Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

Consiglio di Stato, Sentenza|21 maggio 2021| n. 3953.

Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

I regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, come nella specie in cui l’atto determina le regole di calcolo degli oneri concessori dovuti in relazione ai singoli interventi, divengono impugnabili solo quando sorge l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura; l’identificazione dei destinatari di un regolamento – peraltro in gran parte assente nel caso de quo – non comporta peraltro ancora che a loro carico sussistano conseguenze sfavorevoli che ne legittimano l’immediata impugnazione.

Sentenza|21 maggio 2021| n. 3953

Data udienza 11 maggio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Oneri concessori – Rideterminazione – Regolamento – Impugnativa in via diretta – Presupposti di ammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1848 del 2015, proposto da
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Di Me., Co. Mu., con domicilio eletto presso lo studio St. Di Me. in Roma, via (…);
contro
Em. An. Sa., rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. Fr., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 00953/2014, resa tra le parti, concernente rideterminazione oneri concessori
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Em. An. Sa.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza straordinaria del giorno 11 maggio 2021 il Cons. Davide Ponte e per le parti nessuno presente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

FATTO

Con l’appello in esame il Comune odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 953 del 2014 del Tar Sardegna, di accoglimento dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla parte odierna appellata, al fine di ottenere l’annullamento dei seguenti provvedimenti: della deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 55 del 15.12.2009 avente ad oggetto “Rideterminazione degli oneri concessori da applicarsi agli interventi previsti dalla L.R. 23.10.2009 n. 4”; delle tabelle a essa allegate, in particolare nella parte in cui prevedono l’importo di Euro 500,00/mc per le abitazioni turistiche nella fascia dei m. 300 dal mare; di ogni altro atto inerente, presupposto e consequenziale, e in specie della nota prot. 1725 (prot. 8188 ord. 362/100), datata 6.2.12 con la quale il Responsabile del Settore Edilizia Pubblica e Privata del Comune di (omissis) ha comunicato all’odierna ricorrente l’accoglimento della istanza di concessione edilizia presentata il 18 giugno 2010, subordinandone però il rilascio al versamento della quota parte delle opere di urbanizzazione nella misura di euro 14.720,00 (oltre che di 849,73 quale quota calcolata sul costo di costruzione).
All’esito del giudizio di prime cure il Tar, nel respingere le eccezioni preliminari sollevate dal Comune, accoglieva il gravame in merito ai primi due motivi di ricorso, in merito alle modalità di calcolo dei dovuti oneri in parte qua.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, il Comune appellante proponeva i seguenti vizi di appello, censurando le argomentazioni del Tar:
– erroneità della sentenza nel respingere l’eccezione di tardività, sia rispetto all’atto regolamentare che all’atto applicativo;
– violazione dell’art. 9 l.r. 4 del 2009, irrilevanza del difetto di motivazione stante la natura regolamentare, sindacato esteso al merito delle valutazioni rimesse alla p.a.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza straordinaria dell’11 maggio 2021 la causa passava in decisione.

 

Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

DIRITTO

1. In primo luogo il Comune appellante ripropone, in termini di motivi di appello, le eccezioni di tardività del ricorso originario, respinte dalla sentenza impugnata.
Tali motivi di appello sono infondati.
2. Per un verso, in ordine alla mancata impugnazione del regolamento relativo alla determinazione degli oneri concessori nel termine di sessanta giorni dalla relativa pubblicazione, assume rilievo dirimente l’assenza della peculiare situazione dell’immediata lesività in capo alla parte originaria ricorrente.
2.1 Infatti, in relazione alla tipologia di atto generale in questione, è evidente che l’interesse diretto, concreto ed attuale alla relativa contestazione sorge unitamente al conseguente atto applicativo, rispetto allo specifico titolo edilizio richiesto ed assentito dallo stesso interessato.
2.3 In generale, va ribadito che i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, come nella specie in cui l’atto determina le regole di calcolo degli oneri concessori dovuti in relazione ai singoli interventi, divengono impugnabili solo quando sorge l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura; l’identificazione dei destinatari di un regolamento – peraltro in gran parte assente nel caso de quo – non comporta peraltro ancora che a loro carico sussistano conseguenze sfavorevoli che ne legittimano l’immediata impugnazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 665).
3. Per un altro verso, anche in ordine alla presunta comunicazione dell’atto applicativo lo stesso giorno della sua adozione (6 febbraio 2012) il Giudice di prime cure risulta aver fatto buon governo dei principi vigenti in materia.
3.1 In linea generale, come noto, l’onere della prova della conoscenza dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, incombe su chi eccepisce la tardività, secondo i generali criteri di riparto del relativo onere, e deve essere assistita da rigorosi e univoci riscontri oggettivi, dai quali possa arguirsi con assoluta certezza il momento della piena conoscenza dell’atto o del fatto; a tale riguardo la verifica della “piena conoscenza”, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 20 agosto 2020, n. 5151).
3.2 Inoltre, al fine della decorrenza del termine di impugnazione di un provvedimento, non basta la mera notizia della sua esistenza e del suo carattere sfavorevole per il destinatario, occorrendo conoscerne invece il contenuto per poter valutare se l’atto è illegittimo o meno. Ne consegue che laddove l’amministrazione comunichi l’esistenza di un provvedimento sfavorevole, senza la motivazione posta a corredo, il destinatario ha una mera facoltà, non un onere, di impugnare subito l’atto per poi proporre i motivi aggiunti, ma ben può attendere di conoscere la motivazione dell’atto per poter, una volta avuta conoscenza del contenuto dell’atto, quindi dell’effetto lesivo, valutare se impugnarlo o meno.
3.3 Nel caso di specie l’elemento invocato dal Comune, circa la comunicazione già nella stessa data di adozione, risulta sfornita di qualsiasi sostegno probatorio, nei termini correttamente evidenziati dal Tar. Inoltre, la difesa comunale, lungi dall’integrare in appello tale carenza, ha invocato un’inammissibile inversione dell’onere della prova circa la successiva conoscenza.
4. Passando all’analisi del merito, anche i restanti profili di appello risultano destituiti di fondamento.
5. Come emerge dalla documentazione in atti, l’intervento edilizio in questione è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2, comma 5, della legge regionale n. 4/2009, ai sensi del quale “Per gli edifici ad uso residenziale e per i servizi connessi alla residenza situati in zona F turistica nei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, sono ammissibili esclusivamente e limitatamente agli edifici di cui al comma 2, lettera a), gli incrementi sino al 10 per cento del volume esistente, senza sopraelevazione, a condizione che siano finalizzati al miglioramento della qualità architettonica dell’intero organismo edilizio e dei valori paesaggistici del contesto in cui è inserito; la proposta di intervento deve ottenere la positiva valutazione della Commissione regionale per la qualità architettonica e paesaggistica di cui all’articolo 7”.
In proposito, la normativa regionale invocata prosegue sancendo (art. 9, comma 1, secondo alinea, l.r. 4 cit.) che “Per gli ampliamenti di cui all’articolo 2, comma 5 e all’articolo 4, comma 1, gli oneri di concessione sono aumentati del 200 per cento”; il successivo comma 4 dell’art. 9 infine statuisce che “Entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono prevedere una riduzione ovvero una maggiorazione degli oneri di concessione previsti nel presente articolo. In difetto della deliberazione trovano integrale applicazione le disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 3”.
5.1 In tale contesto, la delibera n. 55 oggetto di contestazione, costituisce applicazione di quest’ultimo potere derogatorio. Con essa, infatti, il Comune di (omissis), relativamente agli oneri concessori da applicarsi agli interventi previsti dalla legge regionale 23.10.2009 n. 4, ha fissato gli oneri concessori nelle zone (omissis) quantificandoli in euro 41,96/mc per le residenze e in euro 500/mc forfettari per le abitazioni turistiche situate nella fascia dei 300 metri dal mare (cfr. all. 1, tabella B, delle produzioni comunali).
5.2 Invero, se la norma di legge attribuisce una facoltà, quest’ultima deve essere esercitata in termini coerenti sia alla stessa lettera della legge, sia ai principi vigenti nella materia in questione.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha fatto buon governo di entrambi i profili.
5.3. In termini di coerenza alla legge regionale che il Comune intendeva applicare, un aumento pari ad oltre il 4.000 per 100 non può più qualificarsi come una mera maggiorazione. In disparte della constatazione che la legge consente anche una riduzione, nel caso del superamento esponenziale del cento per cento, cioè del raddoppio, non può più ragionevolmente ritenersi rispetto il limite della “maggiorazione”. Invero, portando alle estreme conseguenze il ragionamento comunale, nessun limite incontrerebbe il singolo Comune, rispetto all’esercizio di un potere che, invece, non è assoluto, dovendo ricollegarsi alla ratio ed alla funzione degli oneri concessori in questione.

 

Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

5.4 Come noto, gli oneri di costruzione e di urbanizzazione costituiscono una prestazione patrimoniale di natura impositiva che trovano la loro ratio giustificatrice nell’incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell’intervento edilizio; il rilascio del permesso di costruire si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere, indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante
In tale ottica, la sproposita moltiplicazione degli oneri, rimessa al singolo Comune – secondo l’effetto che si determinerebbe seguendo l’opzione ermeneutica proposta da parte appellante – spezzerebbe il rapporto che gli oneri in esame devono mantenere con la propria ratio.
5.5 Al riguardo, risulta parimenti insostenibile l’invocata assenza di obbligo di motivazione per le scelte regolamentari; ciò in quanto tali atti, lungi dal potersi qualificare come insindacabili, sono soggetti al sindacato di legittimità e ragionevolezza, dovendo rispettare la norma di riferimento e la logica di attribuzione del potere, in termini che nel caso di specie risultano gravemente viziati: sia rispetto alla lettera della legge, sia in ordine alla manifesta illogicità rispetto alla funzione svolta dagli oneri in esame.
6. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

Quando gli atti amministrativi sono impugnabili in via diretta

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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