Riammissione all’ordine giudiziario del magistrato

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 9 marzo 2020, n. 1663.

La massima estrapolata:

In caso di riammissione all’ordine giudiziario del magistrato che abbia trascorso un periodo al servizio di altro plesso magistratuale, il re-inquadramento in ruolo dovrà utilmente avvenire, ai sensi dell’art. 211, terzo comma, Ord. giud., procedendo con le valutazioni di professionalità di cui medio tempore “figurata una virtuale permanenza ininterrotta del magistrato nell’ordine giudiziario, sarebbero maturati i presupposti temporali”, e dunque in relazione all’intero periodo maturato nei diversi ordini giurisdizionali.

Sentenza 9 marzo 2020, n. 1663

Data udienza 12 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 3062 del 2019, proposto da
CSM – Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Em. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-/2018, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Ma. e dello Stato Si.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. -OMISSIS-, magistrato ordinario nominato con d.m. 27 ottobre 1994, nel 2011 transitava nella magistratura amministrativa (tribunali amministrativi regionali), allorché era in possesso della quarta valutazione di professionalità .
2. A seguito d’istanza del 28 ottobre 2016, in forza di delibere del CSM dell’8 febbraio e 15 marzo 2017, nonché di successivo d.m. 10 maggio 2017 e provvedimento ministeriale del 7 giugno 2017, il Mi. veniva riammesso nella magistratura ordinaria e re-inquadrato nella medesima quarta valutazione di professionalità già posseduta, benché con anzianità economica e relativo trattamento corrispondente alla ricongiunzione dei periodi trascorsi nelle due diverse magistrature.
3. Avverso detti provvedimenti e gli atti correlati l’interessato proponeva ricorso, integrato da motivi aggiunti – con cui impugnava anche il mancato accoglimento dell’istanza di riesame presentata al Ministero della Giustizia e al CSM – dolendosi della mancata considerazione, ai fini della valutazione di professionalità all’atto della riammissione, del complessivo periodo maturato nell’esercizio delle funzioni magistratuali nell’ambito della magistratura ordinaria e amministrativa, e chiedendo il riconoscimento del proprio diritto a essere inquadrato con la qualifica di magistrato ordinario di quinta valutazione di professionalità .
4. Il Tribunale amministrativo adì to, nella resistenza del CSM e del Ministero della giustizia, accoglieva il ricorso annullando i provvedimenti gravati, salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione in conformità con quanto indicato in motivazione.
La sentenza, in particolare, affermava la necessità che l’amministrazione provvedesse alla valutazione di professionalità successiva alla quarta in favore del ricorrente, rideterminandone se del caso anche il trattamento economico.
5. Hanno proposto appello il CSM e il Ministero della giustizia formulando un unico articolato motivo di doglianza che deduce l’erroneità della decisione di primo grado, atteso che il periodo trascorso nella magistratura amministrativa non potrebbe più essere valorizzato – ai fini dell’inquadramento giuridico al rientro nella magistratura ordinaria – a seguito della riforma dell’ordinamento giudiziario e l’introduzione dell’innovativo sistema delle valutazioni di professionalità ; anche il conseguente trattamento economico andrebbe dunque calcolato tenendo ferma la medesima valutazione di professionalità posseduta al tempo della fuoriuscita dall’ordine giudiziario, sicché la sentenza andrebbe riformata anche nella parte in cui ha disposto la rivalutazione del trattamento economico del ricorrente.
6. Resiste all’appello il Mi., che ripropone anche i motivi di ricorso rimasti assorbiti.
7. Sulla discussione delle parti all’udienza pubblica del 12 dicembre 2019, come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo profilo dell’unico motivo di gravame le appellanti Amministrazioni censurano la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto il necessario re-inquadramento dell’interessato – all’atto della riammissione all’ordine giudiziario – tenendo conto, ai fini della valutazione di professionalità, della sommatoria dei due distinti periodi trascorsi in magistratura ordinaria e amministrativa; in tal modo la sentenza avrebbe trascurato l’intervenuta abrogazione della l. 25 luglio 1966, n. 570 (Disposizioni sulla nomina a magistrato di Corte di appello) e della l. 20 dicembre 1973, n. 831 (Modifiche dell’ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di Cassazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori), e dunque il venir meno del referente normativo idoneo a fondare l’affermata ricongiunzione dei periodi.
A fronte del nuovo regime introdotto con il d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), che ha abrogato le predette leggi e il sistema di progressione di carriera basato sull’anzianità prevedendone uno del tutto diverso, incentrato sulle valutazioni di professionalità, dovrebbe ritenersi ormai superato lo stesso meccanismo della ricongiunzione dei periodi trascorsi nei diversi plessi magistratuali ai fini dell’inquadramento giudico in sede di riammissione all’ordine giudiziario.
1.1. Il motivo non è condivisibile: si pone in patente contrasto con la legge e quanto recentemente evidenziato da questa stessa Sezione in ordine agli effetti della riforma del sistema della progressione di carriera nella magistratura ordinaria sulla riammissione nei relativi ruoli ai sensi dell’art. 211 (Divieto di riammissione in magistratura), comma 2 ss., r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), introdotto dall’art. 7 (Riammissione nel posto di ruolo) l. 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), che consente la riammissione su domanda nei ruoli della magistratura ordinaria – in deroga al precedente primo comma (per il quale “il magistrato che ha cessato di far parte dell’ordine giudiziario in seguito a sua domanda, da qualsiasi motivo determinata, anche se ha assunto altri uffici dello Stato, non può essere riammesso in magistratura”) – in favore di chi “già appartenente all’ordine giudiziario, sia transitato nelle magistrature speciali ed in esse abbia prestato ininterrottamente servizio”.
Detta riammissione, deliberata dal Consiglio superiore della magistratura su domanda dell’interessato, a tenore della norma avviene “colloca[ndo] il magistrato, anche in soprannumero, nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati e dalle valutazioni e relative nomine, da effettuarsi contestualmente, ai sensi delle leggi 25 luglio 1966, n. 570, 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni” (art. 211, terzo comma).
Sostengono le Amministrazioni appellanti che la ricordata intervenuta abrogazione delle leggi n. 570 del 1966 e n. 831 del 1973 per effetto dell’art. 54, comma 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 160 del 2006, avrebbe determinato l’abrogazione dell’istituto della ricongiunzione, ai fini del re-inquadramento del magistrato riammesso all’ordine giudiziario, in relazione al servizio da questi prestato negli ordini giurisdizionali diversi da quello ordinario.
In particolare, l’intervenuta abrogazione delle suddette leggi (ivi incluso l’art. 1, quarto comma, l. n. 570 del 1966, in forza del quale “ai fini dell’anzianità […] è valutato anche il servizio eventualmente prestato come magistrato del Consiglio di Stato o della Corte dei conti o della Giustizia militare”) avrebbe fatto venir meno la base normativa dell’istituto della ricongiunzione, così precludendo – nel quadro d’un diverso sistema fondato sulle periodiche valutazioni di professionalità anziché sulla precedente sostanziale progressione per anzianità – l’utile considerazione, a fini di re-inquadramento giuridico, dell’attività prestata dal magistrato presso le magistrature diverse da quella ordinaria.
1.1.1. L’assunto non ha fondamento e contrasta con il contenuto precettivo e la ratio che presiede alla disposizione dell’art. 211 Ord. giud., che in nulla sono alterati dal dato formale della detta abrogazione espressa delle leggi n. 570 del 1966 e n. 831 del 1973.
Il fondamento normativo della ricongiunzione – a fini d’inquadramento giuridico – dei periodi prestati nei vari ordini magistratuali in caso di riammissione all’ordine giudiziario è costituito dal (tuttora vigente) art. 211, terzo comma, Ord. giud., in forza del quale la riammissione dell’interessato avviene, anche in soprannumero, “nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati e dalle valutazioni e relative nomine”.
In tale contesto, l’intervenuta abrogazione della l. n. 570 del 1966 (incluso il suindicato art. 1, quarto comma) e della l. n. 831 del 1973, richiamate dallo stesso art. 211, terzo comma, non vale a obliterare il particolare dispositivo di riammissione e ricollocazione in ruolo ivi previsto, né tanto meno ad abrogare l’istituto della ricongiunzione senza pregiudizio. Piuttosto, incide sulla conformazione delle relative modalità attuative: a fronte del nuovo sistema di progressione, incentrato sulle valutazioni di professionalità , la ricongiunzione dei periodi prestati nei vari ordini determina l’attribuzione all’interessato d’una posizione giuridica espressa essa stessa in termini di valutazione di professionalità e fondata su quest’ultima, ai sensi del d.lgs. n. 160 del 2006 (in ciò subentrato alla l. n. 570 del 1966 e alla l. n. 831 del 1973), tenendo conto, a tal fine, (anche) del periodo trascorso presso un diverso ordine giurisdizionale.
Proprio con riferimento all’art. 211, terzo comma, Ord. giud. (oltreché al successivo quarto comma) la sentenza di questa Sezione 21 febbraio 2018, n. 1096 ha posto in risalto che “nemmeno queste previsioni di legge sono state tacitamente o implicitamente abrogate dalla sopravvenienza del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), che ha riformato le modalità di progressione in carriera dei magistrati ordinari il cui assetto c.d. a ruoli aperti, o di selezione puramente negativa, era stato introdotto dalle leggi 25 luglio 1966, n. 570 e 20 dicembre 1973, n. 831 in sostituzione dell’originario sistema di progressione c.d. a ruoli chiusi, basato su avanzamenti mediante concorsi e scrutini.
Il d.lgs. n. 160 del 2006 non tratta della riammissione in servizio del magistrato proveniente dalle magistrature speciali perché è tema estraneo al riordino delle forme della progressione interna, che concerne non la riammissione del magistrato, ma il solo avanzamento all’interno della magistratura ordinaria. Sicché non riordina anche la fattispecie della riammissione, che resta distintamente disciplinata dall’art. 211 (salvi, ovviamente, i riferimenti alle leggi n. 570 del 1966 e n. 831 del 1973, implicitamente sostituite dallo stesso d.lgs. n. 160 del 2006).
Soprattutto difettano vuoi i presupposti del giudizio di incompatibilità tra singole disposizioni che stiano alla base di un’ipotesi di abrogazione tacita; vuoi – con riguardo alla riammissione – una nuova disciplina organica della medesima materia che stia alla base di un’ipotesi di abrogazione implicita.
Vero è che il d.lgs. n. 160 del 2006 ha disciplinato le nuove forme di progressione in carriera del magistrato ordinario, basate su quadriennali valutazioni di professionalità . Ma questo avviene riguardo alla normale progressione interna alla magistratura ordinaria, dove le valutazioni di professionalità vengono svolte a scansione temporale prestabilita, mediante apposito procedimento non competitivo, sulla base di predeterminati elementi, parametri, documentazione e di indicatori per valutare il quadriennio passato di attività individuale” (Cons. Stato, V, 21 febbraio 2018, n. 1096, par. 17.2).
In tale contesto, “il ricordato art. 211, terzo comma […] va piuttosto considerato implicitamente modificato per quanto attiene le “valutazioni e relative nomine, da effettuarsi contestualmente, ai sensi delle leggi 25 luglio 1966, n. 570, 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni”. Infatti […] il venir meno delle norme del rinvio [i.e., le leggi n. 570 del 1966 e 831 del 1973, richiamate dall’art. 211, terzo comma, Ord. giud.] non ha travolto l’intera previsione dell’art. 211, terzo comma, vuoi perché lo stesso art. 54 [d.lgs. n. 160 del 2006] non ne prevede l’abrogazione espressa; vuoi perché il rinvio era all’evidenza dinamico avendo ad oggetto non la progressione in sé ma le modalità di progressione [esistenti] al 1979 e [disciplinate] da quelle leggi “e successive modificazioni”, sicché mutando quelle muta anche la valutazione da fare alla riammissione; vuoi perché, diversamente, vi sarebbe violazione degli artt. 3, 102 e 103 Cost., perché contro la ragionevolezza e l’unità funzionale della giurisdizione, si fingerebbe inesistente il servizio intermedio nella magistratura speciale, con l’effetto pratico di far regredire – con irrazionale disparità di trattamento – il magistrato ordinario che rientra rispetto alla sua posizione che pur virtualmente conserva “nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati” nelle due magistrature.
Pertanto, in luogo di quelle valutazioni e relative nomine, si deve oggi all’atto della riammissione procedere alle valutazioni di professionalità di cui, medio tempore e figurata una virtuale permanenza ininterrotta del magistrato nell’ordine giudiziario, sarebbero maturati i presupposti temporali” (Cons. Stato, n. 1096 del 2018, cit., par. 18.1).
Queste considerazioni sottolineano la ratio sottesa alla previsione, dando conto di come “il fatto stesso della riammissibilità, che deroga al rigoroso divieto generale di cui all’art. 211, primo comma, [si fondi] sull’assimilabilità della condizione comunque di magistrato, ordinario o speciale che sia […] che riflette l’immanente principio costituzionale di unità funzionale della giurisdizione dell’art. 102 Cost.”; in tale prospettiva “l’eccezionale riammissibilità è effetto dell’unità funzionale della giurisdizione, il che reca il dovere, per l’amministrazione di rientro, di adeguata valutazione quadriennale o pluriquadriennale dei servizi nell’altra magistratura resi”.
Del resto, si può aggiungere qui, non si vede per quale ragione si possa dar corso a valutazioni di professionalità per i magistrati che siano stati collocati in posizione di fuori ruolo (art. 11, comma 16, d.lgs. n. 160 del 2006), in aspettativa parlamentare o amministrativa o finanche ai fini della mobilità tra pubblico e privato (ai sensi dell’art. 23-bis d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) e non si possa procedere alla valutazione di professionalità – al rientro in ruolo – per il magistrato che, svolgendo una funzione assai più affine, sia temporaneamente transitato in una magistratura speciale.
In realtà dall’insieme delle suddette fattispecie può ricavarsi che è immanente al sistema che il periodo trascorso fuori ruolo contemplato dalla legge e la professionalità magistratuale mostrata in quella specifica attività danno titolo a una corrispondente valutazione di professionalità . È palese pertanto che si pone contra legem la proposta interpretazione che – appuntandosi su un dato formale e non congruente – va a eccezionalmente frustrare il rientro dalle magistrature speciali, disegnando un trattamento irragionevole che contrasta con la testé rammentata, immanente ragione dell’art. 211.
1.1.2. È dunque pacifico, e va qui ribadito, il principio per cui, in caso di riammissione all’ordine giudiziario del magistrato che abbia trascorso un periodo al servizio di altro plesso magistratuale, il re-inquadramento in ruolo dovrà utilmente avvenire, ai sensi dell’art. 211, terzo comma, Ord. giud., procedendo con le valutazioni di professionalità di cui medio tempore “figurata una virtuale permanenza ininterrotta del magistrato nell’ordine giudiziario, sarebbero maturati i presupposti temporali”, e dunque in relazione all’intero periodo maturato nei diversi ordini giurisdizionali.
1.1.3. Essendosi uniformata a tali principi e avendo affermato l’illegittimità di provvedimenti di riammissione che hanno denegato all’interessato – in contrasto con l’art. 211, terzo comma, Ord. giud. e con quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato – la valutazione di professionalità in relazione al periodo trascorso nel diverso ordine, l’impugnata sentenza (la quale ha coerentemente disposto che l’amministrazione provveda “alla valutazione di professionalità successiva alla IV a carico del ricorrente secondo quanto da lui maturato con il rientro in a.g.o.”) risulta corretta ed esente dalle censure formulate dagli appellanti.
2. A corollario del primo profilo di doglianza gli appellanti censurano la sentenza nella parte che ha affermato la necessaria rideterminazione del trattamento economico del ricorrente in funzione della sua valutazione di professionalità , da attribuire tenendo conto dei vari periodi prestati nelle diverse magistrature ai sensi dell’art. 211, terzo comma, Ord. giud..
Avendo contestato proprio la spettanza al ricorrente di siffatta valutazione di professionalità , le appellanti Amministrazioni censurano il capo della sentenza che ha disposto la corrispondente rideterminazione del trattamento economico in favore del magistrato, e pongono in risalto come abbiano correttamente provveduto a determinare il trattamento, stimando l’anzianità economica dell’interessato in ragione del ricongiungimento dei servizi prestati nei due diversi ordini magistratuali (e, così, per complessivi anni 22, mesi 6 e giorni 14) nel rispetto dell’art. 4, ottavo comma, l. n. 425 del 1984.
2.1. Anche tale profilo di doglianza va respinto, in conseguenza di quanto osservato in relazione all’inquadramento giuridico da riconoscere al magistrato riammesso all’ordine giudiziario ai sensi dell’art. 211, secondo e terzo comma, Ord. giud..
Acclarato infatti che, in virtù del meccanismo della ricongiunzione previsto dall’art. 211, terzo comma, Ord. giud. come oggi modulato sul sistema delle valutazioni di professionalità, spetta all’appellato, quale magistrato riammesso all’ordine giudiziario, una valutazione di professionalità che tenga normalmente conto di tutti i periodi trascorsi nei diversi ordini, anche il corrispondente trattamento economico dovrà essere conseguentemente determinato in ragione della valutazione professionale così attribuita.
Per tali ragioni, il capo di sentenza censurato è corretto, avendo affermato la necessaria rideterminazione del suddetto trattamento economico in favore del ricorrente in funzione della valutazione di professionalità cui l’amministrazione dovrà provvedere.
3. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello si rivela infondato e va respinto, con conseguente assorbimento delle doglianze riproposte dall’appellato – concernenti vizi d’istruttoria, contraddittorio procedimentale e motivazione dei provvedimenti gravati – e di ogni altra correlata questione.
3.1. Le spese sono poste solidalmente a carico degli appellanti, secondo criterio di soccombenza, e liquidate nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese in favore dell’appellato, liquidandole nella misura di Euro 7.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Vista la richiesta dell’interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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