Prova testimoniale con riguardo alle deposizioni rese dai parenti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 marzo 2022| n. 7973.

In materia di prova testimoniale, non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’articolo 247 cod. proc. civ. per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato dai uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti (Nel caso di specie, relativa ad una controversia insorta in sede di esecuzione di un contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di un’abitazione, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dall’appaltatore, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, nel respingere la domanda del ricorrente con condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni da inadempimento negoziale, in accoglimento dell’autonoma domanda riconvenzionale proposta dai committenti per il risarcimento dei danni per un importo maggiore rispetto al residuo del corrispettivo ancora dovuto, aveva ritenuto l’oggettiva inutilizzabilità della testimonianza resa da un teste sulla base del mero rapporto di parentela che legava quest’ultimo al ricorrente). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 17 dicembre 2015, n. 25358; Cassazione, sezione civile III, sentenza 20 gennaio 2006, n. 1109; Corte cost. sentenza 23 luglio 1974, n. 248).

Ordinanza|11 marzo 2022| n. 7973. Prova testimoniale con riguardo alle deposizioni rese dai parenti

Data udienza 9 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Mezzi di prova – Prova testimoniale – Decadenza del divieto di testimoniare previsto dall’articolo 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974 – Principio di necessaria inattendibilità del testimone avente vincoli di parentela o coniugali con una delle parti – Non sussiste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 12760-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS) presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 283/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata l’08/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2022 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Prova testimoniale con riguardo alle deposizioni rese dai parenti

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo il pagamento del residuo del prezzo convenuto in relazione ad un appalto concluso nel (OMISSIS).
2. Si costituivano i convenuti proponendo eccezione di inadempimento e domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni conseguenti all’esecuzione dei lavori non a regola d’arte e per quelli manifestatisi successivamente.
3. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 14.719,02 oltre alle spese.
4. (OMISSIS) e (OMISSIS) interponevano appello avverso la suddetta sentenza.
5. La Corte d’Appello, nel riassumere i fatti di causa, evidenziava che le parti avevano concluso nel (OMISSIS) un contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di un’abitazione dietro corrispettivo di Lire 102.000.000. Secondo la domanda dell’appaltatore, i committenti avevano impedito di completare i lavori, rimanendo debitori della somma di Lire 28.500.000. Secondo la riconvenzionale dei committenti, poi appellanti, l’appaltatore non aveva ottemperato a due ordini di servizio con i quali il direttore dei lavori aveva chiesto l’eliminazione di vizi e difetti dei lavori gia’ eseguiti. L’opera, per questo motivo, era stata completata da terzi e i committenti avevano subito danni per la realizzazione delle opere non a regola d’arte e per i gravi difetti manifestati successivamente.
5.1 La Corte d’Appello, cosi’ riassunti i fatti di causa, con sentenza non definitiva, riteneva fondato il gravame. In particolare, riteneva applicabile l’articolo 1667 c.c. non essendo stata sollevata alcuna eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia nonostante i vizi fossero riconoscibili. Il committente convenuto per il pagamento aveva diritto di far valere la garanzia per difformita’ dei vizi dell’opera e la non tempestivita’ della denuncia doveva essere ritualmente eccepita dall’appaltatore.
I committenti, in sede di interrogatorio libero, avevano ammesso di aver sostituito la serratura di accesso e avevano precisato di averlo fatto solo dopo che l’impresa non aveva provveduto ad ultimare le opere nonostante le precise disposizioni impartite dal direttore dei lavori. Le deposizioni dei testi di parte attrice erano inutilizzabili per il rapporto di parentela e perche’ de relato, mentre doveva ritenersi attendibile la deposizione del direttore dei lavori. Peraltro, un ingegnere incaricato dagli appellanti aveva redatto una relazione dalla quale risultavano anche copiose infiltrazioni nello scantinato e umidita’ al pianterreno tanto da ritenere l’immobile non abitabile. I testi di parte convenuta, invece, erano artigiani che avevano eseguito le opere di completamento e di ripristino e, pertanto, erano credibili.
In conclusione, si doveva ritenere accertato che l’appaltatore non avesse dato esecuzione agli ordini di servizio del direttore dei lavori e che avesse sostanzialmente abbandonato il cantiere senza completare le opere. Pertanto, avendo l’appaltatore chiesto il pagamento, il committente poteva ancora far valere la garanzia per difformita’ ex articolo 1667 e doveva ritenersi fondata l’eccezione di inadempimento, in quanto le opere non completate e mal eseguite erano pari ad oltre il 23 percento del corrispettivo pattuito e doveva raccogliersi anche la domanda di risarcimento dei danni per i gravi difetti manifestatisi successivamente oltre a quelli derivanti dal mancato completamento dell’opera. I danni da inadempimento negoziale erano pari alle spese che i committenti avevano dovuto sopportare per il completamento dell’opera quantificate in complessive Lire 23.640.668 la cui somma doveva essere rivalutata oltre agli interessi legali dalla data della decisione. Doveva, dunque, rigettarsi la domanda attrice e condannarsi l’impresa al risarcimento dei danni da inadempimento negoziale, in accoglimento dell’autonoma domanda riconvenzionale proposta per il risarcimento dei danni per un importo maggiore del residuo ancora dovuto, non potendosi compensare i rispettivi crediti non essendo stata formulata alcuna domanda al riguardo.
Quanto alla domanda relativa al risarcimento per i danni derivanti dai gravi difetti dell’opera ex articolo 1669 c.c. la stessa era ammissibile sia perche’ tempestiva sia perche’ non era stato eccepito il decorso il termine di un anno, sicche’ sul punto era necessario procedere a una consulenza tecnica.
6. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza parziale non definitiva della Corte d’Appello di Cagliari sulla base di cinque motivi.
7. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
8. Il ricorrente con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

 

Prova testimoniale con riguardo alle deposizioni rese dai parenti

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1667 c.c. in relazione agli articoli 1671 c.c. e ss., articoli 2227 e 1373 c.c.
La Corte d’Appello avrebbe errato nel ricondurre la fattispecie all’articolo 1667 c.c. in quanto, sulla base dei fatti di causa accertati, i committenti avevano esercitato il recesso unilaterale dal contratto, impedendo quindi la prosecuzione dei lavori, anche di quelli ordinati dal direttore dei lavori.
La vicenda, dunque, dovrebbe correttamente inquadrarsi negli articoli 1671 c.c. e ss., articoli 2227 e 1373 c.c.. L’appaltatore si era trovato impossibilitato ad ultimare i lavori contestati per volonta’ dei committenti che impedendone la realizzazione avevano determinato il venir meno della garanzia per eventuali difformita’ e vizi che fossero ancora presenti nelle opere eseguite. Peraltro, era risultato accertato che i vizi e difetti erano facilmente eliminabili.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 246 e 247 c.p.c.
La censura attiene alla ritenuta inutilizzabilita’ delle testimonianze dei testi di parte attrice in quanto il fatto che (OMISSIS) fosse parente dell’attore non era ostativo a rendere dichiarazioni testimoniali e le dichiarazioni di (OMISSIS) non erano de relato. A tal fine il ricorrente riporta il contenuto delle testimonianze, peraltro gli stessi committenti non avevano sollevato alcuna eccezione al momento dell’assunzione della testimonianza. Al contrario, i testi che avevano interesse in causa erano quelli di parte committente titolari delle imprese artigiane che avevano terminato le opere lasciate incomplete e che avevano tutto l’interesse ad attribuire all’impresa precedente i vizi emersi dopo che gli stessi avevano portato a compimento i lavori.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 230 c.p.c. e ss..
La sentenza sarebbe carente rispetto all’articolo 230 c.p.c. e ss. in quanto i committenti non erano comparsi a rispondere all’interrogatorio formale con la conseguenza che le mancate risposte avrebbero dovuto essere valutate ex articolo 232 c.p.c., mentre i testi poi dichiarati inattendibili avevano affermato che l’impresa aveva eseguito i lavori indicati dal direttore dei lavori, salvo quelli per i quali si era reso impossibile l’esecuzione per colpa dei committenti medesimi.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione falsa applicazione dell’articolo 1669 c.c. e dell’articolo 191 c.p.c. e ss..
Il motivo e’ in parte ripetitivo dei precedenti; si censura la sentenza nella parte in cui ha valorizzato una consulenza tecnica di parte eseguita nel maggio del 2002, successivamente alla ricezione dell’atto di citazione da parte dei committenti e a distanza di ben cinque anni dalla risoluzione del contratto per recesso degli stessi committenti e dopo l’intervento da parte di terzi per l’esecuzione delle opere rimaste incomplete. Peraltro, il giudice di appello ha ritenuto la responsabilita’ dell’appaltatore in relazione ai suddetti danni sulla base di tale consulenza di parte, rinunciando perfino all’istanza istruttoria volta all’accertamento dell’esistenza e consistenza dei vizi. In altri termini, il giudice d’appello ha disposto la prosecuzione della causa d’appello al fine di quantificare con una consulenza tecnica d’ufficio i danni che ha ritenuto provati sulla base di una consulenza tecnica di parte, sicche’ sarebbe evidente la violazione dell’articolo 191 c.p.c. e ss.
Anche le motivazioni con le quali sono state addebitate al ricorrente le infiltrazioni d’acqua nello scantinato del piano terra del fabbricato sarebbero del tutto incongruenti in quanto per ammissione degli stessi soggetti terzi, questi avrebbero terminato le opere lasciate incomplete, eliminando i vizi derivanti da esecuzione non a regola d’arte. Pertanto, l’inadempimento sarebbe da attribuirsi alla committente che invitava l’appaltatore a saldare le somme dovute e impediva la prosecuzione dei lavori, evidenziando in tal modo la volonta’ di recedere unilateralmente dal contratto.
5. Il quinto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione falsa applicazione dell’articolo 1668 c.c.
Il contratto era stato risolto esclusivamente per volonta’ dei committenti e, dunque, spettava all’appaltatore il pagamento delle opere compiute e il rimborso delle spese oltre al mancato guadagno. Non poteva essere rigettata la domanda attrice. La sentenza sarebbe incomprensibile anche in relazione alle somme riconosciute come dovute sia dai committenti che dai giudici ma non portate in compensazione nei complicati conteggi eseguiti dal giudice d’appello.
6. I cinque motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
La Corte d’Appello ha motivato l’inutilizzabilita’ della testimonianza di (OMISSIS) in modo del tutto erroneo e in palese violazione di legge. In particolare, ne ha affermato la sua oggettiva inutilizzabilita’ solo sulla base del rapporto di parentela con l’attore.
In proposito deve darsi continuita’ al principio secondo cui: “In materia di prova testimoniale, non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilita’ connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’articolo 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilita’ del teste legato da uno dei predetti vincoli non puo’ essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilita’, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti” (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 25358 del 2015; Sez. 3, Sent. n. 1109 del 2006).
A tale – inaccettabile – inutilizzabilita’ oggettiva si aggiunge l’altrettanto erronea declaratoria di inutilizzabilita’ oggettiva rispetto alla testimonianza resa da (OMISSIS). Questi, infatti, ha riferito di aver svolto i lavori richiesti dal direttore dei lavori e di non averli potuti completare perche’ dopo essersi recato personalmente sul posto, in compagnia di (OMISSIS), aveva trovato la serratura della casa cambiata con conseguente impossibilita’ di accedervi. Tale circostanza, peraltro, coincide con quanto affermato dagli stessi committenti. La Corte d’Appello, infatti, ha evidenziato che i committenti, in sede di interrogatorio libero, hanno ammesso di aver sostituito la serratura di accesso perche’ l’impresa non aveva provveduto ad ultimare le opere nonostante le precise disposizioni impartite dal direttore dei lavori.
La ricostruzione della vicenda, dunque, e’ inficiata dall’erronea valutazione di inutilizzabilita’ oggettiva delle suddette testimonianze con potenziali riflessi anche sulle restanti violazioni di legge come censurate dai ricorrenti, in tema di applicabilita’ dell’articolo 1671 c.c. e di erronea applicazione degli articoli 1667 e 1669 c.c.. Quest’ultima, peraltro, fondata in modo manifestamente contraddittorio esclusivamente su di una consulenza tecnica di parte, svolta dai committenti nel 2002, successivamente al completamento dei lavori da parte di terzi, e dopo l’interruzione del rapporto.
7. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione per una complessiva rivalutazione della vicenda alla luce dei principi espressi. Il giudice del rinvio provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

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