Quando è un provvedimento meramente confermativo

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 17 aprile 2020, n. 2447.

La massima estrapolata:

Un provvedimento è meramente confermativo nel caso in cui è ribadita la decisione assunta nell’atto precedente, senza alcuna rivalutazione degli interessi, né nuovo apprezzamento dei fatti, mentre è di conferma (in senso proprio) qualora l’amministrazione proceda ad un riesame della precedente decisione, valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti ovvero acquisendone di nuovi, come pure ponderando nuovamente gli interessi coinvolti.

Sentenza 17 aprile 2020, n. 2447

Data udienza 30 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Attività di smaltimento rifiuti – Via – Esercizio del medesimo potere amministrativo sul medesimo oggetto – Provvedimento di conferma e meramente confermativo – Interesse al ricorso – Attività di micronido – Agrinido – Luoghi sensibili – Immissioni nocive provenienti dall’impianto di smaltimento dei rifiuti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7367 del 2013, proposto da
Bi. s.p.a. (già Be. s.r.l.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Do. Re., Gi. Ta. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Do. Re. in Roma, via (…);
contro
Provincia di Bergamo, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Pe., Gi. Va., Bo. Lu. Pa. e Ka. Na., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Pe. in Roma, via (…);
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
Azienda agricola agrituristica Te. i La., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difeso dagli avvocati Lu. Ma. e Pa. Ra., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pa. Ra. in Roma, via (…);

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5810 del 2015, proposto da
Be. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ta. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Co. in Roma, via (…);
contro
Provincia di Bergamo, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Pe., Gi. Va., Bo. Lu. Pa. e Ka. Na., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Pe. in Roma, via (…);
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
Azienda agricola agrituristica Te. i La. di Be. Ro. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 7367 del 2013:
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sez. staccata di Brescia (sezione Prima) n. 00540/2013, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 5810 del 2015:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sez. staccata di Brescia (sezione Prima) n. 01446/2014, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bergamo e dell’Azienda agricola agrituristica Te. i La.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., Mi. per delega di Al. Pe., e Ce. per delega di Pa. Ra.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Be. s.r.l. (ora Bi. s.p.a.) è titolare di un impianto di trattamento di rifiuti urbani non pericolosi nel Comune di (omissis), autorizzato dalla Regione Lombardia con provvedimento 7 luglio 1997, n. 2807, rinnovata dalla Provincia di Bergamo con determinazione dirigenziale 4 febbraio 2011, n. 263.
Per l’incidenza dei costi di rinnovo delle apparecchiature, la società decideva di realizzare un nuovo impianto per il recupero di rifiuti non pericolosi, tecnologicamente più avanzato, nel Comune di (omissis), ove dal 2005 aveva acquistato un’area adeguata a tale scopo.
1.1. Con istanza 30 dicembre 2011 richiedeva, dunque, alla Provincia di Bergamo la verifica di assoggettabilità a V.I.A. – verifica impatto ambientale del progetto preliminare del nuovo impianto ai sensi dell’art. 19 e 20 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 nella formulazione ratione temporis vigente.
Il procedimento era concluso dal provvedimento di archiviazione 21 giugno 2012, n. 1530, per aver la Provincia rilevato l’esistenza di taluni vincoli (derivanti da un reticolo idrico e da un elettrodotto) che rendevano inattuabile il progetto.
1.2. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del 18 ottobre 2012, trasposto, per opposizione della Provincia di Bergamo, al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia (Rg. n. 104/2013) Be. s.r.l. impugnava il predetto provvedimento di archiviazione.
Il ricorso era definito con sentenza sez. I, 5 giugno 2013, n. 540 di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.
Era, infatti, accaduto che, con istanza 14 agosto 2012, la società aveva richiesto alla Provincia la verifica di assoggettabilità a V.I.A di un nuovo progetto nel quale l’impianto era diversamente dislocato proprio allo scopo di superare gli impedimenti in precedenza riscontrati.
Richiesti chiarimenti e documentazione, la Provincia di Bergamo aveva disposto l’archiviazione anche della nuova istanza con provvedimento del 21 febbraio 2013.
1.3. L’archiviazione era motivata per il mancato rispetto della fascia di distanza minima dall'”agrinido” – struttura di assistenza per la prima infanzia riconducibile alla tipologia “Micro Nido”, a sua volta qualificabile come “Asilo Nido” – presente all’interno dell’Azienda agricola agrituristica Tenuta “I La.”, e tutelata quale “sito sensibile” dalla delibera di Giunta regionale 21 ottobre 2009, n. 8/10360 che, dettando i “criteri per la localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti urbani e speciali” imponeva (al punto 8.5.6), appunto, una distanza minima di 1.000 metri per la localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti.
Nel medesimo provvedimento la Provincia respingeva l’eccezione della società di prevenzione temporale del suo progetto rispetto all’insediamento dell'”agrinido”, poiché la S.c.i.a. per la realizzazione della struttura per l’infanzia risultava trasmessa al Comune di (omissis) l’11 luglio 2012 e, dunque, precedentemente alla presentazione della seconda richiesta di verifica di assoggettabilità a V.I.A., del 16 agosto 2012.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sez. staccata di Brescia (Rg. n. 402/13) Be. s.r.l. impugnava il provvedimento di archiviazione e ne domandava l’annullamento sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo, sosteneva la violazione dell’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 che, nella formulazione ratione temporis applicabile, prevedeva l’obbligo dell’autorità competentedi pronunciarsi nel termine di 45 giorni; la Provincia di Bergamo aveva adottato il provvedimento di archiviazione oltre il termine di legge, quando la fase istruttoria doveva ritenersi ormai conclusa.
Con il secondo motivo la ricorrente contestava l’applicabilità della delibera della Giunta regionale n. 8 del 2009 non potendo un “agrinido” essere considerato assimilabile ad un “asilo” e, in quanto tali, qualificabile “sito sensibile”, con conseguente applicabilità della richiamata disciplina sulle distanze.
Con il terzo motivo lamentava l’erronea applicazione del principio di prevenzione temporale: per stabilire quale attività fosse stata previamente avviata la Provincia avrebbe dovuto tener conto della prima istanza di assoggettabilità a V.I.A. presentata da Be. e risalente al 2011, piuttosto che della seconda istanza del 2012.
Nel corso del giudizio tale motivo era ulteriormente sviluppato con la precisazione che, in realtà, l’attività di “agrinido” poteva dirsi avviata solo a far data dal 20 settembre 2013, data di presentazione della “comunicazione preventiva per l’esercizio dell’unità di offerta della rete sociale per la prima infanzia”, cui l’art. 15 della l. reg. Lombardia 12 marzo 2008, n. 46 subordinava l’esercizio delle strutture di assistenza sociale, tra cui appunto gli asili, e con la quale il gestore certificava il “possesso dei requisiti previsti dalle disposizioni regionali” in materia, avendo la S.c.i.a., cui la Provincia aveva ricondotto l’avvio dell’attività, solo natura edilizia in quanto riferita esclusivamente alla realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria.
2.1. Nel giudizio si costituivano la Provincia di Bergamo, il Comune di (omissis) e l’Azienda agricola agrituristica tenuta “I La.” che concludevano per il rigetto del ricorso.
Con motivi aggiunti notificati il 21 marzo 2014 Be. s.r.l. impugnava il provvedimento dirigenziale 28 gennaio 2014 prot. 10593 di reiezione dell’istanza di riesame formulata dalla società l’8 novembre 2013, in cui erano ribadite le ragioni di archiviazione della prima istanza, e le autorizzazioni all’esercizio di attività agrituristiche e di agrinido ottenute dall’azienda “I La.”, alle quali aveva avuto accesso il 20 gennaio 2014.
Nei motivi aggiunti la ricorrente, oltre a lamentare l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10 – bis l. n. 241 del 1990, sosteneva che la Provincia non aveva adeguatamente considerato che, all’interno dell’azienda agricola, l’attività di agrinido era meramente complementare a quella agrituristica, con conseguente erronea equiparazione della stessa ad uno dei “siti sensibili” indicati dalla delibera della Giunta regionale.
2.2. Il giudizio era concluso dalla sentenza sez. I, 23 dicembre 2014, n. 1446, che, dichiarato improcedibile il ricorso principale, respingeva i motivi aggiunti quanto alla domanda di annullamento del provvedimento di reiezione dell’istanza di riesame, e li dichiarava inammissibili quanto alla domanda di annullamento degli altri provvedimenti abilitativi dell’attività dell’azienda “I La.”. Le spese erano poste a carico della ricorrente.
Il giudice di primo grado dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio per essere stato il primo provvedimento di diniego, oggetto dell’impugnazione principale, sostituito dal nuovo diniego adottato dopo approfondita istruttoria avviata dall’istanza di autotutela presentata dalla società, con conseguente trasferimento ad esso dell’interesse all’annullamento.
Respinte le eccezioni di inammissibilità e di irricevibilità dei motivi aggiunti, il giudice riteneva corretta la decisione della Provincia di Bergamo poiché essa, nel decidere sull’istanza della Be., non avrebbe potuto non tener conto dell’esistenza di una struttura per l’infanzia, legittimamente qualificata come “micronido” dalla stessa azienda nella S.c.i.a. presentata il 20 settembre 2013 per l’avvio dell’attività, senza che il Comune di (omissis), cui la S.c.i.a. era diretta, avesse esercitato alcun provvedimento di controllo repressivo, avendo, anzi, respinto, con nota 28 novembre 2012, non impugnata, la richiesta della Be. di un intervento repressivo in autotutela.
3. Be. s.r.l. (divenuta nel corso del giudizio Bi. s.p.a.) propone appello avverso la sentenza n. 540 del 2013 (Rg. n. 7367/2013); nel giudizio si sono costituite la Provincia di Bergamo e l’Azienda agricola agrituristica tenuta “I La.”, è rimasto intimato il Comune di (omissis).
Appello (Rg. n. 5810/2015) è proposto anche avverso la sentenza n. 1446 del 2014; nel giudizio si è costituita la Provincia di Bergamo, mentre le altre parti sono rimaste intimate.
In entrambi i giudizi le parti hanno proposto memorie ex art. 73, comma 1, Cod. proc. amm., cui ha replicato la Provincia di Bergamo.
All’udienza pubblica del 30 gennaio 2020 le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei giudizi; benchè non siano appelli proposti avverso la medesima sentenza (per i quali la riunione è imposta dall’art. 96, comma 1, Cod. proc. amm.) ricorrono, comunque, le ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva per la riunione dei giudizi: le parti sono le stesse e i provvedimenti impugnati costituiscono momenti successivi di una medesima vicenda amministrativa avviata dalla prima istanza di verifica di assoggettabilità a V.I.A. presentata dalla Be. nel 2011 e concernente la realizzazione di un impianto per il trattamento di rifiuti urbani nel Comune di (omissis).
1.1. Sempre in via pregiudiziale deve essere respinta l’eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse proposta dalla Provincia di Bergamo per aver la società Be. s.r.l. realizzato le opere di ammodernamento dell’impianto esistente nel Comune di (omissis), indicate, per la loro particolare incidenza economica, come la ragione che l’aveva spinta a progettare un nuovo impianto, così dimostrando di non aver più interesse alla realizzazione di un nuovo impianto per lo smaltimento dei rifiuti nel Comune di (omissis).
È sufficiente, al riguardo, evidenziare che, a fronte dei provvedimenti di archiviazione delle istanze di fattibilità del nuovo impianto, confermati nei giudizi di primo grado, la Be. non aveva altra possibilità, per continuare a svolgere la sua attività d’impresa, che l’ammodernamento dell’impianto di (omissis). La scelta, dunque, in quanto sostanzialmente necessitata, non è incompatibile con la volontà di coltivare gli appelli proposti.
2. Va esaminato, per primo, l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia n. 540 del 2013.
L’appello è articolato in un unico motivo con cui la sentenza è contestata per “Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 34.3 e 35 c.p.a.)”: il giudice di primo grado non avrebbe potuto chiudere il giudizio con una sentenza di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse senza prima accertare che il secondo provvedimento di archiviazione avesse rimosso ogni interesse, anche risarcitorio, ad una pronuncia di merito sull’originaria domanda di annullamento della prima archiviazione.
3. Il motivo è infondato; la sentenza di primo grado merita conferma sia pure con le precisazioni di seguito esposte.
3.1. Come in precedenza riportato, Be. s.r.l., dopo il primo provvedimento (21 giugno 2012, n. 1530) di archiviazione dell’istanza di verifica di assoggettabilità a V.I.A. dell’originario progetto di realizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti non pericolosi nel Comune di (omissis), presentava una seconda istanza corredata da un nuovo progetto nel quale l’impianto risultava diversamente collocato nell’area di sua proprietà allo scopo di superare i vincoli (reticolo idrico e presenza di elettrodotto) già individuati dall’amministrazione provinciale come ostativi alla verifica di fattibilità del (primo) progetto proposto.
Alla seconda istanza la Provincia di Bergamo rispondeva con altro provvedimento di archiviazione del 21 febbraio 2013, n. 396.
3.2. Il giudice di primo grado riteneva il secondo diniego un fatto sopravvenuto in grado di elidere l’interesse a ricorrere per l’originaria domanda di annullamento non potendo trarre la ricorrente alcuna utilità dall’eventuale accoglimento del ricorso.
Per il giudice di primo grado, in sostanza, se anche fossero stati accolti i motivi di ricorso e annullato il primo provvedimento di archiviazione, non ne sarebbe derivato la ripresa del procedimento di verifica di assoggettabilità a V.I.A. del primo progetto per essere ora esistente una nuova determinazione, esercizio del medesimo potere amministrativo sul medesimo oggetto, destinata a dettar la regola del rapporto anche a fronte di una sentenza favorevole al privato ricorrente.
3.3. Tale ultimo passaggio non convince del tutto; a rigore, infatti, la successiva determinazione dell’amministrazione provinciale era, sì, esercizio del medesimo potere amministrativo (di verifica di assoggettabilità a V.I.A. ex art. 20 d.lgs. n. 152 del 2006), ma aveva oggetto diverso, poiché pronunciato sul (nuovo) progetto di costruzione del medesimo impianto di smaltimento dei rifiuti ma in altra zona dell’area di proprietà della società .
Non è corretto, dunque, affermare che la società non avrebbe potuto trarre alcuna utilità dell’accoglimento del ricorso, poiché essa avrebbe potuto richiedere all’amministrazione di riprendere il procedimento di verifica di fattibilità del primo progetto, ed è lo stesso giudice di primo grado ad affermare che la riserva contenuta nella nuova istanza (o, più esattamente, nella “Relazione introduttiva di corredo al progetto preliminare per il nuovo impianto di compostaggio rifiuti in Comune di (omissis)”), di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni, era idonea ad escludere l’acquiescenza al primo provvedimento di diniego (su tale profilo, di interesse è Cons. Stato, sez. IV, 21 marzo 2019, n. 1908).
3.4. Nel motivo di appello però, Be. non lamenta tanto che il giudice di primo grado non abbia tenuto conto del suo interesse a riprendere ed attuare il primo progetto – ne parla, sì, ma in maniera del tutto generica e solamente nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza di merito – quanto, invece, che non si sia tenuto conto dell’interesse ad ottenere il risarcimento del danno economico subito per il ritardato avvio dell’attività di impresa, a sua volta, dovuto alla presentazione del nuovo progetto, a suo dire, non dovuto per essere assentibile già il primo.
Per l’appellante, insomma, la sentenza di primo grado è erronea non per aver dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della domanda di annullamento quanto per non aver esaminato il merito del ricorso a fini risarcitori come imposto dall’art. 34, comma 3, Cod. proc. amm.; la pronuncia nel merito le sarebbe stata utile ad ottenere ristoro, in altro giudizio (mancando in quello qui proposto espressa domanda risarcitoria) del danno subito in ragione del provvedimento di diniego (che, infatti, al punto 3.1. dell’atto di appello è, sommariamente, descritto).
3.5. In questi termini, però, all’accoglimento del motivo di appello osta l’orientamento consolidato della giurisprudenza per il quale, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, il giudice è tenuto all’esame dei motivi di ricorso solo nel caso in cui la parte abbia espressamente dichiarato un suo interesse alla pronuncia a fini risarcitori.
Il Collegio aderisce, così, all’orientamento per il quale l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. (a mente del quale: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”) va interpretato nel senso che l’obbligo di pronunciare sui motivi di ricorso (ovvero di accertare l’illegittimità dell’atto impugnato) sussista in caso di istanza, o, comunque, espressa dichiarazione di interesse della parte ricorrente, non potendo il giudice, alla declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, far seguire la verifica d’ufficio della permanenza dell’interesse del ricorrente ad una pronuncia sulla fondatezza dei motivi di ricorso per fini risarcitori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539 cui si rinvia per l’esposizione completa di tutte le ragioni che inducono ad accogliere siffatta ricostruzione; e, più di recente, Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 2020, n. 727; IV, 14 novembre 2019, n. 7831; V, 14 agosto 2017, n. 4001).
3.6. Be. s.r.l. non ha allegato di aver dichiarato nel corso del giudizio di primo grado il suo interesse ad una pronuncia di merito a fini meramente risarcitori, ed anzi, nella memoria conclusiva aggiunge che l’orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio aderisce, si è affermato successivamente allo svolgimento del giudizio, così implicitamente ammettendo di non aver conformato la sua condotta processuale all’onere procedurale imposto dal codice di rito per poter ottenere una pronuncia di merito.
Né può valere ora in appello la dichiarazione di interesse ad ottenere una sentenza di merito per fini risarcitori; vi ostano le stesse ragioni del divieto di nova in appello: sarebbe eluso il principio del doppio grado del giudizio.
3.7. In conclusione, l’appello proposto avverso la sentenza n. 540 del 2013 va respinto con conferma della definitiva archiviazione del primo progetto presentato dalla Be. all’amministrazione provinciale.
4. Il secondo appello è proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia n. 1446 del 2014.
Con il primo motivo Be. s.r.l. contesta la “violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 35.1 lett. c) c.p.a.); violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.)”; il giudice non avrebbe potuto dichiarare l’improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse senza previamente verificare se il rigetto dell’istanza di riesame avesse effettivamente reso inutile la pronuncia sui tre motivi del ricorso principale; circostanza non verificatasi considerato il suo interesse all’esame del terzo motivo di ricorso relativo all’errata applicazione del principio di prevenzione temporale, sul quale il secondo provvedimento nulla aveva aggiunto, configurandosi, per questo, non pienamente sostitutivo del primo, ma, al più, di mera integrazione della motivazione su di un punto specifico.
5. Il motivo è infondato.
5.1. Il giudice di primo grado ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale per aver ritenuto il provvedimento di reiezione dell’istanza di riesame, impugnato con motivi aggiunti, integralmente sostitutivo del primo provvedimento.
La decisione è corretta, a nulla rilevando che nel provvedimento adottato all’esito del riesame non vi sia più alcun riferimento alla questione della prevenzione temporale della S.c.i.a. presentata dall’Azienda agricola “I La.” rispetto alla istanza della ricorrente.
5.2. E’ noto che un provvedimento è meramente confermativo nel caso in cui è ribadita la decisione assunta nell’atto precedente, senza alcuna rivalutazione degli interessi, né nuovo apprezzamento dei fatti, mentre è di conferma (in senso proprio) qualora l’amministrazione proceda ad un riesame della precedente decisione, valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti ovvero acquisendone di nuovi, come pure ponderando nuovamente gli interessi coinvolti (cfr. Cons. Stato, V, 6 aprile 2020, n. 2260; V, 8 novembre 2019, n. 7655; V, 11 ottobre 2019, n. 6916; III, 27 dicembre 2018, n. 7230; VI, 11 dicembre 2018, n. 6984; V, 27 novembre 2017, n. 5547).
Il provvedimento della Provincia di Bergamo, del 28 gennaio 2014, reiettivo dell’istanza di riesame, è un provvedimento di conferma in senso proprio; l’amministrazione, infatti, sollecitata dalla Be., riapriva il procedimento, rinnovava l’istruttoria coinvolgendo anche il Comune di (omissis), ed arrivava ad adottare una nuova determinazione del medesimo tenore della precedente.
5.3. E’ vero che la ragione ostativa alla realizzabilità del progetto era individuata soltanto nel mancato rispetto della distanza dall'”agrinido” impiantato nell’Azienda agricola “I La.” mentre nulla era più detto sull’eccezione di prevenzione avanzata dalla Be., ed alla quale era stato dato negativo riscontro nel precedente provvedimento di archiviazione, ma si tratta di circostanza non rilevante a fini di diversa qualificazione del provvedimento in esame.
Nel primo provvedimento, invero, il criterio della prevenzione non era ragione ostativa alla fattibilità del progetto (ulteriore rispetto al mancato rispetto della distanza dall'”agrinido”), poiché, come detto, la sua applicazione era stata sollecitata dalla Be. per ottenere l’accoglimento dell’istanza; di esso, dunque, la Provincia di Bergamo avrebbe dovuto parlare in sede di riesame solo se avesse inteso accoglierlo, non, invece, per confermare il precedente diniego.
5.4. Come ben ritenuto dal giudice di primo grado, nel corso del giudizio, l’interesse a ricorrere si è integralmente trasferito sul provvedimento di reiezione dell’istanza di riesame, con conseguente sopravvenuta improcedibilità del ricorso principale. La sentenza di primo grado merita, dunque, conferma sul punto.
6. Con i successivi motivi di appello Be. s.r.l. si duole del rigetto dei motivi aggiunti.
6.1. In particolare, con il secondo motivo d’appello lamenta “Ingiustizia e illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di legge (artt. 10 bis e 21 octies l. 241/90)”: il giudice di primo grado, pur senza dichiararlo espressamente, avrebbe applicato l’art. 21 – octies l. 7 agosto 1990, n. 241, e, ritenuto necessitato il contenuto del provvedimento, giudicato irrilevante la mancata notifica del preavviso di rigetto nel procedimento di riesame, senza tener conto, però, che ulteriori elementi di valutazione avrebbe potuto offrire all’amministrazione, con particolare riferimento all’inapplicabilità della disciplina sulle distanze dalle aziende agricole, anche in presenza di attività assimilabili a quelle salvaguardate dalle fasce di rispetto della delibera giuntale, per la loro connotazione meramente complementare all’attività agricola.
6.2. Con il terzo motivo d’appello lamenta “Illegittimità ed ingiustizia della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato (art. 112 c.p.c.); travisamento dei motivi del ricorso”; il giudice non avrebbe pronunciato sulla questione interpretativa posta con il secondo motivo aggiunto sull’applicabilità o meno della disciplina sulle distanze alle aziende agricole in presenza di attività di “agrinido”, qualificabile, nella prospettazione della ricorrente, come meramente complementare all’attività agricola e, dunque, inidonea a far mutare natura all’azienda agricola.
6.3. Con l’ultimo motivo di appello Be. s.r.l. si duole che il giudice di primo grado abbia considerato meramente istruttorio e, pertanto, non impugnabile l’atto di aggiornamento del certificato di connessione agrituristica rilasciato dalla Provincia l’11 luglio 2012, a suo dire, invece, vero e proprio provvedimento amministrativo, ampliativo della sfera giuridica del ricorrente ed ascrivibile alla categoria delle autorizzazioni amministrative. Il giudice di primo grado, dunque, avrebbe dovuto esaminare il motivo di ricorso con il quale era contestato alla Provincia di aver, col predetto provvedimento, assentito lo svolgimento di attività di “agrinido” oltre i limiti posti dal criterio di necessaria prevalenza dell’attività agricola.
7. Il terzo motivo dell’appello è fondato; il secondo e il quarto motivo sono assorbiti dall’accoglimento del terzo.
7.1. Il tribunale ha ritenuto corretta la decisione della Provincia di Bergamo di respingere l’istanza di verifica di assoggettabilità a V.I.A. del secondo progetto presentato dalla società perché, al tempo della decisione, esisteva una struttura per l’infanzia collocata nell’Azienda agricola “I La.” e il costruendo impianto di smaltimento rifiuti si sarebbe trovato a distanza inferiore dalla fascia di rispetto imposta dalla delibera di Giunta regionale 21 ottobre 2009 n. 8/10360.
La struttura era stata autorizzata come “micronido” – struttura di supporto alle famiglie operativa per 45 settimane e 225 giornate all’anno per un monte ore di 1800 ore con ospitalità massima di dieci bambini – poiché così qualificata nella S.c.i.a. presentata dall’Azienda agricola per l’avvio dell’attività il 20 settembre 2013, senza che alcuna contestazione sulla sua qualificazione fosse stata avanzata dal Comune, il quale, anzi, aveva anche respinto la diffida della Be. ad esercitare il potere di controllo repressivo in autotutela.
Il “micronido” era equiparato ad un asilo nido e, dunque, ricompreso tra i luoghi sensibili a tutela dei quali erano fisstae le fasce di rispetto della delibera giuntale, dovendosi intendere in senso estensivo il riferimento ivi contenuto agli “asili” in consonanza con l’art. 31, comma 2, della Costituzione e dell’art. 42 della Carta di Nizza, così come recepita dal Trattato di Lisbona.
7.2. Come evidenziato dall’appellante, però, il giudice di primo grado non ha affrontato la questione centrale posta con i motivi aggiunti, vale a dire se le fasce di rispetto previste dalla citata delibera di Giunta possano trovare applicazione anche nel caso in cui le strutture per l’infanzia – “agrinido” o “micronido” – siano incardinate all’interno di un’azienda agricola esercente attività agrituristica, qual era l’Azienda agricola Tenuta “I La.”.
Si tratta, invero, di questione decisiva ai fini della risoluzione dell’odierna controversia che deve, pertanto, essere necessariamente affrontata.
7.3. Preliminarmente va definito il quadro normativo di riferimento.
L’art. 2 (Definizione di attività agrituristiche), comma 1, l. 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), precisa che “Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali.”; imprenditore agricolo, a sua volta, è ai sensi del richiamato art. 2135 del codice civile: “…chi esercita una delle seguenti attività : coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.
La normativa statale è poi integrata da quella regionale.
L’art. 151 (Attività agrituristiche) l. reg. Lombardia 5 dicembre 2008, n. 131 (Testo Unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) che, al comma 2, prevede che rientrano fra le attività agrituristiche anche “d) l’organizzazione, nell’ambito dell’azienda o delle aziende associate o anche all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa, di attività … ludico – didattiche, di rilevanza sociale…”.
L’art. 3 (Caratteristiche delle aziende agricole), comma 5, del Reg. reg. 6 maggio 2008, n. 4 (così come modificato dal Reg. reg. 19 dicembre 2011, n. 7), di attuazione della richiamata l. reg. n. 131 del 2008, prevede, poi, che: “I servizi offerti consistono nel complesso delle attività agrituristiche svolte dall’azienda, da esercitarsi in forma singola o combinata. Sono attività agrituristiche, oltre all’ospitalità e alla somministrazione di pasti e bevande:… i) attività didattiche, quali:…6) organizzazione di attività di agrinido e agriasilo, anche in convenzione con comuni, istituzioni scolastiche, enti del terzo settore, organizzazioni religiose, da svolgersi ai sensi dell’articolo 157 della L. R. n. 31/2008. L’esercizio di queste attività è comunque subordinato al rispetto delle normative di settore”.
Rileva, poi, anche l’art. 5 del medesimo Reg. reg. n. 4 del 2008 che prevede le “Procedure per il rilascio del certificato di connessione”, vale a dire, come specificato al comma 1, il “certificato attestante il rapporto di connessione dell’attività agrituristica rispetto a quella agricola” la cui richiesta è presentata dal titolare o legale rappresentante dell’azienda alla Provincia.
Quanto, invece, agli “asili – nido”, cui la Provincia nei provvedimenti impugnati ha equiparato l’attività di “agrinido” o “micronido” svolta presso l’Azienda agricola Te. i La., l’art. 1, comma 2, l. 6 dicembre 1971, n. 1044 (Piano quinquennali per l’istituzione di asili nido comunale con il concorso dello Stato) prevede che “Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale” e l’art. 6 della medesima legge precisa che: “La regione, con proprie norme legislative, fissa i criteri generali per la costruzione, la gestione e il controllo degli asili-nido, tenendo presente che essi devono: 1) essere realizzati in modo da rispondere, sia per localizzazione sia per modalità di funzionamento, alle esigenze delle famiglie; 2) essere gestiti con la partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territorio; 3) essere dotati di personale qualificato sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psico-pedagogica del bambino; 4) possedere requisiti tecnici, edilizi ed organizzativi tali da garantire l’armonico sviluppo del bambino”.
La delibera di Giunta regionale 11 febbraio 2005, n. 7/20588, infine, qualifica il “micro nido” come “Servizio di tipo diurno, pubblico o privato, oltre che promosso e gestito da associazioni di famiglie, di capacità ricettiva massima di 10 bambine/i dai tre mesi a tre anni, con finalità educative e sociali assicurato in forma continuativa attraverso personale qualificato, presso strutture, anche aziendali (Micro nido aziendale). Collabora con le famiglie alla crescita e formazione dei minori, nel rispetto dell’identità individuale, culturale, religiosa. Svolge anche servizio di mensa e riposo”.
Le due attività imprenditoriali sono completamente differenti: l’una, rientra nell’ambito dell’attività agricola, l’altra costituisce un servizio sociale.
7.4. L’Azienda agricola agrituristica Te. i La. è un’azienda agricola che, tra le attività agrituristiche, svolge anche quella di “agrinido” (o, “micronido”); situazione ben diversa, dunque, da quella di una struttura organizzata, nel personale impiegato e nei mezzi adoperati, per l’offerta di servizi per l’infanzia.
La documentazione in atti lo conferma: l’Azienda agricola agrituristica Tenuta “I La.” ha richiesto alle autorità competenti la possibilità di rinnovare l’attività agrituristica mediante la connessione ad essa di un’attività ricreativa (per 700 ospiti e per 40 giornate all’anno) e di “agrinido” per 10 bambini (così nella S.c.i.a. presentata l’11 luglio 2012 al Comune di (omissis)); connessione certificata dalla Provincia di Bergamo con il rilascio del certificato di connessione dell’11 luglio 2012 in relazione all’attività di “agrinido” per 10 bambini per 225 giorni l’anno.
Va, infatti, rammentato che la normativa regionale (il rammendato art. 5 del reg. reg. n. 4 del 2008) impone che il lavoro agricolo sia, comunque, prevalente su quello agrituristico affinchè l’azienda possa continuare a godere della legislazione (di favore) prevista per le aziende agricole agrituristiche.
Infine, nel rispetto della normativa di settore ha comunicato all’Ambito di (omissis) l’avvio dell’attività – questa volta indicata come “micronido” – rientrante nell’ambito della rete sociale per la prima infanzia.
7.5. Alla luce del contesto fattuale e normativo descritto meritano condivisione le ragioni dell’appellante.
La più volte richiamata delibera di Giunta regionale della Regione Lombardia 21 ottobre 2009, n. 8/10360, al Capitolo 8 (“Linee guida per la revisione dei Piani provinciali di gestione dei rifiuti urbani e speciali e per la localizzazione degli impianti”) al punto 8.5.6. (“Distanza minima dai centri abitati, dai siti sensibili e dalle case sparse”) fissa in 1000 metri la distanza dai “siti sensibili” quali “strutture scolastiche, asili, strutture sanitarie con degenza, case di riposo”.
Nell’ambito dei “siti sensibili” indicati dalla delibera di Giunta regionale n. 8/10360 del 2009 non può essere compresa l’azienda agricola che svolga, nell’ambito delle attività agrituristiche, anche quella di “agrinido” (o anche “micronido”).
L’interpretazione accolta dal giudice di primo grado, infatti, non tiene conto del fatto che la Regione – con l’elenco delle “strutture scolastiche, asili, strutture sanitarie con degenza, case di riposo” – ha inteso riferirsi a strutture, pubbliche o private, che accolgono, in maniera continuativa nel corso dell’anno, persone fragili, minori, malati o anziani, la cui salute occorre salvaguardare dalle eventuali immissioni nocive provenienti dall’impianto di smaltimento dei rifiuti; ricomprendervi anche un’azienda agricola per il sol fatto che essa, in connessione con l’attività agrituristica principale, accolga anche bambini, offrendo, in questo modo, agli avventori un ulteriore servizio che possa indirizzarli verso la struttura, va oltre il significato letterale dei termini usati e, comunque, risulta in contrasto con la ratio della prescrizione.
Tanto più che trattandosi di una norma di divieto, è di per sé eccezionale, e, dunque, non suscettibile di applicazione analogica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2017, n. 1973).
8. In conclusione, va accolto il terzo motivo di appello e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sez. staccata di Brescia n. 1446/2014 accolti i motivi aggiunti proposti nel giudizio di primo grado nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.
9. Le incertezze interpretative che hanno caratterizzato la controversia instaurata avverso il secondo provvedimento di archiviazione (che in appello ha assunto Rg. n. 7367/2013) giustificano, limitatamente a questa parte del giudizio, la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti,
– riunisce gli appelli;
– accoglie il terzo motivo dell’appello con Rg. n. 5810/2015, per il resto respinto, e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sez. staccata di Brescia n. 1446/2010, accoglie i motivi aggiunti proposti da Be. s.r.l. in primo grado nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati;
– compensa tra tutte le parti in causa le spese di entrambi i gradi del predetto giudizio;
– respinge l’appello con Rg. n. 7367/2013.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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