Reato di associazione per delinquere di stampo mafioso

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 15 luglio 2020, n. 20926.

Massima estrapolata:

Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, laddove si tratti di formazione di diretta derivazione da clan storico, che riproduce gli elementi strutturali e persegue le medesime finalità criminali, l’effettiva capacità di intimidazione esteriormente riconoscibile nella specie, discendente dal compimento anche di atti violenti e di minaccia, si pone in continuità spazio-temporale con l’assoggettamento omertoso della popolazione già radicato sul territorio di pertinenza del cui “avviamento” il clan di nuova denominazione si viene ad avvalere. Si tratta di situazione diversa rispetto a quella sia delle cosiddette locali di ‘ndrangheta operanti in territori diversi da quello tradizionale, sia delle cosiddette “nuove mafie locali”, rispetto alle quali “neoformazioni” è del tutto assente quella «assimilazione per rendita di posizione» o di utilizzo a propri fini dell’“avviamento” criminale ascrivibile al consesso già insistente sul territorio, nel cui ambito il “nuovo” gruppo si sia formato e consolidato. Rispetto a queste nuove strutture, infatti, ai fini della contestabilità della fattispecie associativa di tipo mafioso occorre verificare in concreto, in termini di “effettività”, se quello specifico sodalizio si sia manifestato in forme tali da avere offerto la dimostrazione di «possedere in concreto» la forza di intimidazione richiesta dalla norma incriminatrice e di essersene poi avvalsa.

Sentenza 15 luglio 2020, n. 20926

Data udienza 13 maggio 2020

Tag – parola chiave: Concorso in partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso – Rito abbreviato – Esclusione dal giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato di cui all’art. 7 l. n. 203/91 relativa ai delitti fine – Reiterazione di censure già scrutinate nel giudizio di merito – Attendibilità e credibilità intrinseca delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina – Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/02/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIOVANNI ARIOLLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CENICCOLA ELISABETTA che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
uditi i difensori:
Gli Avvocati (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), insistono per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione per l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Napoli del 28/2/2019 (dep. 22/5/2019) con cui, concesse a tutti gli imputati, ad eccezione di (OMISSIS), le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti (articolo 416-bis c.p., comma 4), con l’esclusione dal giudizio di bilanciamento di quella di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 relativa ai delitti fine (per ciascuno dei quali e’ stato applicato l’aumento in continuazione ex articolo 81 cpv. c.p.), rideterminava la pena inflitta a ciascun ricorrente in ordine al delitto di partecipazione ad un’associazione di stampo camorristico operante sul territorio di Torre Annunziata, con il ruolo di promotore ed organizzatore per il (OMISSIS), nonche’ in ordine ai delitti fine del sodalizio rispettivamente ascritti agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (vedi nel dettaglio a proposito delle specifiche posizioni). Non ricorre per cassazione, invece, (OMISSIS), la cui affermazione di responsabilita’ per il delitto di partecipazione all’associazione di stampo camorristico di cui al capo A) della rubrica e’ divenuta irrevocabile e la cui pena e’ stata riformata dalla sentenza impugnata in virtu’ della concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante di cui al comma 4 (l’essere l’associazione armata).
Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS): entrambi gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui al capo A) articolo 416-bis c.p. (con il ruolo di partecipi), con l’aggravante di essere l’associazione armata; la pena e’ stata rideterminata in anni sei e mesi otto di reclusione ciascuno; il ricorso per cassazione e’ unitariamente proposto; gli atti di appello sono stati invece redatti separatamente.
1. Con il primo motivo deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p. e articolo 268 c.p.p., nonche’ l’illegittimita’ della motivazione.
La sentenza impugnata aveva confermato la sentenza di primo grado con termini “apodittici e stereotipati”, omettendo di affrontare compiutamente le questioni poste con l’atto di appello in tema di sussistenza del sodalizio di stampo mafioso e della partecipazione dei ricorrenti; ne’ all’uopo potevano colmarsi le lacune argomentative evocandosi lo schema della motivazione per relationem.
In particolare, non poteva considerarsi esaustivo il riferimento alle dichiarazioni del (OMISSIS), ritenuto arbitrariamente attendibile e credibile, nonche’ alle captazioni telefoniche e ambientali. Con riguardo alle affermazioni accusatorie del (OMISSIS), la Corte d’appello aveva trascurato la pressoche’ coeva ritrattazione, ponendole egualmente a fondamento della condanna senza alcuna esplicitazione sulle ragioni che le rendevano maggiormente attendibili rispetto a quelle oggetto della successiva ritrattazione.
Nessun elemento di intraneita’ dei ricorrenti al sodalizio era poi ricavabile dalle intercettazioni disposte all’interno dell’abitazione del (OMISSIS), da ritenersi comunque inutilizzabili per violazione degli articoli 261 e 271 c.p.p., posto che il decreto di convalida del G.I.P. aveva fatto riferimento “alle conversazioni o comunicazioni effettuate a bordo del natante e dell’autovettura indicate nel provvedimento del P.M.”, non richiamando l’abitazione del coimputato (OMISSIS).
2. Con il secondo motivo deducono l’erronea applicazione della legge penale e processuale in riferimento agli articoli 416-bis e 62-bis c.p., articoli 438 e 442 c.p.p., avendo la Corte d’appello proceduto – dopo la rideterminazione per ciascun ricorrente della pena base in anni 8 di reclusione – ad applicare la diminuente per la scelta del rito abbreviato in misura inferiore ad 1/3 (la pena inflitta era stata pari ad anni 6 e mesi 8 di reclusione anziche’ ad anni 5 e mesi 4 di reclusione alla quale si sarebbe dovuti pervenire applicandosi l’integrale riduzione per la diminuente del rito).
Ricorso di (OMISSIS): l’imputato e’ stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi: A) articolo 416-bis c.p., con l’aggravante di essere l’associazione armata; F) detenzione illegale di un fucile in concorso; G) ricettazione del fucile di cui al capo che precede in concorso; L) detenzione e porto illegale di una bomba carta in concorso; M) danneggiamento aggravato in concorso; tutti i delitti fine aggravati ex L. n. 203 del 1991, articolo 7 e, con il vincolo della continuazione; la pena e’ stata rideterminata in anni otto di reclusione.
1. Al riguardo, deduce “l’erroneita’, illogicita’ e contraddittorieta’ della sentenza di secondo grado in relazione al delitto associativo di cui al capo A), ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e)”. In particolare, la Corte di merito non aveva compiutamente motivato sulle ragioni per cui la ritrattazione operata dal teste di accusa (il (OMISSIS)) non fosse maggiormente attendibile rispetto alla precedente versione resa. Con riguardo al sodalizio mafioso, difettavano i requisiti di stabilita’ e della forza di intimidazione, essendo l’organizzazione ancorata ad una primitiva fase embrionale come costola del clan (OMISSIS), pronta a rivendicare de futuro la propria egemonia sul territorio, ma ancora priva di una propria capacita’ di intimidazione esteriormente riconoscibile, limitandosi i sodali a programmare le future attivita’ illecite (la compagine era nata ed aveva agito sotto l’ala intimidatrice propria del clan camorristico (OMISSIS) e solo in seguito aveva voluto distaccarsene) e non assumendo decisivo rilievo ai fini della necessaria acquisizione della “fama criminale” (e del conseguente assoggettamento ed omerta’ che ne deriva) l’esistenza di due attentati estorsivi “eclatanti”.
La Corte d’appello aveva quindi desunto la mafiosita’ dell’associazione del (OMISSIS), peraltro priva di un’autonoma stabilita’, in considerazione dei singoli reati-fine, omettendo di accertare se gli atti di sottomissione delle vittime fossero espressivi di un assoggettamento ascrivibile alla forza di intimidazione tipica di un clan camorristico oppure dalle minacce che i singoli affiliati ponevano in essere nell’ambito, peraltro, di una criminalita’ di carattere frammentario presente sul territorio.
In conclusione, si erano valorizzati soltanto dei propositi criminali di porsi ed imporsi allo stesso livello degli altri gruppi camorristici, ma in assenza di elementi dimostrativi della scelta di appartenenza operata dal ricorrente. Peraltro, a tale ultimo riguardo, si era desunto il vincolo solidale dal contegno processuale spettante ad ogni imputato di avvalersi della facolta’ di non rispondere, cosi’ violandosi il diritto di difesa (nemo se detegere tenetur).
Ricorso di (OMISSIS): l’imputato e’ stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi: A) articolo 416-bis c.p., con l’aggravante di essere l’associazione armata; F) detenzione illegale di un fucile in concorso; G) ricettazione del fucile di cui al capo che precede in concorso; tutti i delitti fine aggravati ex L. n. 203 del 1991, articolo 7; ritenuta la continuazione tra i reati, la pena e’ stata rideterminata in anni sette e mesi quattro di reclusione.
1. Al riguardo, deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’articolo 416-bis c.p. quanto alla sussistenza di un’associazione di tipo camorristico denominata “Terzo sistema” facente capo a (OMISSIS) ed operante sul territorio di Torre Annunziata in modo autonomo dagli altri clan di stampo mafioso insistenti sui medesimi luoghi.
La doglianza, premessa per come asseverato dal giudice del merito la natura autonoma ed originale della compagine criminale rispetto agli storici clan insediati sul territorio (a partire dal mese di ottobre 2015), lamenta, in particolare, l’assenza del requisito dell’effettiva capacita’ di intimidazione da parte del gruppo di nuova formazione cui dovrebbe far riscontro la condizione di assoggettamento e di omerta’ di chi entra in contatto con tale sodalizio. Con la conseguenza che le decisioni di merito avevano finito per ricavare il carattere mafioso non tanto dalla capacita’ di sprigionare una carica intimidatoria, ma dalla commissione di reati fine in linea con gli scopi tipici dell’organizzazione criminale di stampo camorristico, elemento questo invece comune ad ogni tipo di societas sceleris. Peraltro, nel caso in esame, il gruppo si era contraddistinto per la breve durata della sua operativita’, caratterizzato da una forte criticita’ e dissidi interni che hanno condotto all’allontanamento di diversi associati, circostanza incidente in modo negativo sull’intensita’ e stabilita’ del vincolo che caratterizza i sodalizi di stampo mafioso.
2. Con memoria pervenuta in data 31/3/2020, la difesa dell’imputato ha presentato motivi nuovi. In particolare, si deduce la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p. e la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
La censura attiene all’assenza degli elementi richiesti per ritenere la consorteria descritta al capo A) della rubrica di stampo mafioso.
Dopo avere richiamato le doglianze mosse al riguardo con l’atto di appello, nonche’ gli elementi indicati dalla sentenza impugnata a conforto della natura mafiosa dell’associazione, la memoria si sofferma sull’esame della fattispecie di cui all’articolo 416-bis c.p., evidenziandone le caratteristiche ed i necessari requisiti di tipicita’. Tra questi, in particolare, si richiama la forza d’intimidazione del vincolo associativo, quale qualita’ che il sodalizio deve avere necessariamente ottenuto sul campo attraverso la commissione di atti di violenza o minaccia tali da fargli acquisire la fama criminale necessaria per innescare la richiesta forza di intimidazione e dar luogo al conseguente assoggettamento ed omerta’ in termini di causa-effetto offensivo. L’uso dell’indicativo nella condotta punibile descritta dall’articolo 416-bis c.p., comma 3 (“si avvalgono”) non consente di dare rilievo a mere proiezioni programmatiche del sodalizio, come sarebbe stato possibile qualora si fosse utilizzata la diversa locuzione “intendono avvalersi”, deponendo per un’interpretazione della fattispecie in termini di pericolo concreto, cosi’ giustificandosi sul piano della ragionevolezza la severa risposta sanzionatoria.
Cio’ premesso, la Corte di merito aveva erroneamente valorizzato a fini integrativi della fattispecie elementi che non erano solo propri delle consorterie mafiose: l’essere l’associazione armata, circostanza qualificante anche l’associazione a delinquere semplice o finalizzata al traffico di droga; parimenti l’esistenza di un’organizzazione deputata alla commissione di delitti fine, ovvero l’assicurare una forma di tutela economica ai detenuti e ai loro familiari ovvero ancora l’esistenza di un vincolo solidaristico che porta gli affiliati a difendersi anche nelle sedi processuali.
Analogamente era a dirsi con riferimento all’operata ritrattazione del (OMISSIS): tale determinazione, anche laddove dovuta al timore di una reazione del gruppo di appartenenza, non sarebbe idonea ad asseverare l’esistenza del tipico metus (quale dato di qualificazione del sodalizio e non del singolo) che deve invece derivare dall’uso della forza di coercizione del sodalizio e che va necessariamente ravvisato in un fatto esterno evocativo della carica intimidatoria del gruppo sul territorio (come avviene nel caso della persone offesa, estranea al gruppo, che dopo avere denunziato i suoi estorsori, poi e’ costretta a negare le accuse in precedenza mosse).
Ne’ ulteriori elementi dimostrativi del metodo mafioso potevano trarsi dai delitti estorsivi, pure declinati in sentenza quali delitti fine del sodalizio, in quanto non contestati nella rubrica e privi di quella consistenza anche numerica e di durata (limitate al solo dicembre 2015) da potersi affermare una sistematica “coartazione” della liberta’ morale degli individui (peraltro quanto al progetto estorsivo gli stessi imputati avrebbero dichiarato di voler procedere a condizione di non manifestare all’esterno la creazione del “Terzo sistema” e di evidenziare anzi la sua appartenenza al preesistente sistema dei (OMISSIS)”).
Inoltre, posto che lo stesso capo di imputazione specificava che il gruppo associativo avrebbe agito in modo autonomo dagli altri clan mafiosi operanti sul medesimo territorio, non poteva neppure desumersene la qualita’ mafiosa dal mero collegamento operativo con altri sodalizi. Il giudice del merito aveva dunque disatteso l’oggetto della prova: dimostrare l’esistenza di un nuovo gruppo criminoso, autonomo e a volte contrapposto agli altri gia’ esistenti sul territorio.
Ricorso di (OMISSIS): l’imputato e’ stato riconosciuto colpevole in ordine ai reati di cui ai capi: A) articolo 416-bis c.p., con l’aggravante di essere l’associazione armata e con il ruolo di promotore ed organizzatore; B) detenzione illegale di una carabina in concorso; C) detenzione illegale di una pluralita’ di pistole in concorso; D) detenzione illegale di una pistola Beretta in concorso; E) detenzione illegale di un fucile d’assalto in concorso; F) detenzione illegale di un fucile cal. 12 in concorso; G) ricettazione del fucile di cui al capo che precede in concorso; H) detenzione e porto illegale di ordigno esplosivo in concorso; I) danneggiamento aggravato in concorso (bar (OMISSIS));
L) detenzione e porto illegale di ordigno esplosivo in concorso; M) danneggiamento aggravato in concorso (ricevitoria scommesse (OMISSIS)); tutti i delitti fine aggravati ex L. n. 203 del 1991, articolo 7; ritenuta la continuazione, la pena e’ stata rideterminata in anni tredici e mesi quattro di reclusione.
1. Con il primo motivo deduce la “violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), d) ed e) in relazione all’articolo 416-bis c.p., articoli 192 e 546 c.p.p.”.
1.1. Difettava la prova in ordine alla sussistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, stante “l’incompleto, incerto e non esaustivo quadro delle risultanze processuali”. A livello di mere intenzioni era rimasta la volonta’ di dare vita ad una consorteria per delinquere denominata “Terzo sistema”. Mancavano, poi, gli elementi distintivi rispetto all’ipotesi del concorso eventuale di persone nel reato: la sussistenza di un durevole pactum sceleris e la serialita’ programmata delle condotte oggetto del programma criminoso.
A conferma di tale lacuna deponeva la circostanza che le condotte illecite erano attribuite di volta in volta a soggetti differenti.
Ne’ elementi utili potevano ricavarsi dalle generiche dichiarazioni del (OMISSIS) o dall’affermazione apodittica che le estorsioni potessero essere effettuate solo in contesti camorristici. Si era quindi finito per trarre la prova del delitto associativo da quella dei delitti fine e dal numero delle persone coinvolte (in realta’ solo sette). Prive di riscontro erano poi le intercettazioni ambientali.
1.2. Analoghe censure erano spendibili riguardo i delitti fine contestati dal capo B) al capo M) della rubrica.
1.2.1. Quanto al capo B), insufficiente era il riferimento ad un’unica intercettazione, posto che non era stato possibile verificare se l’arma fosse stata effettivamente presa ovvero se fossero intervenuti nuovi accordi tra i soggetti o mutamenti del relativo proposito di spostarla o entrarne in possesso.
1.2.2. Quanto ai capi C) e D) il generico riferimento alla detenzione di un’arma da parte di tale ” (OMISSIS)” – elemento peraltro insufficiente a risalire all’identificazione del coimputato (OMISSIS) – non trovava alcun riscontro.
1.2.3. Quanto al capo F), era stato attribuito rilievo ad una sola intercettazione ambientale a carico di presenti dal significato equivoco: il (OMISSIS) giunto a casa del (OMISSIS) avrebbe detto “ah, questo e’ il fucile” ed il ricorrente avrebbe commentato affermando non essere di suo gradimento il manico di legno, senza considerare i rischi che il ricorrente avrebbe corso nel detenere presso la propria abitazione un’arma di tal genere. Senza considerare, poi, che il (OMISSIS) nell’occasione avrebbe potuto commentare anche una fotografia che ritraeva un fucile.
1.2.4. Quanto al capo G) la figura dell’imputato era intervenuta in una fase successiva rispetto alla dinamica dei fatti relativi alle ispezioni di un fondo da parte della P.G. con successivo ritrovamento dell’arma. Ne’ univoci elementi di supporto potevano trarsi dalla conversazione del maggio 2016 durante la quale il ricorrente, parlando con il (OMISSIS) e riferendosi alle armi usa l’espressione “ti hanno rubato”, con cio’ semmai volendo significare che il compendio era del (OMISSIS) e non suo o del gruppo.
1.2.5. Quanto alle residue imputazioni dei capi H) ed I), nonche’ L) e M), relative tutte ai fatti di danneggiamento con connessa detenzione di materiale esplodente, la prova si fondava su elementi indiziari assai scarni e privi di valenza identificativa.
1.2.5.1. Riguardo all’attentato in danno della (OMISSIS) del (OMISSIS) (capi H ed I) l’unico elemento a carico era costituito da una frase pronunciata dal ricorrente (“..quel bar… sapessi chi glielo ha fatto saltare in aria”).
1.2.5.2. Con riferimento agli altri due reati di cui ai capi L) ed M), relativi al danneggiamento ai danni della ricevitoria (OMISSIS) in (OMISSIS), vi erano solo intercettazioni a carattere generico in assenza di elementi obiettivi, anche investigativi, di carattere integrativo e/o confermativo di quanto captato.
2. Con il secondo motivo deduce la “violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), d) ed e) in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e associazione armata ai sensi dell’articolo 416-bis c.p., comma 4, articolo 192 c.p.p., articolo 495 c.p.p., comma 2 e articolo 546 c.p.p.”. In particolare, con riferimento al tema relativo alla sussistenza dell’aggravante speciale, nonche’ sul carattere armato dell’associazione, ne difettava la prova oltre che un’adeguata motivazione.
2.1. Quanto all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, contestata in relazione ai reati fine, la Corte di merito aveva ricavato la prova della sua sussistenza, non gia’ da un’analisi dell’incidenza sui reati fine, quanto piuttosto da quella dell’esistenza dell’associazione “agevolata”. Non si era poi sufficientemente caratterizzato il dolo specifico, non potendosi ritenere sufficiente la mera consapevolezza dell’astratta possibilita’ che dal reato che si commette derivi un’agevolazione dell’attivita’ dell’associazione (ricavandola da una sorta di contestualita’ ambientale), occorrendo che la finalita’ abbia costituito pure motivo specifico della spinta criminosa.
2.2. Analoga censura era spendibile con riguardo all’aggravante di cui all’articolo 416 c.p., comma 4, alla detenzione e all’uso delle armi da parte del ricorrente, alla conoscenza ed alla disponibilita’ di tale compendio in capo al sodalizio ed alla circolarita’ delle armi.
Inoltre, l’aggravante non doveva ritenersi compatibile con quella speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, trattandosi di una duplicazione di contestazione.
3. Con il terzo motivo deduce la “violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), d) ed e) in relazione all’articolo 416 c.p.. Erronea qualificazione giuridica dei fatti, in particolare in relazione al capo A)”.
Difettava una disamina sugli elementi costitutivi del reato e, in particolare, la prova dell’esercizio da parte del sodalizio di un potere di intimidazione attuale, quale concreta estrinsecazione della capacita’ intimidatoria del gruppo, la cui esplicazione mediante un’attivita’ esterna riscontrabile e concretamente percepibile, e’ strumentale alla condizione diffusa di assoggettamento e di omerta’.
Con la conseguenza che gli eventuali atti di violenza possono considerarsi espressione della esistenza di un potere camorristico a condizione che tale potere sia gia’ costituito e avvertito sul territorio. Invece, nella sentenza impugnata a riprova dell’esistenza del sodalizio di cui all’articolo 416-bis c.p. si erano richiamati soltanto elementi che tradirebbero, semmai, solo l’intenzione di affermare il proprio potere criminale e, quindi, non affatto idonei a dimostrare che la capacita’ di intimidazione dell’associazione avesse raggiunto (“si avvalgono..”) quel grado di assoggettamento e di omerta’ che rappresentano l’essenza della mafiosita’ (la c.d. fama criminale). Del resto, che tale neoformazione delinquenziale non avesse ancora raggiunto alcun accreditamento tra i consociati, ne’ tra i membri degli altri gruppi operanti, risultava dal contenuto di alcune conversazioni. Errava, poi, la Corte a ritenere che tra gli imputati vi fosse coesione con distribuzione organizzata di ruoli e mansioni, essendo al contrario emerso una vicenda caratterizzata per i continui dietro front, abbandoni, diserzioni e allontanamenti.
4. Con il quarto motivo deduce la “violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 133, 62-bis e 81 c.p.”.
Le censure attengono alla mancata concessione delle attenuanti generiche, invece riconosciute a tutti gli altri coimputati, all’eccessivo aumento per la continuazione tra i reati ed alla misura della pena inflitta particolarmente elevata in ragione anche del trattamento sanzionatorio riservato ai correi.
Ricorso di (OMISSIS): l’imputato e’ stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi: A) articolo 416-bis c.p., con l’aggravante di essere l’associazione armata; B) detenzione illegale di una carabina in concorso; D) detenzione illegale di una pistola Beretta in concorso; F) detenzione illegale di un fucile in concorso; G) ricettazione del fucile di cui al capo che precede in concorso; tutti i delitti fine aggravati ex L. n. 203 del 1991, articolo 7; ritenuta la continuazione tra i reati, la pena e’ stata rideterminata in anni otto di reclusione.
1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge (articolo 416-bis c.p.) ed il vizio di motivazione con riferimento all’effettiva capacita’ di intimidazione esteriormente riconoscibile del sodalizio, nonche’ alla mancanza di motivazione in ordine alle questioni dedotte sul tema nei motivi di appello (anche ai fini della violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3).
Difettava nell’associazione oggetto di causa il requisito del conseguimento, nell’ambiente in cui opera, di un’effettiva capacita’ di intimidazione esteriormente riconoscibile che fosse dimostrativa del suo prestigio criminale. Ne’ all’uopo potevano rilevare gli atti di violenza e minaccia posti in essere al fine di acquisire sul territorio la capacita’ di intimidazione, in quanto precedenti all’assoggettamento omertoso e, dunque, esterni ed antecedenti rispetto alla configurazione del reato di cui all’articolo 416-bis c.p..
In particolare, le intercettazioni in atti provavano unicamente la progettazione di un disegno criminoso finalizzato a realizzare un c.d. “Terzo sistema” in un territorio ove operavano altre consorterie criminose, ma nulla dimostravano in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato. Diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito, emergeva soltanto l’obiettivo del (OMISSIS) di affrancarsi dalle imposizioni dei (OMISSIS) nello svolgimento dei traffici di stupefacenti ed al contempo di imporsi quale sistema concorrenziale nel settore delle estorsioni (vedi conversazioni del 28, 29 novembre e del 12 dicembre 2015).
Palesate erano, dunque, le intenzioni, ma mancava la prova dell’assoggettamento omertoso della popolazione al suo presunto gruppo, oltre che della percezione esterna della mafiosita’ del sodalizio. Inidonei a dimostrare la percezione esterna della capacita’ di intimidazione del sodalizio era il riferimento alla presunta “forza di trattare con i clan storici, quali i (OMISSIS)”, al fatto che fosse entrato in competizione con i gruppi camorristici tradizionali, alla circostanza che il gruppo si fosse dotato di un’organizzazione interna ovvero avesse realizzato due attentati estorsivi, essendosi omesso di precisare la pertinenza che tali fatti avevano rispetto al tema da provare.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge (articolo 416-bis c.p.) ed il vizio di motivazione con riferimento all’attribuzione al ricorrente della qualita’ di partecipe, nonche’ il vizio di motivazione (mancanza ed illogicita’), oltre che violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, con riguardo ai reati di cui ai capi B), D), F) e G) della rubrica. In particolare si erano ignorate le doglianze poste con l’atto di appello dell’avv. (OMISSIS), facendosi unicamente riferimento a quello a contenuto differente redatto dal co-difensore avv. (OMISSIS).
2.1. Con riferimento al capo B), il richiamo contenuto nell’intercettazione alla disponibilita’ dell’imputato a prelevare la “358” non dimostrava la disponibilita’ dell’arma in capo al ricorrente, ma solo la conoscenza del luogo ove questa si trovasse.
2.2. Parimenti poteva affermarsi con riguardo al capo D), ove il richiamo alla circostanza che ” (OMISSIS) tiene la 92″ non era sufficiente a provare che il (OMISSIS) fosse il ricorrente e che detenesse materialmente l’arma. Ne’ poteva sostenersi che l’imputato detenesse le armi a titolo di concorso, non essendo precisato sotto quale forma la compartecipazione si fosse manifestata in rapporto di causalita’ efficiente con le attivita’ eseguite dagli altri correi.
2.3. Allo stesso modo, ipotetico e congetturale era il ragionamento che aveva condotto il giudice del merito ad attribuire al ricorrente il fucile di cui ai capi F) e G), essendosi fatto riferimento ad un dato equivoco che in ipotesi poteva provare la conoscenza delle armi, ma non che queste fossero nella sua disponibilita’ anziche’ in quella del (OMISSIS) o di altre persone.
2.4. L’assenza di prova nel concorso nella detenzione delle armi precludeva l’affermazione di responsabilita’ in ordine alla partecipazione al sodalizio che il giudice del merito aveva ricavato dalla commissione di quei delitti fine. Ne’ vi erano altri elementi di diretto coinvolgimento del ricorrente nelle attivita’ estorsive.
L’allontanamento dell’imputato dal gruppo del (OMISSIS) ne avvalorava ulteriormente l’estraneita’ in ragione della precarieta’ dei rapporti con il predetto, dimostrandone cosi’ una connotazione non funzionale alla vita del presunto sodalizio.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’articolo 125 c.p.p. in relazione all’articolo 546 c.p.p., oltre che la mancanza di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, nella parte in cui si era omesso l’esame del motivo di appello articolato sul punto dall’avv. (OMISSIS) sul rilievo della mancanza di motivazione sugli aumenti di pena inflitti a titolo di continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ritiene il Collegio che i ricorsi vadano rigettati essendo i motivi infondati e/o manifestamente infondati.
A) I motivi comuni.
1. L’associazione di stampo camorristico denominata “Terzo sistema”.
1.1. I motivi di ricorso in tema di associazione di stampo mafioso proposti dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (sub 1), (OMISSIS) (sub 1), (OMISSIS) (sub 1 e 2), (OMISSIS) (sub 1 e sub 3) e (OMISSIS) (sub 1) sono infondati sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
In particolare, l’apprezzabile assunto difensivo (compendiato nei diversi ricorsi e nei motivi aggiunti della difesa di (OMISSIS)), volto a negare la sussistenza dei presupposti per ritenere integrato il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., muove da una duplice considerazione che occorre criticamente analizzare.
Per un verso, infatti, si postula che il sodalizio ruotante attorno alla figura del (OMISSIS) fosse animato da un anelito “presenzialista” all’interno di un territorio gia’ controllato da altri, ben sedimentati e “meglio conosciuti” aggregati, sicuramente annoverabili, per finalita’ e metodi criminali, tra i clan camorristici operanti nella zona di Torre del Greco (nella specie i clan (OMISSIS) da un lato e (OMISSIS)- (OMISSIS) dall’altro). Dunque, al piu’, il gruppo del (OMISSIS) avrebbe costituito un “progetto” associativo ancora in nuce, non dotato di quelle connotazioni “tipizzanti” una vera e propria associazione mafiosa, mancando ancora quel tanto di “appariscenza” per aver creato un clima diffuso di assoggettamento omertoso, correlato e consequenziale ad una metodologia criminale improntata – e finalizzata – alla “presa in carico” di quel determinato ambito territoriale.
Sotto altro e concorrente profilo, si prospetta – seppure in termini generici – la contraddittorieta’ che rappresenterebbe l’insorgenza di un gruppo “concorrente”, senza che la relativa attivita’ fosse stata nei fatti assentita dai gruppi egemoni, ai quali, gia’ da tempo, si erano riconosciute le “stimmate” proprie dei clan camorristici.
Cio’ premesso, ritiene il Collegio che ne’ l’uno, ne’ l’altro degli indicati profili colga nel segno, risultando teoricamente non decisivi i rilievi sui quali essi si fondano.
Va anzitutto ricordato come questa Corte abbia in diverse occasioni avuto modo di puntualizzare che il reato di cui all’articolo 416-bis c.p. e’ configurabile – con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. “locale”) di un sodalizio mafioso radicato nell’area tradizionale di competenza – anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella “madre” del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una gia’ attuale pericolosita’ per l’ordine pubblico (ex multis: Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, Rv. 268676; Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290; Sez. 5, n. 47535 dell’11/7/2018, Rv. 274138).
Si e’ infatti, al riguardo, osservato come diverso sia invece il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorche’ caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, giacche’, rispetto ad essa, e’ imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex articolo 416-bis c.p., tra cui la manifestazione all’esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omerta’ nell’ambiente circostante (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017 – dep. 18/05/2017, Rv. 270290; Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278745).
Ma e’ del tutto evidente come una siffatta autonomia (con tutto quel che ne consegue sul piano della analisi e della “effettivita’” del “metodo” e del clima di assoggettamento omertoso che ne deve scaturire) postuli uno iato tra vecchia e “nuova” aggregazione che deve porsi in termini, non soltanto strutturali, ma anche – e soprattutto – funzionali, nel senso che il sodalizio “locale” sia appunto – e “appaia” essere – entita’ scollegata da qualsiasi altra struttura configurabile alla stregua di “casa madre”.
D’altra parte, nel ribadire i principi anzidetti a proposito delle “locali” di “ndrangheta”, questa Corte, in una ipotesi di creazione in Svizzera di una “locale” rappresentante l’articolazione di un clan calabrese, non ha mancato di focalizzare come i moderni mezzi di comunicazione propri della globalita’ hanno reso noto il metodo mafioso proprio della “âEuroËœndrangheta” anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non e’ necessaria la prova della capacita’ intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omerta’ in quanto l’impatto oppressivo sull’ambiente circostante e’ assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria. (Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018 – dep. 21/06/2018, Demasi, Rv. 27309301).
Dunque, puo’ affermarsi come l’insorgenza di un nuovo “gruppo” finalisticamente e metodologicamente orientato al perseguimento di finalita’ mafiose, ben possa “sfruttare” – volgendole a proprio vantaggio di sodalizio “neonato” – proprio la notorieta’ ed il conseguente assoggettamento omertoso derivante dalla attivita’ – pregressa e perdurante – di gruppi mafiosi gia’ occupanti in maniera stabilmente radicata il medesimo ambito territoriale.
D’altra parte, e’ del tutto evidente come la continuita’ del quadro ambientale di riferimento giovi, si potrebbe dire, sul piano ontologico, quante volte il nuovo sodalizio si ponga come “derivazione” storica di altra preesistente e notoria struttura, della quale finisce per costituire una sorta di “costola”, dotata di vita e operativita’ proprie.
Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare che in tema di associazione di tipo mafioso, la costituzione di una nuova organizzazione, alternativa ed autonoma rispetto ai gruppi storici presenti sul territorio, puo’ essere desunta da plurimi indicatori fattuali quali le modalita’ con cui sono commessi i delitti-scopo, la disponibilita’ di armi, l’esercizio di una forza intimidatoria derivante dal vincolo associativo, nonche’ dal riconoscimento, da parte dell’associazione storicamente egemone, di una paritaria capacita’ criminosa al gruppo emergente. (Fattispecie in cui dalle intercettazioni telefoniche risultava che esponenti del gruppo “storico”, nonostante il consolidato predominio sul territorio, manifestavano preoccupazione per la contrapposizione con il gruppo emergente, attese la capacita’ di quest’ultimo di subentrare nel controllo delle attivita’ illecite e la comprovata forza intimidatrice della nuova formazione). (Sez. 6, n. 42369 del 17/07/2019, Rv. 277206).
Ma se tutto cio’ e’ vero in un ambito di concorrenzialita’ territoriale in cui l’esprimersi del nuovo sodalizio operi, o possa operare, come elemento di “disturbo” per i clan tradizionali, e’ evidente che la “continuita’” e compresenza mafiosa sia assai piu’ agevolmente dimostrabile laddove – come nella specie la nuova realta’ associativa sia controllata proprio da un elemento che al vecchio gruppo egemone faceva notoriamente riferimento (il (OMISSIS)), e – soprattutto – da questo gruppo non sia stato in alcun modo “ostacolato” nei suoi iniziali propositi di dar vita ad una “propria” associazione, con un nomen distinto dai clan camorristici di piu’ risalente “tradizione”, quali, in particolare, il clan (OMISSIS), di cui il (OMISSIS) era stretto e fidato sodale e l’altro clan ” (OMISSIS) – (OMISSIS)” pur insistente nel territorio di causa.
Ebbene, in tale quadro di riferimento, il “manifestarsi” del gruppo facente capo al (OMISSIS) si ammanta – per modalita’, struttura, “notorieta’” del contesto camorristico di provenienza, insistenza operativa del nuovo gruppo proprio sullo stesso territorio di pertinenza di quello stesso contesto (clan (OMISSIS)), senza che cio’ avesse ingenerato alcun tipo di frizione (dato, questo, anch’esso “evidente” nel territorio gia’ oggetto di quell’assoggettamento omertoso) – di tutte le “prerogative” mafiose che gia’ connotavano in passato l’attivita’ dello stesso (OMISSIS).
Una fenomenologia, dunque, quella che viene qui in discorso, distinta dalla realta’ diffusa delle c.d. “locali” di âEuroËœndrangheta, quanto da quella delle cosiddette “nuove mafie locali”, che hanno trovato disamina giurisprudenziale in recenti approdi di questa Corte (Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278745). Nelle neoformazioni, infatti, e’ del tutto assente quella “assimilazione per rendita di posizione” o di utilizzo a propri fini dell’avviamento criminale ascrivibile ai consessi ivi insistenti, derivante dalla presenza sul territorio di associazioni nominativamente riconducibili al genus ed al paradigma di cui all’articolo 416-bis c.p., nel cui alveo il “nuovo” gruppo si e’ formato e consolidato, condividendone gli scopi ed i metodi e realizzando la stessa tipologia di reati.
La “nuova” articolazione del (OMISSIS), infatti, non solo ripete le gesta notoriamente proprie delle associazioni di stampo camorristico da cui deriva, ma ha causalmente fruito, sotto il profilo rappresentativo, della traccia euristica genetica costituita dagli accertamenti giudiziari che hanno preceduto la sua formazione, della quale se ne e’ avvalsa non mediante meri propositi di carattere intimidatorio, ma esercitando in un’ottica di continuita’ in quel territorio la forza di intimidazione di tali conosciuti consessi organizzati, commettendo gli stessi delitti fine. Insomma, una storia che si ripete, con analoghe metodologie e finalita’ ed anche comprimari (a quell’ambiente riferibili), che si e’ tradotta materialmente in atto.
Non si assiste, dunque, ad una novazione, bensi’ ad una successione a titolo particolare di un consesso che utilizza lo stesso metodo e si pone le medesime finalita’ criminali del precedente, nell’ambito di un pactum avente eguale natura – perfettamente riconducibile alla medesima societatis sceleris per modello e tipo – e destinato ad insistere in una realta’ territoriale notoriamente gia’ adusa a confrontarsi con realta’ criminali di tal fatta.
La stretta continuita’ di tipo delinquenziale si lega poi ad una riscontrata operativita’ interna ed esterna del gruppo, che da’ ragionevolmente conto della ricaduta del nomen sulla realta’ circostante e del clima che ad essa ne consegue. Al riguardo, infatti, le decisioni di merito hanno evidenziato come il sodalizio criminoso disponesse di una consistente quantita’ di armi, anche di allarmante potenzialita’, opportunamente occultate; avesse gia’ realizzato degli episodi di natura estorsiva (vedi pag. 13 e 18 della sentenza impugnata e 245 di quella di primo grado ove si da’ atto di come tali delitti siano stati anche realizzati); controllasse anche l’attivita’ di spaccio in una parte del territorio di Torre Annunziata; avesse compiuto due attentati dinamitardi – di carattere eclatante – ai danni di esercizi commerciali; dato luogo ad una specifica struttura con ripartizione di ruoli e responsabilita’, con una cassa comune per finanziare le attivita’ illecite, ovvero volta a supportare le necessita’ dei sodali, anche garantendo l’assistenza legale in caso di arresto; adottato specifiche sanzioni nei confronti di chi aveva mancato di rispetto al capo ovvero minacciato chi aveva deciso di iniziare la collaborazione con la giustizia; predisposto azioni di rappresaglia volte all’eliminazione dei rivali. Si e’ poi precisato come, in ragione della forza del sodalizio e dei collegamenti dei vari sodali con quelli storici di riferimento, non vi furono ostacoli iniziali da parte dei clan tradizionali (arrivando financo il clan (OMISSIS) a riconoscere al gruppo del (OMISSIS) una sorta di “concessione” ad operare nel settore delle estorsioni).
Infine, si e’ sottolineato come non risultino essere state presentate denunce o registrate forme di collaborazione con l’autorita’ giudiziaria da parte di coloro che avevano subito le imposizioni estorsive.
In conclusione, nessuna violazione di legge puo’ scorgersi nella sentenza impugnata per avere applicato al gruppo del (OMISSIS) la disposizione di cui all’articolo 416-bis c.p., ne’ e’ parimenti ravvisabile alcun vizio di motivazione. I giudici di merito risultano avere indicato, con una motivazione adeguata, logica e non manifestamente contraddittoria, una serie di elementi idonei a dimostrare l’esistenza, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile, di una cosca di camorra facente capo al (OMISSIS). E a cio’ sono giunti facendo riferimento a chiari indici dimostrativi dell’esistenza del sodalizio, non mancando al contempo di evidenziare la rilevanza della commissione dei delitti fine, posto che anche attraverso di essi si manifesta in concreto l’operativita’ dell’associazione medesima (Sez. 2, Sentenza n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254233; S.U., n. 10 del 28/3/2001, Rv. 218376).
1.2. Nessun rilievo decisivo assume, poi, sotto il profilo della violazione di legge, il fatto che l’associazione – il cui dies a quo e’ fatto risalire dal capo di imputazione al 12 ottobre 2015 (data delle captazioni ambientali all’interno dell’abitazione del (OMISSIS)) – abbia avuto una durata “limitata”, essendo stati gli imputati arrestati il 13 luglio del 2016 a seguito di decreto di fermo emesso dalla Procura distrettuale di Napoli. Anche laddove a tale data venisse fatta risalire – nonostante la contestazione permanente del reato – la cessazione dell’esistenza in vita del sodalizio, osserva il Collegio che, in ordine alla durata del vincolo associativo, ai fini della configurabilita’ del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, nessun riferimento di carattere temporale predeterminato si rinviene nella fonti normative.
Infatti, i caratteri di stabilita’ e permanenza che devono qualificare il vincolo associativo non implicano necessariamente la protrazione dell’associazione per una durata temporale certa e, a fortiori, che il vincolo associativo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato. L’indeterminatezza riguarda il programma criminoso che si mira ad attuare, non l’associazione ex se considerata, la quale non e’ esclusa dalla durata di “esistenza in vita” accertata nel concreto, e neppure dalla circostanza che il vincolo associativo si sia instaurato con una preventiva individuazione del tempo di operativita’ del sodalizio (magari correlata al raggiungimento o meno di determinati obiettivi di profitto; Sez. 5, n. 18756 dell’8/10/2014, Rv. 263698; Sez. 2, n. 52005 del 24/11/2016, Rv. 268767; Sez. 3, n. 27910 del 27/3/2019, Rv. 276677; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278745).
Occorre piuttosto che nell’arco temporale, seppur caratterizzato da brevita’, l’associazione abbia dato prova di “vitalita’”, di guisa che si possa affermare la messa in pericolo del bene giuridico. E tale vitalita’ non deve essere necessariamente ricavata dalla realizzazione dei “delitti-fine”, ma dalla persistente volonta’ dei sodali di tradurre in atto il programma delinquenziale datosi ed al quale apportano un contributo causale in un contesto caratterizzato da un minium di organizzazione. E cio’ e’ proprio quello che e’ avvenuto nel caso di specie, avendo le sentenze di merito ben disegnato l’esistenza di una frenetica attivita’ volta al controllo del traffico di droga e del settore delle estorsioni, anche mediante la realizzazione di eclatanti atti intimidatori, nonche’ a dotarsi delle armi necessarie a rafforzare il proprio dominio sul territorio.
1.3. Parimenti va escluso che assurga a vizio di motivazione (motivo sub 1 ricorso di (OMISSIS) e in parte sub 2 motivi aggiunti di (OMISSIS)), il fatto che la Corte d’appello, ai fini dell’affermazione della sussistenza del vincolo associativo, abbia fatto riferimento anche alla scelta processuale degli imputati di non collaborare con la giustizia. Al riguardo, infatti, le sentenze di merito risultano avere puntualmente evocato una molteplicita’ di indici fattuali che danno autonomamente conto dell’esistenza del sodalizio (in primis il contenuto delle numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali intervenute tra gli imputati, unitamente, poi, alle dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS) e agli esiti degli accertamenti giudiziari e di polizia giudiziaria svolti).
Peraltro, il riferimento alla mancanza di dichiarazioni confessorie da parte degli imputati e’ coerente con il tema di prova demandato al giudice del merito, in quanto uno degli elementi che storicamente caratterizza le associazioni di stampo mafioso e’ quello della c.d. omerta’ interna, intesa quale rifiuto di tradire i propri associati e la compagine di riferimento. In tale ambito, la Corte di merito ha, dunque, valutato il comportamento processuale complessivamente adottato dagli imputati in ragione degli elementi di prova a loro carico che emergevano dalle intercettazioni e, dunque, quale facta concludentia plausibilmente espressivo dell’adesione ad una sorta di codice d’onore interno che trovava ulteriore conferma nella lettura che entrambe le sentenze di merito hanno dato della repentina ed apodittica ritrattazione del (OMISSIS).
2. L’attendibilita’ di Lonqobardi Antonio.
I motivi di ricorso in tema di ritrattazione del (OMISSIS), proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) (sub 1), (OMISSIS) (sub 1), (OMISSIS) (sub 2) e (OMISSIS) (sub 1.1), sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono inammissibili.
Al riguardo, va anzitutto precisato che la doglianza e’ inammissibile quanto ai ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in quanto non sollevata o solo genericamente prospettata con i motivi di appello a fronte, invece, di una specifica motivazione resa sul punto dal giudice di primo grado (vedi pagg. 331-333 della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli).
La censura e’ comunque generica ed aspecifica per tutti i motivi dei ricorsi, in quanto i ricorrenti omettono di confrontarsi con le molteplici ragioni indicate dalla Corte di merito a sostegno della maggiore credibilita’ delle propalazioni accusatorie in precedenza rese dal (OMISSIS), in quanto fondate non solo sull’assenza dell’indicazione delle ragioni poste a fondamento della intempestiva ritrattazione – omissione che rende perfettamente logico avere considerato “apodittico” il repentino mutamento ingiustificato di versione – ma sull’esistenza di ulteriori e puntuali elementi esterni di conferma, ricavati dal contenuto delle intercettazioni ambientali e telefoniche che avvalorano quanto riferito dal (OMISSIS), soggetto intraneo al sodalizio, in ordine all’indicazione corretta degli appartenenti al clan, agli scopi illeciti perseguiti ed ai rapporti con le altre associazioni operanti sul territorio (vedi pagg. 16 e ss. della sentenza impugnata).
Inoltre, correttamente la Corte di appello ha ritenuto pienamente utilizzabili nei confronti anche degli altri coimputati, sulla scorta degli ulteriori ed incisivi elementi di prova che ne confermano l’attendibilita’, le dichiarazioni oggetto di ritrattazione da parte del (OMISSIS), essendosi fatta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, nell’ipotesi di dichiarazioni accusatorie rese da un collaboratore di giustizia e di successiva ritrattazione non inequivocabilmente idonea a svalutarle, il giudice, in sede di giudizio abbreviato, puo’ legittimamente assegnare peso probatorio alle prime dichiarazioni, a condizione che eserciti su queste un controllo piu’ incisivo, possibilmente esteso ai motivi della variazione del dichiarato, potendo anche giungere a ritenere che la ritrattazione inattendibile o mendace si traduce, proprio perche’ tale, in un ulteriore elemento di conferma delle accuse originarie. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la valutazione di attendibilita’ delle originarie dichiarazioni accusatorie, poi ritrattate, rese da un collaboratore di giustizia, in considerazione del loro contenuto dettagliato e puntuale, dei riscontri esterni obiettivi alle stesse, e delle ragioni della ritrattazione ravvisate nel risentimento nutrito dal collaboratore nei confronti degli inquirenti) (ex multis, Sez. 4, n. 53568 del 5/10/2017, Rv. 271706; Sez. 2, n. 4100 del 12/01/2016, Rv. 266424).
3. L’aggravante dell’essere l’associazione armata.
La circostanza aggravante dell’essere l’associazione di stampo camorristico armata e’ stata riconosciuta nei confronti di tutti i ricorrenti.
Ha articolato uno specifico motivo di ricorso sul tema il solo (OMISSIS) (sub 2.2). Generica, invece, e’ la censura proposta dal (OMISSIS), in quanto volta a contestare il concorso nella detenzione delle diverse armi al medesimo attribuito e non i profili di sussistenza ed attribuzione ai sodali in quanto tali del numeroso compendio di armi che il giudice del merito ha ricondotto al sodalizio.
Cio’ premesso, manifestamente infondata e’ la doglianza mossa dal (OMISSIS), in quanto poggia su una prospettiva di merito, smentita dalla sentenza impugnata, secondo cui le armi che sono state attribuite al ricorrente e agli altri sodali non sarebbero riconducibili al sodalizio. La Corte territoriale, invece, con motivazione congrua, ha ritenuto che le armi di cui il ricorrente ha avuto la disponibilita’ fossero direttamente riconducibili all’associazione di stampo camorristico in ragione del potere di decisione sulla sorte e sull’impiego delle stesse in capo allo stesso (OMISSIS) a servizio degli scopi illeciti perseguiti dal gruppo criminale. Al riguardo, molteplici sono gli indici fattuali ricavati dalle dichiarazioni del (OMISSIS) e dal compendio intercettivo in cui i diversi sodali (tra cui proprio quelli nei cui confronti sono state anche elevate specifiche contestazioni di violazione della L. n. 895 del 1967) fanno esplicito riferimento a tale molteplice e micidiale compendio, in quanto dotato di particolare capacita’ di fuoco, ed alla necessita’ di utilizzarle nell’ambito delle illecite dinamiche proprie del sodalizio (vedi, tra l’altro, pag. 24 della sentenza impugnata ove si fa riferimento all’uso di un’arma da parte del (OMISSIS) per ritorsione nei confronti di soggetti che avevano mancato di rispetto al gruppo, ovvero pag. 18 e ss. ove e’ richiamato l’intendimento, espresso sempre dal (OMISSIS), di conseguire, seppur nell’ambito di un iniziale accordo con i gruppi camorristici tradizionali, l’egemonia su quel territorio, con la logica conseguenza che la disponibilita’ di armi, peraltro in un cosi’ cospicuo numero, si presta logicamente ad essere asservita a tale scopo).
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata, nell’analisi complessiva della piattaforma probatoria acquisita tanto in punto di riconducibilita’ delle armi al sodalizio di stampo mafioso e agli scopi da questo perseguiti, quanto alla piena consapevolezza in capo a tutti i sodali della presenza di armi, si sottrae ai vizi di legittimita’ denunziati.
4. La compatibilita’ tra l’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 4 e quella speciale di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (ora 416-bis.1 c.p.).
La censura, sollevata nei motivi di ricorso dall’imputato (OMISSIS) (sub 2.2 ultima parte), e’ generica e manifestamente infondata. Il ricorrente, infatti, omette di confrontarsi con l’orientamento di legittimita’ – che il Collegio condivide – secondo cui la circostanza aggravante, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalita’ di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attivita’ dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, e’ configurabile anche con riferimento ai reati-fine, in materia di armi, commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso (Sez. 6, n. 9956 del 17/6/2016, dep. 2017, Rv. 269717, Sez. 1, n. 24919 del 23/4/2014, Rv. 262304).
Sul tema bastera’ ricordare che, come rilevato da S.U, n. 10 del 28/03/2001 (Rv. 218378), la circostanza aggravante in esame, nelle due differenti forme dell’impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalita’ di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attivita’ dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, e’ certamente configurabile anche con riferimento ai reati-fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso, giacche’ “a mente dell’articolo 416-bis c.p. l’associato risponde di un contributo permanente allo scopo sociale, contributo che prescinde dalla commissione dei delitti singoli: qualora egli a questi concorra e la sua condotta sia sorretta dal dolo specifico di agevolare l’attivita’ dell’associazione, tale fattore psicologico si prospetta siccome ulteriore e pertanto potra’ essergli ascritto ex Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7”; e, inoltre, “il reato associativo postula un effettivo apporto alla causa comune mentre la previsione della norma speciale e’ relativa a semplice volonta’ di favorire, indipendentemente dal risultato, l’attivita’ del gruppo e cioe’ qualsiasi manifestazione esteriore del medesimo”, che “non coincide con il perseguimento dei fini sociali in cui si sostanzia invece il dolo specifico della figura di cui all’articolo 416-bis”.
B) Le doglianze in ordine alla partecipazione dei singoli ricorrenti al sodalizio di stampo camorristico.
1. Sebbene le principali censure mosse nei motivi di ricorso attengano alla sussistenza di un sodalizio riconducibile al paradigma normativo di cui all’articolo 416-bis c.p., i ricorrenti hanno anche avanzato censure in tema di affermata partecipazione e di responsabilita’ per la commissione dei delitti fine. Si tratta, tuttavia, di doglianze inammissibili sia perche’ genericamente formulate o accennate (in tema soprattutto di partecipazione), ovvero manifestamente infondate poiche’ involgenti questioni di merito (quanto ai delitti fine).
La sentenza impugnata, infatti, con riguardo alle ritenute partecipazioni, tanto sotto il profilo oggettivo quanto dell’affectio societatis, nonche’ con riferimento ai rispettivi delitti fine, si sottrae ai denunziati vizi di legittimita’, poiche’ si e’ in presenza di un percorso motivazionale giuridicamente corretto e logicamente coerente, come tale non sindacabile in questa sede; al contrario, le critiche mosse dai ricorrenti nei loro rispettivi ricorsi tendono a sollecitare una diversa valutazione della vicenda fattuale, attivita’ assolutamente preclusa in questa sede. Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimita’ e’ infatti preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione, assegnatale dal legislatore, di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalita’ e di capacita’ di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (ex multis, Sez. 6, n. 9923 del 5/12/2011, dep. 2012, Rv. 252349). Ancora la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, Rv. 271227; S.U., n. 24 del 24.11.1999, Spina, RV. 214794; Sez. 3, n. 41362 del 25/5/2014, non mass.).
Parimenti inammissibili risultano, infine, quelle doglianze che, pur sotto il profilo del paventato travisamento della prova, in realta’ finiscono per confutare il giudizio e l’ambito della valutazione espressa dal giudice del merito. In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace, infatti, solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis, Sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, Rv. 277758).
2. Inammissibile poiche’ formulata in modo generico e’ la censura di vizio di motivazione (mancanza) in punto di affermata partecipazione dedotta dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (vedi sub 1 del ricorso congiunto) sul rilievo dell’assenza di specifica confutazione dei motivi di appello. Non si specificano, infatti, quali sarebbero le doglianze mosse con l’atto di gravame che non avrebbero formato oggetto di esame da parte del giudice di seconde cure, a fronte, invece, di una motivazione che, anche mediante l’espresso riferimento ai motivi di impugnazione, risulta avere compiutamente passato in rassegna e disatteso le questioni poste in tema di partecipazione degli imputati al sodalizio di stampo mafioso capeggiato dal (OMISSIS) (evidenziando gli elementi dimostrativi della loro intraneita’, con particolare riguardo al settore delle estorsioni), anche facendosi rinvio alla decisione di primo grado, in ossequio al principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, in caso di doppia conforme, allorche’ vi sia concordanza nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella di primo grado in un unico complesso argomentativo (Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 5, n. 10493 del 3/4/2019, dep. 2020, non mass.; Sez. 7, n. 430 del 14/1/2020, non mass.).
3. Analogamente manifestamente infondata e’ la doglianza in tema di estraneita’ al gruppo di stampo camorristico sollevata nel secondo motivo di ricorso (sub 2.4 del ricorso) da (OMISSIS).
Invero, la censura muove anzitutto da un presupposto di merito – ossia l’assenza di prova nel concorso del ricorrente nella detenzione con il (OMISSIS) delle armi del sodalizio di cui ai capi B), D) ed F) – che risulta smentito con congrua motivazione dalle sentenze di primo e secondo grado (vedi oltre il paragrafo C, posizione del (OMISSIS), sub 1).
Inoltre, va anche evidenziato che la Corte territoriale, ferma restando la possibilita’ di ricavare anche dalla commissione dei delitti fine la prova dell’intraneita’ di un soggetto ad un sodalizio di stampo mafioso, posto che attraverso di essi si manifesta in concreto l’operativita’ dell’associazione medesima (in termini Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254233 e S.U., n. 10 del 28/3/2001, Rv. 218376), ha indicato una molteplicita’ di elementi aventi carattere dimostrativo. Infatti, alla qualita’ di custode delle armi del gruppo, gia’ altamente significativa in quanto trattasi di un ruolo di particolare fiducia e responsabilita’ che attiene ad uno dei settori “vitali” dell’organizzazione criminale, si e’ altresi’ aggiunto il coinvolgimento nelle estorsioni ai danni dei commercianti locali, nonche’ il contenuto di altre captazioni in cui il ricorrente parla espressamente della divisione dei proventi dell’associazione.
Ne’ valenza decisiva assume l’avvenuto allontanamento del ricorrente dal gruppo del (OMISSIS). Nessuna inconciliabilita’ logica esiste, infatti, tra il breve periodo temporale in cui si sarebbe manifestata la condotta dell’imputato e la natura permanente del delitto associativo. In tema di associazione per delinquere, a fronte di plurime commissioni, in concorso con altri partecipi, di fatti integranti i reati-fine dell’associazione, grava sul singolo la prova che il suo contributo non e’ dovuto ad un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, a motivo della natura permanente del reato associativo, detta prova non puo’ consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro. (Sez. 3, n. 42228 del 3/2/2015, Rv. 265346).
Sempre sul tema, questa Corte ha affermato che la condotta di partecipazione si distingue da quella del concorrente ex articolo 110 c.p. perche’, a differenza di questa, implica l’esistenza del “pactum sceleris”, con riferimento alla consorteria criminale, e della “affectio societatis”, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata; ne consegue che e’ punibile, a titolo di partecipazione e non in applicazione della disciplina del concorso esterno, colui che presta la sua adesione ed il suo contributo all’attivita’ associativa, anche per una fase temporalmente limitata (Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, Rv. 254105).
Peraltro, la censura sul punto risulta anche aspecifica poiche’ non si confronta con quanto precisato dalla sentenza impugnata la quale ha evidenziato come lo “strappo” operato dal ricorrente nei confronti del (OMISSIS), oltre a non produrre nefaste conseguenze nell’immediato (avendone il (OMISSIS) in un primo momento decretato l’eliminazione del (OMISSIS), non consumata grazie all’intervento di (OMISSIS) – vedi pag. 39), veniva poi “risolto” in quanto il (OMISSIS) veniva solo “richiamato” dal (OMISSIS).
C) Gli altri motivi contenuti nei ricorsi degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
1. Inammissibile e’ la doglianza in punto di utilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche. Quanto alla posizione di (OMISSIS), il motivo di ricorso e’ inammissibile poiche’ non sollevato con l’atto di appello. In ogni caso, la doglianza e’ generica ed aspecifica, in quanto i ricorrenti si limitano a riproporre l’analoga censura sollevata con l’atto di appello di (OMISSIS), omettendo del tutto di confrontarsi con le ragioni del rigetto della relativa eccezione da parte del G.I.P. – alla cui motivazione si e’ integralmente riportata la sentenza impugnata (vedi pag. 42) – il quale ha fatto riferimento a chiari elementi fattuali riportati nel provvedimento di convalida (necessita’ di ricorrere ad un nuovo decreto in conseguenza del cambio dell’abitazione del (OMISSIS) ove insisteva la precedente captazione; espresso riferimento nella parte dispositiva del provvedimento al decreto di urgenza del P.M. che l’aveva disposta) che consentono di ben comprendere la nuova abitazione del (OMISSIS) tra i luoghi oggetto della prosecuzione dell’attivita’ di intercettazione e di ricondurre a mero errore materiale il richiamo nel dispositivo “ad attivita’ all’interno di autovettura” che in alcun modo scalfisce la valutazione operata dal G.I.P..
Inammissibili sono, altresi’, le doglianze sopra prospettate sotto il profilo dell’errata applicazione di norme sostanziali e/o processuali risolvendosi invece le censure in un vizio di motivazione non proponibile in questa sede. Invero, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (Sez. 2, n. 3706 del 21 gennaio 2009, Rv. 242634, e n. 19696 del 20 maggio 2010, Rv. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. 4, n. 6243 del 7 marzo 1988, Rv. 178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimita’ e’ solo quello attinente alle questioni di fatto, non anche quello attinente alle questioni di diritto, giacche’ ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non puo’ sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano. D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneita’ degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. 4, n. 4173 del 22 febbraio 1994, Rv. 197993).
2. Il secondo motivo di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio e’ infondato. La censura, infatti, non considera che il riferimento alla pena base di anni otto di reclusione (anziche’ ad anni dieci di reclusione quale minimo stabilito ex lege per la condotta di partecipazione all’associazione di stampo camorristico, considerandosi l’aggravante di cui al comma 4 equivalente alle concesse attenuanti generiche) e’ da ricondursi ad un mero errore materiale nell’indicazione in motivazione del calcolo della pena, correttamente inflitta nella sua misura minima di anni sei e mesi otto di reclusione, applicandosi l’intera riduzione per la scelta del rito abbreviato, nel dispositivo. Se, infatti, si ha riguardo al calcolo della pena base operato per tutti gli altri ricorrenti ritenuti partecipi del sodalizio (ad eccezione del (OMISSIS) che risponde in qualita’ di promotore ed organizzatore), risulta come la sentenza impugnata l’abbia correttamente stabilita in anni dieci di reclusione, misura questa che costituisce il minimo della pena per la condotta di partecipazione, essendosi ritenuta l’aggravante di cui al comma 4 equivalente alle concesse attenuanti generiche. Infatti, la pena finale inflitta ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) di anni sei e mesi otto di reclusione deve ritenersi il risultato dell’intera riduzione per la scelta del rito abbreviato applicata sul minimo della pena di anni dieci di reclusione.
Peraltro, l’errore di diritto che i ricorrenti sollevano non tiene conto che in caso di difformita’ tra la motivazione relativa al calcolo della pena ed il dispositivo, prevale quest’ultimo. Questa Corte ha, infatti, affermato che il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullita’ della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo (Sez. 6, n. 7980 dell’1/2/2017, Rv. 269375). Nel caso di specie, detta prevalenza risulta anche in ragione della volonta’ decisoria che emerge dal complesso della motivazione della sentenza, ove il giudice di seconde cure ha inteso porre espressamente sullo stesso piano tutti gli imputati sia quanto all’equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 4, sia quanto alla determinazione della pena base nel minimo edittale di anni dieci di reclusione. La diversa soluzione propugnata dal ricorrente, invece, non solo parte da una pena base che sarebbe stata illegalmente determinata in favore dei due ricorrenti, ma omette del tutto di confrontarsi con le argomentazioni spese dalla Corte territoriale e dal giudice di primo grado nell’attribuire, ad eccezione del (OMISSIS), un eguale trattamento sanzionatorio sugli aspetti sopra menzionati per tutti gli imputati.
(OMISSIS):
1. Inammissibili sono i motivi di ricorso articolari, tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, con riguardo ai delitti fine in materia di armi comuni da sparo o da guerra di cui ai capi B), C), D), E), F) e G) della rubrica (sub 1.2.1, 1.2.2, 1.2.3, 1.2.4).
Le censure, infatti, hanno valenza di merito in quanto tendono, seppur sotto la denunzia del vizio di motivazione, a sollecitare alla Corte di legittimita’ una rilettura delle emergenze processuali e, nella specie, del contenuto delle intercettazioni ambientali captate nell’abitazione del ricorrente ed alle quali questi prende direttamente parte, da ritenersi preclusa in questa sede, trattandosi di compito demandato al giudice del merito, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, ipotesi, questa, che non ricorre nel caso di specie (ex multis, Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389).
La circostanza che i colloqui si riferissero a delle armi e’ stata, infatti, logicamente ricavata dai giudici di merito in ragione dei chiari ed espliciti riferimenti al calibro, alla marca e al modello delle armi comuni da sparo (capi B, C, D ed F) o da guerra (capo E, tale essendo il fucile di assalto AKM contenente 30 proiettili cal. 7,62 x 9 mm) che venivano menzionate nel corso dei colloqui i quali, vertendo su dinamiche di tipo criminale, avvalorano la serieta’ dei riferimenti all’impiego delle armi ed alla loro diretta disponibilita’ da parte dei sodali, per come riscontrato anche dall’operato sequestro del fucile oggetto di cui ai capi F) e G) della rubrica sulla scorta delle indicazioni fornite nelle conversazioni captate.
Con riferimento ai singoli capi di imputazione, la motivazione resa dalla sentenza impugnata risulta congrua e scevra da vizi logici.
Quanto al capo B), si e’ fatto riferimento alla possibilita’ del (OMISSIS) di andare subito a recuperare l’arma laddove richiesto dal (OMISSIS), circostanza che ne denota la comune detenzione e disponibilita’, rendendo peraltro irrilevante il fatto che poi la carabina fosse stata effettivamente presa dal (OMISSIS) sulle indicazioni del (OMISSIS), posto che entrambi gli imputati rispondono di detenzione e non di porto, ovvero che possano essere intervenuti nuovi accordi tra le parti, evenienza non solo apodittica ed indimostrata, ma vera e propria alternativa di merito alla aderente lettura del colloquio data dalla Corte d’appello.
Quanto ai capi C) e D), si sono richiamate due intercettazioni ambientali, di cui la prima captata nell’abitazione del (OMISSIS) anche alla presenza di alcuni sodali, in cui la disponibilita’ delle armi menzionate e’ logicamente legata all’uso che gli stessi intendevano farne, ovvero per realizzare un’intimidazione armata nei confronti di soggetti che, secondo la valutazione del (OMISSIS), avevano mancato di rispetto. Peraltro, la disponibilita’ delle armi risulta anche avvalorata dal contenuto dei dialoghi intercettati ove il (OMISSIS) nel dialogare con la moglie ne fa riferimento anche all’avvenuto utilizzo.
Corretta risulta poi l’individuazione nel (OMISSIS) del ” (OMISSIS)” menzionato nelle conversazioni, quale sodale co-detentore dell’arma Beretta di cui al capo D), il cui luogo di custodia e’ peraltro noto al ricorrente; al riguardo si e’ citato il contesto fattuale di riferimento, costituito dal contenuto di altri dialoghi vertenti sempre sulle armi, ai quali partecipa direttamente anche lo stesso (OMISSIS).
Quanto al capo F), si sono richiamati i chiari riferimenti che, nel corso delle plurime conversazioni captate presso l’abitazione del ricorrente, risultano relativi al fucile, ove se ne descrive anche il manico in legno e si da’ anche atto della percezione di rumori compatibili con l’attivita’ di smontaggio dell’arma, poi successivamente rinvenuta e sequestrata (vedi anche pag. 260 della sentenza di primo grado). Peraltro si e’ anche valorizzato – elemento tratto dal dialogo tra il ricorrente ed (OMISSIS) – il fatto che il (OMISSIS) si sia riferito a “qualcosa che si trovava presso la sua abitazione”. La doglianza mossa dalla difesa, secondo cui il (OMISSIS) avrebbe potuto anche commentare una fotografia ovvero non avrebbe corso il rischio di detenere presso la sua abitazione un’arma di tal genere, costituisce quindi un’alternativa di merito che non trova alcun appiglio probatorio nelle acquisizioni processuali.
Quanto al capo G), la ricettazione risulta contestata in concorso al ricorrente unitamente agli altri correi per i quali e’ stata asseverata la comune disponibilita’ dell’arma. La prospettazione difensiva volta ad escludere il ricorrente dall’alveo dei soggetti co-detentori in quanto la sua figura sarebbe emersa solo successivamente al ritrovamento del fucile ad opera dei Carabinieri, risulta smentita non solo dalle intercettazioni poste a corredo dell’affermazione di responsabilita’ per il concorso nella detenzione illegale dell’arma sopra indicate a proposito del capo F) che intervengono sin dal 31 ottobre 2015, ma anche dalla trascrizione di altra conversazione riportata nella sentenza di primo grado (alla quale quella impugnata si rifa’ sul tema), laddove e’ lo stesso ricorrente ad attribuirsi l’acquisto del fucile (vedi pag. 262 della sentenza di primo grado). Di conseguenza, il riferimento che il (OMISSIS) opera nella conversazione intrattenuta il 6 maggio 2016 con il (OMISSIS) – al fatto che al coimputato hanno rubato il fucile (essendo gli imputati inconsapevoli che l’arma e’ stata, invece, rinvenuta dai Carabinieri proprio a seguito dell’ascolto delle captazioni), lungi dal dimostrare l’estraneita’ alla co-detenzione e alla riconducibilita’ dell’arma al solo (OMISSIS), e’ pienamente coerente con l’impostazione accusatoria che, proprio in forza del complesso intercettivo, addita al ricorrente di avere acquistato l’arma di provenienza furtiva e al (OMISSIS), unitamente al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), di averla custodita nel luogo ove poi e’ stata rinvenuta e sequestrata dalla P.G..
1.2. Manifestamente infondate sono anche le censure mosse con riguardo ai delitti di danneggiamento aggravato e porto illegale di ordigni esplosivi di cui ai capi H) ed I), nonche’ L) ed M) della rubrica. L’affermazione di responsabilita’ si fonda, infatti, sul contenuto delle conversazioni intervenute tra il ricorrente ed i correi, captate all’interno dell’autovettura che all’epoca il (OMISSIS) aveva in uso. In particolare, le sentenze di merito, riportando il pedissequo monitoraggio delle conversazioni coeve all’esecuzione del secondo attentato ai danni dell’agenzia (OMISSIS) in quel di Capaccio, hanno evidenziato come al ricorrente si debba l’ordine ai correi di procedere all’azione di carattere intimidatorio, nonche’ come sia stato lo stesso imputato ad attribuirsi espressamente la paternita’ del precedente attentato ai danni della (OMISSIS) in quel di (OMISSIS). Sul punto, le censure difensive risultano del tutto generiche, in quanto si limitano a contestare genericamente le fonti di prova di accusa, senza specificamente confrontarsi con l’indicazione di molteplici indici rivelatori del coinvolgimento del ricorrente e dei sodali, costituiti non solo dal contenuto obiettivo delle conversazioni che li vedono direttamente protagonisti, ma anche dalla contestualita’ con una delle azioni criminose monitorata persino nello scoppio dinamitardo, dall’analogia delle modalita’ utilizzate per compiere gli attentati e dalla puntuale ricostruzione del contesto ambientale e delle dinamiche criminali sottese alle azioni illecite (di cui alle informative della polizia giudiziaria richiamate in sentenza), volte ad affermare il predominio del clan sul territorio rispetto a quelli egemoni ivi preesistenti.
2. Manifestamente infondato e’, poi, il motivo di ricorso (sub 2.1) in ordine all’aggravante speciale di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7. La Corte di merito, infatti, lungi dal ricavare la circostanza dal mero riferimento all’esistenza del sodalizio diretto dal (OMISSIS), ha invece fatto espresso riferimento, con motivazione congrua e pienamente aderente alla realta’ fattuale per come ricavata dagli elementi di prova puntualmente passati in rassegna, alla finalita’ che caratterizzava ciascun reato fine, evidenziando, per un verso, come la disponibilita’ delle armi fosse volte a rafforzare il predominio e la forza del gruppo sul territorio di insistenza, anche nel verosimile conflitto che poteva instaurarsi con quelli egemoni ivi preesistenti e, per altro, come gli attentati dinamitardi fossero diretti a piegare alle “ragioni” estorsive del “Terzo sistema” quegli imprenditori riconducibili agli altri consessi criminali di stampo camorristico (vedi pagg. 24 ss. della sentenza impugnata ove si richiamano gli esiti dell’informativa dei Carabinieri di (OMISSIS)). La circostanza, pertanto, risulta essere stata correttamente riferita alle specificita’ delle condotte poste in essere, ritenute rilevanti ed idonee ad agevolare il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio ovvero, con particolare riguardo ai reati di danneggiamento estorsivo, a costituire una delle manifestazioni esterne della vita della medesima.
3. Manifestamente infondato e’, infine, il motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio.
3.1. Nessuna violazione di legge e’ dato scorgersi riguardo al calcolo della pena ed agli aumenti apportati a titolo di continuazione. La censura sul punto e’ peraltro generica, appuntandosi peraltro le doglianze sulla congruita’ e logicita’ della motivazione con cui sono state escluse le attenuanti generiche e stimata congrua la pena inflitta al ricorrente.
3.1. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’ giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244).
Nel caso in esame, si e’ correttamente motivato il diniego in forza del ruolo di primo piano svolto dall’imputato – quale promotore ed organizzatore del pericoloso consesso di stampo camorristico -, del suo coinvolgimento in tutti i molteplici delitti fine contestati nel presente giudizio e in ragione dell’assenza di elementi positivi valutabili, neppure prospettati. Si tratta di indici di obiettiva gravita’ che rendono ragionevole l’aver al medesimo riservato un trattamento sanzionatorio differente da quello attribuito ai coimputati per i quali e’ stata asseverata solo la condotta di partecipazione e il concorso in alcuni dei delitti fine.
Con riguardo alla dosimetria della pena, la Corte di merito ha comunque proceduto ad una rideterminazione in senso favorevole al ricorrente, operando aumenti contenuti per la continuazione se si considera che sono ben dieci i delitti fine per cui e’ stata affermata la responsabilita’ dell’imputato, tutti dotati di particolare gravita’ per come si ricava dalle singole imputazioni.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae ad alcun vizio motivazionale.
(OMISSIS):
1. Inammissibili sono le censure sollevate sotto i profili di vizio di motivazione e di violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, in ordine alla ritenuta responsabilita’ per i delitti fine del sodalizio (capi B, D, F, G della rubrica).
1.1. Anzitutto va precisato che dalla lettura della sentenza impugnata e dei motivi di appello redatti dai difensori (avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) che con due atti distinti impugnarono la sentenza di primo grado) non emerge che la Corte territoriale abbia effettivamente disatteso le doglianze che in quella sede aveva sollevato l’avv. (OMISSIS). Infatti, la sentenza impugnata da’ espressamente atto che vi e’ “appello in merito ai fatti di cui ai capi B) e D), F) e G)”. Se si considera pero’ che l’avv. (OMISSIS) nel suo atto di appello, quanto ai delitti fine, ha censurato per (OMISSIS) i soli capi F) e G), se ne ricava che il riferimento agli altri due capi B) e D) consegue necessariamente all’esame dell’atto di appello redatto all’epoca dal co-difensore avv. (OMISSIS), il quale al riguardo avanzo’ un motivo che investiva tutti i capi relativi ai delitti fine (“assolversi l’imputato dal reato di cui ai capi B, D, F, G perche’ il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto”). In ogni caso, si tratta di motivi – per come rilevato dalla sentenza impugnata – di carattere generico e manifestamente infondato che, quindi, precludono alla Corte di legittimita’ di annullare sul punto la gravata decisione, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263157).
Peraltro, per completezza, deve anche osservarsi che tutte le censure mosse con l’atto di appello dell’avv. (OMISSIS) rinvengono nella sentenza impugnata adeguato riscontro, anche in forza dei motivi dedotti dall’avv. (OMISSIS) e dagli altri difensori nelle parti comuni, con la conseguenza che debbono ritenersi implicitamente disattesi, in quanto logicamente incompatibili con le determinazioni al riguardo assunte dalla decisione adottata (Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107).
1.2. Inammissibili sono le censure mosse in ordine ai diversi delitti fine, in quanto prospettano una rilettura di merito del contenuto delle intercettazioni, alle quali prende parte direttamente il ricorrente o in cui e’ evocato dagli altri interlocutori – e, dunque, aventi piena valenza probatoria nei suoi confronti attesi anche gli elementi confermativi costituiti nel complesso dalle dichiarazioni del (OMISSIS) e dell’operato sequestro dell’arma (S.U., n. 22471 del 26/2/2015, Rv. 263714; Sez. 6, n. 8211 dell’11/2/2016, Rv. 266509) preclusa in sede di legittimita’, trattandosi di compito demandato al giudice del merito, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (ex multis, Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784).
A tale riguardo, anche mediante il puntuale richiamo alla sentenza di primo grado (ove e’ anche riportato per esteso il contenuto delle intercettazioni) si sono valorizzati gli espliciti riferimenti ai calibri utilizzati per caricare le singole armi, alla marca e al modello che le contraddistinguono, tutti elementi di chiara identificazione delle armi comuni da sparo, peraltro logicamente supportati dal contesto dei dialoghi, relativo a dinamiche di criminalita’ organizzata in cui avvengono tali “declinazioni”.
Inoltre, quanto alla disponibilita’ delle armi in capo al ricorrente – la cui individuazione e’ stata correttamente ricavata in ragione della diretta partecipazione ai dialoghi, ovvero, laddove chiamato per nome di battesimo, dal contesto precedente e successivo delle conversazioni che lo vedono direttamente coinvolto – si e’ fatto riferimento alla possibilita’, dallo stesso rappresentata, di poter concretamente e direttamente disporre delle stesse (capo B, ove e’ lo stesso ricorrente che riferisce di poterla andare a prenderla; capo D, in cui il ricorrente ne risulta il custode su affermazione del (OMISSIS) – vedi in particolare alle pagine 246 e 252 della sentenza di primo grado) ovvero, quanto ai capi F) e G) relativi alla contestazione di detenzione e ricettazione di un fucile automatico, anche all’operato sequestro dell’arma conseguito proprio ad un dialogo intrattenuto dallo stesso ricorrente con il (OMISSIS).
2. Anche con riguardo al trattamento sanzionatorio la sentenza impugnata si sottrae ai vizi di legittimita’ denunziati, essendo il motivo dedotto manifestamente infondato.
Questa Corte ha, infatti, piu’ volte affermato che, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 2, n. 18944 del 22/3/2017, Rv. 270361; Sez. 3, n. 44931 del 2/12/2017, Rv. 271787). Nel caso in esame, peraltro, se si ha riguardo alla motivazione della sentenza di primo grado (vedi pag. 370), risulta espressamente indicato in motivazione l’elemento di disvalore – logicamente ravvisato nella gravita’ delle condotte ascritte a ciascun imputato – posto a base anche degli aumenti in continuazione, tanto ai fini della determinazione della pena base (stimata nel minimo edittale per l’ipotesi aggravata di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 4), quanto degli aumenti di pena per la continuazione dei reati satelliti. Tale argomento motivazionale deve ritenersi richiamato dalla Corte territoriale, la quale ha mantenuto fermo il calcolo della pena inflitto dal giudice di primo grado (anche negli aumenti operati a titolo di continuazione pari a mesi sei di reclusione ciascuno), salvo poi apportare la diminuzione conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sull’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 4.
Con la conseguenza che risulta anche manifestamente infondata l’analoga censura sollevata con l’atto di appello dell’avv. (OMISSIS) che, a detta del ricorrente, la Corte di merito avrebbe omesso di apprezzare (sulla preclusione per la Corte di legittimita’ di annullare la decisione laddove l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio, vedi ex multis, Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263157).
D) Conclusioni.
Stante l’infondatezza e/o la manifesta infondatezza dei motivi, vanno rigettati i ricorsi degli imputati. Consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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