteva qualificarsi affatto come domanda di condanna generica limitata all’an debeatur. Invero, non era stata formulata come domanda di condanna ad esso limitata e non era stata formulata con riserva di proposizione successiva di separato giudizio sul quantum.
Nelle espressioni con cui risulta formulata non vi e’ alcunche’ che possa evocare una delle due alternative.
Fermo che, se una di esse vi fosse stata, le considerazioni svolte in precedenza, che hanno portato ad escludere l’ammissibilita’ della formulazione di una domanda di condanna con riserva ad iniziativa dell’attore, avrebbero giustificato che la domanda si sarebbe dovuta ritenere comunque estesa al quantum, cioe’ una domanda di condanna piena, nella specie il tenore della domanda comprendeva l’accertamento anche del quantum proprio per il modo della sua formulazione. In particolare, il tenore della domanda, siccome espresso nelle conclusioni e sulla base di quanto indicato nelle premesse della citazione, implicava la deduzione in giudizio e, quindi, la richiesta di accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria nella loro interezza, cioe’ sia quanto all’esistenza di un rapporto di conto corrente, sia quanto all’esecuzione su di esso di versamenti da parte di contribuenti, ognuno da dimostrare, sia quanto alla dimostrazione della spettanza dell’imposizione su ognuno di essi, previamente individuato e dimostrato esistente, della commissione nei termini indicati.
I chiesti accertamenti, in ragione delle conclusioni, postulavano all’esito una condanna al pagamento di quanto risultato accertato per ogni versamento sul conto corrente secondo la misura della commissione per i due periodi temporali indicati. L’assenza di riserva della determinazione dell’ammontare complessivo delle somme dovuto per le commissioni accertate dovute su ogni versamento sul conto corrente, cioe’ in definitiva sulla relativa quantificazione (per parafrasare l’articolo 278 c.c.), implicava ex necesse che anche questa determinazione fosse devoluta dalla domanda al tribunale cuneese.
Perche’ si evidenziasse la – pur inammissibile – natura di domanda di condanna limitata all’an debeatur delle conclusioni formulate nella citazione sarebbe stato necessario indicare, secondo la prospettiva avallata della sentenza del 1995 e quindi seguita da questa Corte successivamente, ma ora qui disattesa, la riserva, secondo una delle modalita’ indicare, di determinazione del quantum debeatur, in ipotesi supponente l’accertamento del numero di versamenti effettuati sul conto corrente e dell’epoca di effettuazione e, quindi, le relative operazioni di calcolo complessivo.
Invece, le conclusioni sopra ricordate nulla in tal senso contenevano ed altrettanto e’ a dirsi della premesse della citazione e dunque una riserva in quel senso non vi fu (fermo che, se vi fosse stata, sarebbe stata irrilevante).
9. E’ da rilevare che in esse non si forniva alcuna allegazione individuatrice dei versamenti effettuati dai contribuenti sui conti correnti (e meno che mai alcuna correlata deduzione probatoria), ma tanto, lungi dall’implicare che la domanda di condanna non potesse e dovesse essere considerata piena, determinava soltanto una patente violazione della norma dell’articolo 163 c.p.c., n. 4 quanto all’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda proposta. Vertendosi, infatti, in ipotesi di domanda relativa ad un diritto c.d. eterodeterminato i versamenti effettuati sui conti correnti assumevano il valore di fatti costitutivi della pretesa creditoria con efficacia individuatrice della domanda, in quanto era la loro verificazione che, secondo la prospettazione, determinava la debenza della commissione pretesa da (OMISSIS).
La loro assoluta carenza di indicazione sarebbe stata da apprezzare come causa di nullita’ della citazione introduttiva del giudizio ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 4 ed avrebbe dovuto imporre all’adito Tribunale di Cuneo di ordinare a (OMISSIS) l’integrazione della citazione ai sensi del comma 5 cit. norma.
La mancanza di formulazione di un’eccezione di nullita’ della citazione da parte della convenuta (OMISSIS), congiunta all’omesso esercizio del dovere officioso di rilevazione della nullita’, rese pero’ la questione della sua sussistenza irrilevante (si veda, invece, per il caso in cui la nullita’ venga eccepita dal convenuto ed il giudice ometta di ordinare l’integrazione del contraddittorio il principio di diritto affermato da Cass. n. 17408 del 2012 e successive conformi) e determino’, all’esito della decisione di primo grado (in vista della cui adozione entro il giudice avrebbe potuto ancora rilevare d’ufficio la nullita’ ed ordinare l’integrazione della citazione rimettendo la causa sul ruolo), l’irrilevanza della nullita’ stessa e la conseguenza della decidibilita’ sulla domanda per come proposta nel merito.
Il giudice di primo grado decise sulla domanda, esattamente sulle conclusioni della citazione, come emerge dalla sentenza prodotta come doc. 7 da (OMISSIS), dando rilievo ad un profilo di infondatezza in iure afferente all’ininfluenza sul rapporto di conto corrente del mutamento della natura di (OMISSIS).
Anche il giudice di appello – sempre provvedendo sulle medesime conclusioni della citazione, come emerge dalla sentenza prodotta come doc. 18 da (OMISSIS) – rigetto’ la domanda sulla base di una quaestio juris, quella inerente alla perdurante natura di monopolista di (OMISSIS), ritenuta preclusiva all’applicabilita’ delle chieste commissioni.
Questa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2956 del 2013 casso’ con rinvio la sentenza di appello ritenendo che mancasse una disciplina che esonerasse la convenuta quale esattore dall’obbligo di corrispondere le commissioni.
In sede di riassunzione, come rilevasi dall’atto di riassunzione prodotto come doc. 23 da (OMISSIS) – quest’ultima, nel ribadire sempre le conclusioni della citazione, al punto 3) sopprimendo l’espressione di esordio “premesso che”, aggiunse fra parentesi tonda, dopo la parola “condanna”, l’espressione “(condanna generica)”, ma, l’ipotetica modificazione della domanda condannatoria come condanna con riserva (determinante una sostanziale riduzione della domanda):
a) non solo sarebbe risultata irrilevante, giusta la qui ritenuta negazione della ammissibilita’ di una domanda autonoma di condanna con riserva;
b) bensi’, proprio per il fatto che implicava una oggettiva riduzione della domanda originaria, che era di condanna piena, avrebbe comportato che per la parte ridotta la domanda si sarebbe dovuta dire infondata, atteso che la rinuncia ad una domanda equivale a riconoscimento di sua infondatezza e cosi’ la rinuncia ad una parte della domanda, come la condanna piena, destinata ad assicurare la tutela completa del diritto, cosi’ sostanzialmente risultando irrilevante ai fini dell’ambito del dovere decisorio del giudice del rinvio;
c) inoltre, la riduzione – lo si osserva per absurdum – sarebbe stata in conflitto con l’articolo 394 c.p.c., comma 2 e, dunque, irrituale e nulla e, peraltro, come risulta a pag. 27 della comparsa di costituzione in riassunzione – prodotta da Posta Italiane come doc. 23 – ebbe a rilevare che la pretesa di (OMISSIS) di considerare di condanna “generica” la domanda risultava comunque priva di fondamento, il che avrebbe dovuto comunque apprezzarsi come deduzione della novita’ del mutamento riduttivo delle conclusioni.
Fermo quanto rilevato, si osserva invece che l’aggiunta di quelle due parole (“condanna generica”) comunque non venne nemmeno accompagnata dalla deduzione di voler agire con un successivo giudizio per il quantum e dunque, sarebbe stata inidonea ad immutare la domanda in richiesta di condanna generica.
10. Giusta le svolte considerazioni la domanda di (OMISSIS) rimase, dunque, domanda di condanna piena, cioe’ “specifica” per usare l’aggettivo usato dalla sentenza qui impugnata e comunque – lo si rileva ad abundantiam – se pure la prospettazione delle due parole dell’atto di riassunzione fosse stata rilevante e (per assurdo) produttiva di effetti, la qui affermata non configurabilita’ di una domanda di condanna generica ad iniziativa di chi si fa attore avrebbe determinato in ogni caso – anche, se si vuole, per l’assenza di richiesta di prosecuzione nel quantum che alla riduzione si sarebbe dovuta accompagnare per riportare la situazione nell’ambito dell’articolo 278 c.p.c. – la valutazione della domanda come domanda di condanna piena e, dunque, specifica.
11. Tanto complessivamente rilevato, a questo punto appare palese la ragione per cui si debbono accogliere il motivo IV-a del ricorso della (OMISSIS) ed il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) e perche’ per altro verso si debbono rigetto i motivi dei due ricorsi incidentali condizionati di (OMISSIS), con conseguente assorbimento dei residui motivi dei ricorsi della (OMISSIS) e di (OMISSIS), nonche’ del ricorso autonomo di (OMISSIS).
La corte torinese, pur avendo qualificato correttamente la domanda come “specifica”, cioe’ di condanna piena, ha reso una statuizione contraria a tale qualificazione, in quanto ha emesso una condanna al contrario del tutto generica, tale essendo la statuizione di condanna ad importi spettanti per ogni bollettino per i due periodi indicati, senza alcuna individuazione, rectius accertamento, del numero dei bollettini stessi e tra l’altro con il riconoscimento di interessi. Siffatta condanna, per il suo tenore del tutto indeterminato, e’ all’evidenza inidonea ad integrare una condanna specifica, cioe’ ad accertare il dovuto rispettivamente da parte dei due esattori e a costituire in relazione ad esso l’effetto di una condanna piena, essendo il relativo importo indeterminato ed indeterminabile in base ad elementi desumibili dalla sentenza in quanto accertati (e financo dallo svolgimento processuale, in cui i bollettini non solo non vennero in alcun modo indicati, ma nemmeno provata l’esecuzione).
La sentenza va, dunque, cassata quanto alla detta irrituale statuizione condannatoria che nella realta’ e’ stata generica e per le ragioni in precedenza indicate non poteva aver luogo.
Poiche’ e’ pacifico che il numero di bollettini e, dunque, di operazioni su cui si sarebbe dovuta applicare la commissione non venne indicato e meno che mai vennero indicati e provati i bollettini stessi, essendo stata del tutto carente la stessa attivita’ di allegazione di (OMISSIS), ricorrono, a seguito della cassazione, le condizioni per decidere nel merito e, dunque, per rigettare la domanda di fonte contrattuale di (OMISSIS), giacche’ non occorrono accertamenti di merito quanto alla mancanza di dimostrazione dei fatti costitutivi nel quantum della pretesa.
Analogo rigetto deve farsi per la domanda subordinata di (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 2041 c.c. La mancanza di dimostrazione dei fatti costitutivi rappresentati dal numero dei bollettini e dal loro utilizzo e’ esiziale anche per essa, non senza che si debba rilevare che essa, peraltro, non sarebbe stata ammissibile, dato il palese difetto delle condizioni di cui alla norma, a causa della esistenza di un rapporto contrattuale fra le parti cui il preteso arricchimento sarebbe ricollegabile.
12. Le spese di tutti i gradi di giudizio (ivi compreso il primo giudizio di cassazione) e quelle del presente giudizio di cassazione possono essere compensate.
La ragione della compensazione risiede, avuto riguardo al regime dell’articolo 92 c.p.c. applicabile al processo, nell’esistenza di giusti motivi ravvisabili nella circostanza che quanto si e’ in questa sede rilevato in modo dirimente in ordine alla non configurabilita’ di un’azione di condanna generica d’iniziativa autonoma dell’attore costituisce mutamento di giurisprudenza, mentre, con riferimento alla ratio decidendi che ha ravvisato comunque l’originario carattere specifico della domanda di condanna si deve dare rilievo come giusto motivo all’essere emersa nel dibattito processuale sostanzialmente dopo il disposto rinvio a seguito della sentenza qui impugnata.
Dev’essere dichiarato che il rigetto dei due ricorsi incidentali condizionati di (OMISSIS) assegna alla presente decisione valore giustificativo della debenza del doppio del contributo eventualmente dovuto in relazione ad essi.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il motivo IV-a del ricorso della (OMISSIS) ed il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS). Rigetta i ricorsi incidentali condizionati di (OMISSIS) e dichiara assorbiti i motivi di tutti gli altri ricorsi. Cassa la sentenza in relazione e, decidendo nel merito sull’appello, rigetta sia la domanda principale sia quella subordinata di (OMISSIS). Compensa le spese dell’intero svolgimento processuale.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di (OMISSIS) s.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per l’introduzione del giudizio di appello, se dovuto, e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura a quello previsto per i due ricorsi incidentali condizionati, se dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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