Risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|28 novembre 2022| n. 34950.

Risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori

Ai fini del risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori, occorre che quest’ultimo non abbia assolto ai propri doveri consapevolmente e intenzionalmente o anche solo ignorando per colpa l’esistenza del rapporto di filiazione. La prova di ciò può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva escluso l’elemento soggettivo della menzionata responsabilità, limitandosi a negare l’esistenza di sufficienti indizi circa la conseguita consapevolezza da parte del padre della propria paternità subito dopo la nascita del figlio, sulla base della ritenuta inattendibilità della testimonianza della madre, non adeguatamente motivata e senza valutare plurimi elementi indiziari, quali la certezza di un rapporto sessuale non protetto avvenuto tra i genitori in epoca compatibile con il concepimento, la vicinanza tra le abitazioni di questi ultimi, situate in un piccolo paese, e la continuazione della frequentazione del ristorante paterno da parte della madre anche durante la gravidanza).

Sentenza|28 novembre 2022| n. 34950. Risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori

Data udienza 27 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: FAMIGLIA MATERNITA’ ED INFANZIA – POTESTA’ DEI GENITORI – POTESTA’ DEI GENITORI (IN GENERE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27277/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)), (OMISSIS) ( (OMISSIS)), come da procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)), come da procura speciale conferita con atto separato.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO n. 113/2017 depositata il 08/09/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza svoltasi con trattazione scritta del 27/09/2022 dal Consigliere LAURA TRICOMI.

 

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FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Bolzano, con sentenza in data 8.9.2017, confermo’ il rigetto della domanda con cui (OMISSIS) aveva impugnato l’atto con cui egli stesso aveva riconosciuto il figlio (OMISSIS) (nato il (OMISSIS)) e riformo’ la prima decisione nella parte in cui aveva accolto la domanda di risarcimento dei danni proposta dal figlio, condannando il padre a corrispondergli Euro 100.000,00=.
Ad avviso della Corte, non vi era prova che (OMISSIS) fosse stato informato della sua paternita’ prima dell’anno 2009 -, non essendo confermate da altre risultanze probatorie le affermazioni, ritenute di dubbia attendibilita’, della teste (OMISSIS), la quale aveva riferito di avere avuto con lui un rapporto sessuale non protetto da cui era nato (OMISSIS) e di avere informato (OMISSIS) di cio’ gia’ un mese dopo la nascita del figlio e anche successivamente; inoltre, (OMISSIS) aveva taciuto al figlio per molti anni l’identita’ del padre, in tal modo contribuendo a segnare negativamente il futuro del figlio; non era provato che (OMISSIS) fosse, consapevolmente e intenzionalmente o per colpa, venuto meno ai propri obblighi paterni nei confronti di (OMISSIS); non v’era prova del danno patito da quest’ultimo sotto l’aspetto affettivo, psicologico e sociale, ed infatti, pur avendo provato di essere cresciuto in poverta’, questi non aveva dimostrato che avrebbe potuto beneficiare di condizioni di vita migliori se il padre lo avesse riconosciuto (non aveva dimostrato “quali prospettive egli avesse riguardo al suo futuro, quali ambizioni restassero insoddisfatte e quali concrete chances egli si fosse perso”), tanto piu a fronte delle non floride condizioni economiche del (OMISSIS).
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, resistito da (OMISSIS) che ha depositato memoria.
La causa perviene all’odierna udienza pubblica a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto all’adunanza camerale dell’11 novembre 2021.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1.- Con il primo motivo (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 111 Cost. e 132, comma 2, c.p.c. per motivazione insufficiente e contraddittoria.
La censura concerne la statuizione con cui la testimonianza della madre del ricorrente e’ stata ritenuta insufficiente, in assenza di ulteriori conferme, a provare la circostanza che (OMISSIS) fosse stato informato della propria paternita’ poco dopo la nascita del figlio (OMISSIS), avvenuta nel (OMISSIS).
Il ricorrente si duole che la decisione della Corte di appello di escludere l’attendibilita’ della teste sia stata assunta aprioristicamente, in ragione del solo vincolo di parentela con esso, originario attore.
2.2.- Il motivo e’ fondato e va accolto.
2.3.- La Corte di appello, riformando la prima decisione, ha affermato che gli obblighi genitoriali conseguenti al concepimento si basano sulla consapevolezza della genitorialita’, che non equivale ad una certezza assoluta, ma puo’ essere desunta da una serie di indizi univoci, come il fatto indubbio di avere avuto un rapporto sessuale non protetto con la madre nel figlio nel periodo del concepimento, e che la domanda risarcitoria del danno conseguente alla violazione dei diritti del bambino per il mancato assolvimento degli obblighi genitoriali presuppone la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa e che le risultanze istruttorie non avevano fornito la necessaria chiarezza in merito al momento della conoscenza del (OMISSIS) circa la sua paternita’ verso (OMISSIS)” (fol.8 della sent.) perche’: i) l’affermazione che questi venne informato gia’ nel (OMISSIS), dopo la nascita, della paternita’ si basava sulla sola testimonianza della madre del figlio (OMISSIS); la sorella di (OMISSIS), presente in un’altra occasione in cui l’argomento tra i due genitori era stato affrontato, non era stata chiamata a testimoniare; gli altri testimoni non avevano potuto confermare che la madre avesse informato (OMISSIS) della paternita’ durante la gravidanza e dopo la nascita del figlio; ii) la dichiarazione di (OMISSIS) doveva essere “valutata con prudenza, in quanto lei ha oggettivamente un interesse di fatto all’esito del giudizio che, anche se non qualificato ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., si ripercuote sulla sua credibilita’”; iii) la deposizione della madre non era confermata da nessun tipo di prova e non vi erano elementi sufficienti a provare che (OMISSIS) fosse consapevole della propria paternita’ prima della richiesta di riconoscimento avanzata nel 2009 dal legale di (OMISSIS); iv) non emergeva che nella comunita’ del paese ove vivevano tutte le parti interessate, tutti fossero a conoscenza della condizione di paternita’ naturale di (OMISSIS) e che la circostanza che la madre lo avesse comunicato ad alcune persone nei tardi anni settanta non era sufficiente a far ritenere nota alla comunita’ la circostanza all’esame, potendo, al contrario far desumere l’intento della madre di mantenere segreta la vicenda; v) anche il fatto che (OMISSIS) lo avesse scoperto nel 2009 deponeva in tal senso; vi) il fatto che le parti vivessero nelle immediate vicinanze e che la madre del figlio frequentasse il ristorante del (OMISSIS) aveva carattere neutrale e significava unicamente che (OMISSIS) sapeva sicuramente della gravidanza della (OMISSIS) e della nascita del figlio di questa, non invece della propria paternita’ nei confronti del bambino.

 

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2.4.- La decisione non puo’ essere condivisa.
Appare utile ricordare che mentre l’articolo 246 C.P.C. sancisce l’incapacita’ a testimoniare ove ricorra un interesse nella causa (stabilendo che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”), il divieto di testimoniare previsto dall’articolo 247 c.p.c., ancor prima dell’intervento abrogativo della Corte Costituzionale (sent. n. 248 del (OMISSIS)), non era assoluto, essendo previsto che “Non possono deporre il coniuge ancorche’ separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, salvo che la causa vetta su questioni di stato, di separazione personale, o relative a rapporti di famiglia”.
2.5.- Nel caso di specie appare conclamata l’inapplicabilita’ dell’articolo 246 c.p.c.- che sancisce le ipotesi di incapacita’ a testimoniare – nei confronti della madre, perche’, come da questa Corte si e’ gia’ affermato, “In tema di dichiarazione giudiziale della paternita’ naturale, nell’ipotesi di maggior eta’ di colui che richiede l’accertamento non puo’ configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell’articolo 276, ultimo comma, c.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorche’ sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio. In ogni caso, alla stregua della disciplina normativa della legittimazione ad agire in tale giudizio, contenuta nell’articolo 276 c.c., correlata all’interpretazione dell’articolo 269, secondo e comma 4, c.c., le dichiarazioni della madre naturale assumono un rilievo probatorio integrativo ex articolo 116 c.p.c., quale elemento di fatto di cui non si puo’ omettere l’apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualita’ di parte o dalla formale posizione di terzieta’ della dichiarante, con la conseguente inapplicabilita’ dell’articolo 246 c.p.c.” (Cass. n. 12198 del 17/07/2012, conf. Cass. n. 6025 del 25/03/2015;), considerazioni a cui va aggiunto che, anche sotto la vigenza dell’articolo 267 c.p.c. – dichiarato costituzionalmente illegittimo – la testimonianza dei parenti era, comunque, ammessa se la causa verteva su questioni di stato come nel presente caso-, di separazione personale, o relative a rapporti di famiglia.

 

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Da cio’ discende che l’affermazione della Corte di appello circa la ricorrenza di un interesse “di fatto”, pur non risponde al modello legale di cui all’articolo 246 c.p.c., che giustificherebbe prudenza nella valutazione, non risulta svolta in conformita’ con le disposizioni normative e con i principi di legittimita’ in materia, giacche’ frutto di una evidente confusione tra capacita’ a testimoniare e valutazione sull’attendibilita’ del teste.
Invero, “L’incapacita’ a deporre prevista dall’articolo 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste e’ titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’articolo 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui e’ richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di cio’ il giudice e’ tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilita’ del teste – ne’ un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini gia’ concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio.” (Cass. n. 167 del 05/01/2018) e, nel caso in esame, l’interesse personale nei sensi prima precisati non ricorre, giacche’ le istanze risarcitorie proposte dal figlio, a titolo personale, in ragione del preteso danno endofamiliare non patrimoniale da abbandono subito, non avrebbero potuto legittimare la madre alla partecipazione al giudizio.
Esclusa la ricorrenza di una incapacita’ a testimoniare della madre, ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., e’ opportuno rimarcare che “La capacita’ a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilita’ del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’articolo 246 c. p. c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicita’ della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilita’ della dichiarazione in relazione alle qualita’ personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, puo’ essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilita’.” (Cass. n. 21239 del 09/08/2019; Cass. n. 26547 del 30/09/2021); in particolare, quanto alla credibilita’ del teste, va osservato che “In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all’attendibilita’ del teste – che afferisce alla veridicita’ della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilita’ della dichiarazione in relazione alle qualita’ personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, puo’ essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilita’.” (Cass. n. 7623 del 18/04/2016).

 

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Orbene, pur confermando il principio secondo il quale “In tema di prova testimoniale, l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte Cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’articolo 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilita’ delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito la cui valutazione non e’ censurabile in sede di legittimita’, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilita’ delle deposizioni stesse.” (Cass. n. 98 del 04/01/2019; Cass. n. 17630 del 28/07/2010), va rimarcato che, nel caso di specie, la valutazione di inattendibilita’ si e’ fondata aprioristicamente sulla ravvisata ricorrenza astratta di un interesse di fatto, estendendo inammissibilmente in via analogica la previsione di cui all’articolo 246 c.p.c.; norma, per stessa ammissione della Corte di appello non applicabile nella specie, e che, circoscrivendo l’esercizio del diritto di azione e di difesa, e’ di stretta interpretazione.
3.1. – Con il secondo motivo si deduce la nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 116, comma 6, Cost. e 132 c.p.c., per motivazione apparente, illogica e contraddittoria.
Il ricorrente si duole, altresi’, che la Corte di appello, pur avendo affermato che la consapevolezza del padre in merito al concepimento poteva desumersi da una serie di indizi, tra cui l’avere avuto un unico rapporto sessuale non protetto con la madre in epoca compatibile con il concepimento, ha poi affermato che la sola gravidanza della (OMISSIS) non era tale da indurre il (OMISSIS) ad attivarsi, in quanto non era stato provato che egli era stato informato circa la propria paternita’ e la (OMISSIS) non aveva sollevato alcuna richiesta in ordine alla paternita’.
Sostiene, di contro, (OMISSIS) che la avvenuta gravidanza, la circostanza che i genitori, abitanti nello stesso paese e vicini di abitazione, avessero avuto un rapporto non protetto, era invece rilevante e la motivazione della Corte di merito appariva contraddittoria.

 

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3.2.- Il motivo e’ fondato.
3.3.- La Corte di appello, nel procedere all’accertamen circa la consapevolezza della genitorialita’ da parte di (OMISSIS), e’ pervenuta alla conclusione che mancavano i presupposti per il riconoscimento del risarcimento del danno in quanto mancava la prova che (OMISSIS), consapevolmente ed intenzionalmente o anche solo per colpa e per mancanza di necessaria diligenza, avesse agito illegittimamente, non provvedendo all’assolvimento degli obblighi paterni nei confronti del figlio (fol.13 della sent. imp.).
A questa statuizione la Corte di appello e’ pervenuta, sia per avere privato di qualsiasi valenza probatoria la testimonianza della madre, senza svolgere un adeguata e motivata valutazione di inattendibilita’, ove riscontrabile, sia in quanto ha mancato di svolgere una corretta valutazione dei plurimi elementi indiziari, oltre che della indiscussa paternita’, secondo i criteri elaborati in proposito dalla giurisprudenza di legittimita’, in particolare laddove ha affermato che le circostanze che i due genitori vivessero vicini al momento del concepimento ed avessero continuato a vivere nello stesso piccolo paese e che la madre avesse frequentato il ristorante di (OMISSIS) avevano “carattere neutrale” (fol.10 della sent. imp.) ed ha proceduto ad una valutazione atomistica degli indizi.
Va riaffermato che “In tema di prova presuntiva, il giudice e’ tenuto, ai sensi dell’articolo 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” e’ riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realta’ storica, quello della “gravita’” al grado di probabilita’ della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralita’ di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralita’ di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli cosi’ isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.” (Cass. n. 9054/2022). Infatti, i requisiti della gravita’, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9178/2018), cosi’ come va valutato non atomisticamente ma nel complesso anche l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale (Cass. n. 14151/2022). Nello specifico, tali criteri avrebbero dovuto improntare la disamina degli elementi di prova ed indiziari volti ad accertare la ricorrenza dell’elemento soggettivo in (OMISSIS) – sia sotto il profilo del dolo, che della colpa – in ordine alla consapevolezza della paternita’ ed al mancato assolvimento degli obblighi paterni.
Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimita’ la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9059/2018).

 

Risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori

3.4.- Va, infine, rilevato che solo con la memoria, e quindi tardivamente ed inammissibilmente, il controricorrente (OMISSIS) ha prospettato che la madre avrebbe avuto rapporti sessuali con altri uomini all’epoca del concepimento, circostanza che non risulta essere stata in precedenza dedotta, ne’ accertata in corso di giudizio.
4.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 147 e 148 c.c.
Il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe fatto erronea applicazione degli articoli 147 e 148 c.c., laddove ha assunto che la mancata attivazione della madre nei confronti del padre assente, per sollecitarlo ad assumersi le sue responsabilita’, fosse idonea a fondare un concorso di colpa della stessa nella produzione del danno lamentato.
Il ricorrente, pur rimarcando la propria personale tesi, secondo la quale la madre non si era attivata, stante il rifiuto del padre di assumersi le sue responsabilita’, per non aggravare la sofferenza al figlio, rammenta ed invoca la giurisprudenza di legittimita’ secondo cui la responsabilita’ del padre assente non e’ esclusa o ridotta in considerazione del comportamento della madre.
4.2.- Il motivo e’ assorbito in conseguenza dell’accoglimento dei primi due, posto che la statuizione impugnata si fonda sull’accertamento di non consapevolezza del padre circa la condizione di genitore – fino al 2009 – per non essere stato su cio’ informato dalla madre.
E’, tuttavia, opportuno rammentare che, come gia’ affermato da questa Corte “La responsabilita’ del genitore per i danni subiti dal figlio, in conseguenza del suo inadempimento ai propri obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza, non puo’ ritenersi esclusa o limitata dalla circostanza che anche l’altro genitore possa non avere correttamente adempiuto ai rispettivi doveri.” (Cass. n. 14382/2019).
5.1.- I motivi quarto e quinto vanno trattati congiuntamente per connessione.
5.2.- Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli articoli 2 e 30 Cost., 185 e 570 c.p., 147,148,2043, 2059, 2697 e 2728 c.c., 115 e 116 c.p.c.
Il ricorrente si duole che la Corte di appello, erroneamente interpretando ed applicando le norme in esame, abbia adottato una lettura estremamente riduttiva del danno da violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale e non abbia ritenuto sussistente il danno per lesione del diritto del ricorrente ad essere “educato e mantenuto”, desumibile dalla lettura coordinata delle disposizioni di cui prima, rimarcando che in primo grado era stato riconosciuto come l’odierno ricorrente avesse sofferto sia sotto il profilo emotivo per l’assenza del rapporto con la figura paterna, sia per il mancato riconoscimento dello status di figlio.
5.3.- Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli articoli 115, 116, 147, 148, 2043, 2059, 2697 e 2728 c.c., nonche’ nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 111 Cost. e 132 c.p.c. a fronte della motivazione insufficiente e contraddittoria. Il ricorrente sostiene che la Corte di merito, laddove ha ritenuto non provata la sussistenza del danno anche sotto il profilo della perdita di chances rispetto ad una migliore formazione personale e collocazione economica e sociale del ricorrente, ha trascurato ogni valutazione in merito al pregiudizio per lesione di primari valori costituzionali, riducendolo al mero raffronto tra la situazione familiare concreta e quella che si sarebbe avuta in assenza della violazione.
5.4.- I due motivi sono fondati e vanno accolti.
Va rimarcato che, per tali motivi, non puo’ procedersi ad assorbimento in applicazione del principio secondo il quale ” L’assorbimento di un motivo di ricorso per cassazione postula che la questione con esso prospettata si presenti incondizionatamente irrilevante, al fine della decisione della controversia, a seguito dell’accoglimento di un altro motivo, e, pertanto, non e’ configurabile ove la questione stessa possa diventare rilevante in relazione ad uno dei prevedibili esiti del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto. In tale ipotesi, quindi, la Suprema Corte deve procedere egualmente all’esame di quel motivo annullando eventualmente la medesima sentenza anche in relazione ad esso, sia pure condizionatamente ad un determinato esito del giudizio di rinvio sulla questione oggetto del motivo principale accolto.” (Cass. n. 13259/2006)
5.5.- Nel caso di specie, la Corte d’appello ha affermato che difettava qualsiasi fondamento probatorio del danno che (OMISSIS) aveva richiesto, deducendo l’omesso assolvimento degli obblighi genitoriali in riferimento al danno morale da lui patito sotto l’aspetto affettivo, psicologico e sociale e per avere compromesso in senso peggiorativo le sue condizioni di vita, perche’ l’odierno ricorrente non aveva assolto agi oneri probatori su di lui gravanti, giacche’ aveva provato di essere cresciuto in poverta’, con le limitate risorse procacciate dalla madre svolgendo l’attivita’ lavorativa di cameriera stagionale, ma non aveva dimostrato che avrebbe potuto vivere in condizioni migliori, ne’ quali concrete ambizioni fossero rimaste insoddisfatte e quali concrete chances si fosse perso.
Tale motivazione e’ da ritenere del tutto erronea.

 

Risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori

5.6.- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; l’illecito intrafamiliare puo’, infatti, produrre anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico/esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalita’ del danneggiato, condizionando cosi’ pure lo sviluppo delle sue capacita’ di comprensione e di autodifesa (Cass. n. 40335/2021). Questo illecito, pertanto, puo’ dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternita’ e maternita’ (Cass. n. 5652/2012; Cass. n. 14382/2019) qualora l’inadempimento del genitore abbia causato un complessivo disagio materiale e morale per il figlio e qualora da tale disagio siano derivate una serie di ulteriori conseguenze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale oltre che non patrimoniale, tra cui la impossibilita’ di affermarsi in maniera piu’ soddisfacente socialmente e di svolgere degli studi, che posso aver precluso le possibilita’ di realizzazione professionale, con rilievo anche economico. In tale situazione, ove sussista la prova del danno morale e mancando la ragionevole possibilita’ di dimostrare la sua precisa entita’, risulta certamente consentita la liquidazione di esso in via equitativa.
Va ancora osservato che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 Cost. – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicche’ tale condotta e’ suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’articolo 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole (Cass. n. 3079/2015; Cass. n. 15148/2022). E’ stato altresi’ osservato, ai fini del decorso del termine di prescrizione, che l’illecito endofamiliare commesso in violazione dei doveri genitoriali verso la prole puo’ essere sia istantaneo, ove ricorra una singola condotta inadempiente dell’agente, che si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, sia permanente, se detta condotta perdura oltre tale momento e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua reiterazione, poiche’ il genitore si estranea completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli (Cass. n. 11097/2020; Cass. n. 27139/2021).
Orbene, la Corte di appello ha escluso che la condotta ascritta al (OMISSIS) costituisse un illecito endofamiliare e fosse stata produttiva di danni non patrimoniali, limitandosi a raffrontare le possibili condizioni di vita e deducendo la mancanza di prova in ordine al preteso pregiudizio subito, omettendo del tutto di considerare che il figlio, dalla nascita a tutta l’eta’ matura e’ stato privato della figura genitoriale paterna sia nella vita strettamente familiare, che nel contesto sociale, costituito dal piccolo centro urbano in cui ha vissuto.
Al riguardo, non puo’ essere invece sottaciuto che la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se e quali fossero stati gli effetti causati da detta assenza e, dunque, dall’assoluta elisione della figura paterna, sullo sviluppo fisiopsichico del ricorrente, mentre si e’ soffermata solo su profili di tipo sostanzialmente economico.
6.1.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione degli articoli 96, 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere escluso la condanna per responsabilita’ processuale aggravata ex articolo 96, comma 1, c.p.c. a fronte della temeraria proposta di una domanda – disconoscimento di paternita’ – nella chiara consapevolezza della sua infondatezza.
6.2.- Il motivo e’ assorbito
7.- In conclusione, fondati i motivi primo, secondo, quarto e quinto, assorbiti i motivi terzo e sesto, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Bolzano in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per la statuizione sulle spese anche del presente grado.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bolzano in diversa composizione anche per le spese;
– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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