Risoluzione di diritto. Diffida – Clausola risolutiva – Termine essenziale

Risoluzione di diritto. Diffida – Clausola risolutiva espressa – Termine essenziale

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La risoluzione

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La risoluzione

Introduzione

 

          La risolubilità si verifica quando il programma contrattuale non é più in grado di svolgere la propria funzione che é quella di assicurare il soddisfacimento degli interessi contrastanti composti nel regolamento contrattuale.

          In linea generale la risoluzione può essere definita come un rimedio concesso ai contraenti al fine di sciogliere retroattivamente il vincolo contrattuale in alcune ipotesi nelle quali, ad opera di circostanze estranee e sopravvenute (causate dal comportamento delle parti o da eventi non imputabili, né prevedibili), non funziona più il sinallagma, vale a dire la corrispettività tra le due prestazione.

          Essa, perciò, é ammessa solo per i contratti a prestazioni corrispettive.

          Si determina una alterazione della causa del contratto (es. lo scambio in cui questa consiste non può più compiersi) e si parla di difetto funzionale che si manifesta in sede di esecuzione del contratto e investe il rapporto contrattuale comportando la risoluzione del contratto (a differenza del difetto genetico, che é la mancanza originaria della causa o la sua illiceità che investe il contratto e comporta nullità, annullamento o dichiarazione di inefficacia).

          Inoltre va inquadrata nel più vasto fenomeno dell’inefficacia al quale appartengono anche la nullità, l’annullabilità e la rescissione.

          La risoluzione mira a riequilibrare la posizione economica – patrimoniale dei contratti eliminando (con efficacia ex tunc) non già il contratto ma piuttosto i suoi effetti.

          La risoluzione pertanto incide non sull’atto ma sul rapporto, cioé sulla situazione giuridica che consegue alla stipula del contratto.

  • Il fondamento

Prevale in dottrina[1] la teoria del difetto funzionale della causa.

La causa, si afferma, pur esistendo originariamente, può non realizzarsi in conformità della volontà negoziale per circostanze sopravvenute perché assume un particolare rilievo nei contratti con prestazioni corrispettive.

Questa mancanza funzionale della causa può essere totale (inadempimento, impossibilità sopravvenuta totale della prestazione) o parziale (impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione, eccessiva onerosità sopravvenuta).

  • Il potere di risoluzione

Ha natura potestativa, categoria che si ha quando il potere del soggetto é allo stato puro, nel senso che gli é dato d’incidere sulla sfera del soggetto passivo prescindendo dal comportamento di quest’ultimo, che non può e non deve fare nulla se non, semplicemente, soggiacere alle conseguenze dell’altrui dichiarazione di volontà.

Per la S.C.[2] nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, vendita), quando sia sorto a favore della parte adempiente il diritto potestativo alla risoluzione del contratto, l’inadempiente non può paralizzare tale diritto mediante il suo tardivo adempimento (ancorché precedente alla proposizione della domanda di risoluzione) — salva, in ogni caso, la valutazione del giudice della non scarsa importanza dell’inadempimento — perché, altrimenti, gli si consentirebbe di effettuare utilmente la prestazione tardiva e con essa di modificare a suo arbitrio, e senza il concorso dell’altra parte, la situazione giuridica a lui sfavorevole, dal medesimo determinata.

 

 

La Risoluzione di diritto

 

Si ottiene senza una necessaria pronuncia giurisprudenziale avente carattere costitutivo.

Il fondamento di tale diritto – si ritrova nell’autonomia delle parti per ovviare ad uno stato di lunga incertezza dovuto alla proposizione della domanda di risoluzione giudiziale, il quale può comportare, come é ovvio, un notevole danno, soprattutto in questa epoca dove gli scambi commerciali si basano sulla celerità delle prestazioni.

 

1) Diffida ad adempiere

[3]

 

art. 1454 c.c.  diffida ad adempiere: alla parte inadempiente   l’altra   può   (1° elemento) intimare per iscritto di adempiere  (2° elemento) in un congruo termine, con  (3° elemento) dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto.

Il termine non può essere inferiore a 15 giorni, salvo diversa pattuizione della parti o salvo, che per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine diverso.

Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo é risoluto di diritto (significa soltanto che la pronuncia giudiziale ha carattere meramente dichiarativo).

 

  • Ha carattere negoziale

Si tratta più precisamente di un negozio unilaterale recettizio e revocabile che pretende la forma scritta.

Per la S.C.[4], la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioé, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida é stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime «a priori» nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e «a posteriori» nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’art. 1454 c.c..

  • LA DIFFIDA DEVE CONTENERE  3 ELEMENTI –

Premesso che vi deve essere l’adempimento del creditore, poiché dalla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) rimasta infruttuosa non scaturisce la risoluzione del contratto quando anche il diffidante sia inadempiente perché, per il principio inadimpleti non est adimplendum, sancito dall’art. 1460 c.c., l’inadempimento del diffidente priva di giuridica rilevanza quello del diffidato[5].

 

1)   l’intimazione di adempimento

2)   la fissazione di un termine

La regola secondo cui il termine concesso al debitore con la diffida ad adempiere, cui é strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, non può essere inferiore a quindici giorni, non é assoluta, potendosi assegnare a norma dell’art. 1454, comma secondo, c.c., un termine inferiore ritenuto congruo per la natura del contratto e per gli usi. L’accertamento della congruità del termine costituisce un giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici[6].

La valutazione in ordine alla congruità del termine assegnato dal creditore al debitore con la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. va compiuta con esclusivo riferimento alla diffida stessa e al periodo in essa indicato, senza che possa avere rilievo il fatto che in precedenza vi siano state altre diffide rimaste infruttuose[7].

Anche se con una pronuncia più recente la medesima Cassazione[8] ha affermato che il giudizio sulla congruità del termine di quindici giorni previsto dall’art. 1454 c.c. non può essere unilaterale ed avere ad oggetto esclusivamente la situazione del debitore, ma deve prendere in considerazione anche l’interesse del creditore all’adempimento ed il sacrificio che egli sopporta per l’attesa della prestazione; ne consegue che la valutazione di adeguatezza va commisurata – tutte le volte in cui l’obbligazione del debitore sia divenuta attuale già prima della diffida – non rispetto all’intera preparazione all’adempimento, ma soltanto rispetto al completamento di quella preparazione che si presume in gran parte compiuta.

Inoltre, la diffida ad adempiere, che non prefigga il preciso termine entro cui il contraente inadempiente deve adempiere sotto pena di risoluzione del contratto, é in contrasto con il precetto dell’art. 1454 c.c., in quanto determina nel diffidato una situazione di incertezza obbiettiva, impedendogli di giudicare se il termine stesso sia congruo — come la legge prescrive — ed esaurendosi, in sostanza, nella pretesa che spetti soltanto al contraente adempiente di giudicare ex post se la prestazione dell’altro contraente successiva alla diffida, ove si verifichi, ottemperi o meno alla diffida medesima quanto al termine di adempimento[9].

Il termine decorre dal momento della ricezione della diffida.

In pendenza del termine, il creditore non può chiedere né l’adempimento (logicamente giudiziale), né la risoluzione, né può procedere ad esecuzione forzata, salvo che il debitore non dichiari per iscritto di non voler adempiere. Difatti poiché deve considerarsi inadempiente il contraente che, in pendenza del termine, abbia manifestato in modo certo ed inequivoco di non voler eseguire la sua obbligazione, nulla vieta che, in costanza di tale comportamento, l’altra parte possa avvalersi della diffida ad adempiere prevista dall’art. 1454 c.c. anche prima della scadenza pattuita, per conseguire quegli effetti risolutori che derivano dalla suddetta norma[10].

Una volta notificata la diffida, il creditore non può più revocarla né modificarla[11], nemmeno rinnovando il termine, poiché si deve considerare anche l’interesse del debitore alla certezza della situazione venutasi a creare; cosicché l’effetto risolutorio, in caso d’inadempimento, é bensì inevitabile, ma egli può però rinunziarvi (la diffida ad adempiere é un atto che resta nella piena disponibilità dell’intimante, il quale può non solo decidere a priori se effettuarla o meno, ma ben può, a posteriori, rinunciare ad avvalersi dell’effetto risolutivo ad essa connesso[12]); di contro, altro autorevole autore[13], sostiene, che finché non é scaduto il termine assegnato dal creditore, questi può sempre revocare la diffida ovvero modificarla, prorogando il termine, in quanto l’interesse del debitore alla certezza della situazione non può conferirgli l’ulteriore pretesa alla risoluzione del contratto, ossia la pretesa ad un rimedio che é previsto nell’interesse esclusivo del creditore). Per la S.C.[14] la diffida ad adempiere, intimata a norma dell’art. 1454 c.c., ha l’effetto di rimettere in termini il debitore fino alla data assegnata con la diffida medesima, con la conseguenza che il suo inadempimento può essere dedotto a sostegno di una successiva domanda di risoluzione del contratto solo quando si sia protratto oltre quella data.

3)   La menzione della risoluzione del contratto in caso di mancato adempimento nel termine suddetto.

In merito alla forma per la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c., la legge non prescrive speciali requisiti di forma, dovendosi avere riguardo solamente agli effetti sostanziali, che consistono nel porre il contraente in condizione di conoscere con chiarezza che la controparte intende che il contratto sia tempestivamente adempiuto, e nel concedergli un termine congruo per l’adempimento non inferiore a quindici giorni[15].

Ma per altra pronuncia più restrittiva[16] la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. esige la manifestazione univoca della volontà dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento entro un certo termine. Non é pertanto sufficiente per produrre l’effetto risolutivo del rapporto costituito fra le parti, previsto dalla norma richiamata, la manifestazione della generica intenzione «di agire in tutte le sedi più opportune», senza specificare se si intenda ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto.

Principio, in realtà, già sancito in un’altra massima[17] secondo la quale la diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, esige comunque la manifestazione in modo inequivocabile della volontà dell’intimante, da un lato, di ottenere l’adempimento del contratto entro un certo termine e, dall’altro, di considerare risolto il contratto stesso come effetto dell’inutile decorrenza del termine.

In realtà, però, con una massima[18] recente é stato affermato che non determina la risoluzione del contratto la diffida con la quale un contraente intimi all’altro di adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto.

Logicamente qualora la parte adempiente, dopo aver ritualmente intimato alla controparte diffida ad adempiere non domandi la risoluzione di diritto, per l’inutile decorso del termine assegnato, ma proceda ad una nuova diffida con assegnazione di un nuovo termine, detta risoluzione di diritto può essere riscontrata solo quale effetto della seconda diffida, e, quindi, a condizione che la stessa sia valida anche in relazione alla congruità del termine, mentre resta esclusa l’operatività della prima diffida, in conseguenza della successiva iniziativa del creditore[19].

Bisogna, poi, precisare, come da ultima sentenza della Cassazione[20], che l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità ai sensi dell’articolo 1455 c.c. dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine, secondo un criterio che tenga conto, sia dell’elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell’economia generale del contratto, sia degli aspetti soggettivi rilevabili tramite un’indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull’interesse del creditore all’esatto e tempestivo adempimento.

Per altra pronuncia[21] anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto, conseguente a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice é tenuto comunque a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l’inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 c.c., e, sotto il profilo soggettivo, l’operatività della presunzione di responsabilità del debitore inadempiente fissata dall’art. 1218 c.c., la quale, pur dettata in riferimento alla responsabilità per il risarcimento del danno, rappresenta un principio di carattere generale.

Invece altra pronuncia, ancora della medesima Corte[22], ha stabilito che in tema di diffida ad adempiere, avuto riguardo alla lettera della norma di cui all’art. 1454 c.c. e considerato che la stessa non menziona in alcun modo l’importanza dell’inadempimento, neppure con un semplice rinvio formale alla previsione di cui all’art. 1455 c.c., se ne deve dedurre che il grave inadempimento non assurge ad elemento essenziale della risoluzione di diritto per diffida ad adempiere, al pari di quanto accade nelle altre due ipotesi di risoluzione per clausola espressa e per termine essenziale, essendo presupposto imprescindibile della sola risoluzione giudiziale.

 2) Clausola risolutiva espressa

[23]

art. 1456 c.c. clausola risolutiva espressa: i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.

In questo caso la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola.

  • Natura della clausola

Di recente il tribunale Meneghino[24] ha avuto modo di precisare che la clausola risolutiva espressa, costituisce, dal punto di vista generale, una deroga alle regole in tema di risoluzione per inadempimento, consentendo di superare il limite dell’inadempimento qualificato tale di particolare gravità e di non scarsa rilevanza avuto riguardo all’interesse della parte non inadempiente, la cui operatività consente di porre termine al rapporto con effetto immediato in caso di inadempimento anche di una sola delle obbligazioni ivi indicate, prescindendo dalla gravità dell’inadempimento, la quale si presume per il solo fatto dell’inserimento della obbligazione nella clausola. Tale prescrizione, pertanto, non rientra tra le clausole vessatorie e, conseguentemente, non necessita di essere posta in doppia sottoscrizione al fine di garantirne la validità, anche perché l’elenco delle clausole vessatorie di cui all’art. 1341, comma secondo, c.c. ha carattere tassativo e, di conseguenza, la norma non é suscettibile di applicazione analogica, ma solo di interpretazione estensiva all’interno dei tipi di clausole dalla stessa già indicate.

La clausola risolutiva espressa, pertanto, attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza, sicché la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato non può essere pronunziata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere (Cass. 1-8-2007 n. 16993; Cass. 5-1-2005 n. 167, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 ottobre 2014, n. 20854).

Di regola la clausola risolutiva formerà parte dello stesso contratto, ma altre volte può essere stabilita con un atto autonomo, che dovrà rivestire la stessa forma del contratto a cui si riferisce.

Le parti devono specificare quale o quali sono le obbligazioni che devono essere adempiute, pena la risoluzione.

Anche se per ultima Cassazione[25] la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

Se l’indicazione invece é generica o addirittura il riferimento é al complesso delle pattuizioni, la clausola non avrà alcun valore in quanto di mero stile.

Infatti, per la S.C.[26], é priva di efficacia in quanto «di stile» la clausola risolutiva espressa redatta in termini generici, ossia non già con riferimento a specifiche inadempienze ma alla violazione di uno qualsiasi dei patti contrattuali, poiché simile clausola nulla aggiunge alle norme degli artt. 1453 e 1455 c.c., onde, per pronunciare la risoluzione, il giudice deve accertare la non scarsa importanza dell’inadempimento.

 

La risoluzione inoltre non é automatica, non consegue cioé de iure al mancato adempimento, ma é necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola.

Difatti, poi, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 c.c., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, differisce sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui all’art. 1456 c.c., tendente ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo (nel caso di specie, mancata stipula del contratto definitivo nel termine convenuto) previsto dalle parti come determinante per la sorte del rapporto. Ne consegue che, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 c.p.c.[27]

Inoltre, le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457[28] c.c. (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione[29].

Nell’ambito di queste clausole rientrano sia –

A)        la condizione risolutiva in senso tecnico (art. 1353 c.c.) – con notevoli differenze – la condizione in senso tecnico produce automaticamente  (mentre nella clausola c’é bisogno della dichiarazione) i suoi effetti rotroattivi reali (mentre nella clausola gli effetti sono obbligatori, quindi limitati solo alle parti) cioé si esplica  anche nei confronti dei terzi.

In merito per ultima Cassazione, già richiamata in precedenza,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 ottobre 2014, n. 20854

Lo stabilire se nel caso concreto sussista una condizione risolutiva o una clausola risolutiva espressa dipende dalla interpretazione della volontà delle parti, rimessa al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nella misura in cui sia informata ad erronei criteri giuridici o non sorretto da una motivazione logicamente adeguata.

B)        la facoltà di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.)

C)        la risoluzione di un atto di liberalità per inadempimento del modus.

  • Natura della dichiarazione

     

É unilaterale, recettizia, non formale secondo autorevole opinione[30] e per la giurisprudenza  dominanti, secondo le quali la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa può essere manifestata in ogni valido modo idoneo, anche implicito, purché in maniera inequivocabile, e tale non può ritenersi il generico richiamo al contratto, pur se contenente tale clausola[31], ancora, con manifestazione volontaria recettizia che, in assenza di espressa previsione formale, può essere resa in ogni modo idoneo, anche implicito, purché inequivocabile, ed in particolare può essere contenuta anche in un atto giudiziale, senza che ne sia in tal caso necessaria la preventiva formulazione in via stragiudiziale[32].

Infine[33], la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, ma non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò é avvenuto oltre i termini previsti nel contratto per l’adempimento, atteso che fino a quando il creditore non dichiari di volersi avvalere della detta clausola il debitore può adempiere, seppure tardivamente, la sua obbligazione.

Mentre per altri autori[34] é preferibile avvalersi di una clausola risolutiva che abbia la stessa forma del contratto di cui si chiede, appunto, la risoluzione e ciò per il più volte citato principio di simmetria che involge i negozi accessori) ed ha natura negoziale.

In merito le Sezioni Unite[35] hanno affermato che con riguardo a contratto di pubblica fornitura, la deliberazione dell’amministrazione di risoluzione del rapporto, che venga adottata invocando una clausola risolutiva espressa, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1456 c.c., integra atto di natura negoziale, sicché la controversia inerente a tale risoluzione non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario.

Non é necessario che la dichiarazione richiesta dall’art. 1456, secondo comma, c.c., per la risoluzione di diritto del contratto, sia fatta dalla parte fuori del giudizio e prima di questo, ben potendo essa essere contenuta nell’atto introduttivo del giudizio[36].

Sempre  ai fini processuali, poi, non può dunque essere pronunciata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola é stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d’ufficio dal giudice[37].

  • Rinunzia alla facoltà di avvalersi della clausola

     

 

Tale rinunzia può essere espressa ma anche conseguente ad un comportamento inequivoco incompatibile con la volontà di risolvere il contratto.

Così come previsto dalla Cassazione[38] secondo la quale nel caso in cui la parte interessata non si limiti ad un comportamento di mera tolleranza di fronte all’inadempimento, ma rinunci, sia pur implicitamente, alla possibilità di avvalersi di tale clausola, una successiva dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa in relazione a quello stesso inadempimento non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell’atto introduttivo del relativo giudizio.

La tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo) non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né é sufficiente ad integrare una tacita rinuncia od avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento; la tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti (Fattispecie relativa a mancato pagamento di canoni di contratto di «leasing», nonostante solleciti di pagamento)[39].

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 ottobre 2013, n. 24564

in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento

É bene precisare, che la clausola risolutiva espressa, resa inoperante dalla abituale tolleranza del creditore nel procrastinare il termine di esecuzione della prestazione dedotta in contratto, riprende la sua efficacia se il creditore stesso, provvede con una nuova manifestazione di volontà a richiamare il debitore all’esatto adempimento della sua obbligazione[40].

La sua rinuncia tacita da parte del creditore costituisce atto di volontà abdicativa, ancorché la volontà stessa venga manifestata, anziché espressamente, mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto. Ne consegue che l’indagine del giudice diretta ad accertarne l’esistenza, implicando sostanzialmente la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere effettuata in modo che non residui alcun ragionevole dubbio sulla effettiva intenzione dell’asserito rinunziante[41].

  • Non occorre la valutazione della gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.

     

In senso generale per la S.C.[42] quando la risoluzione del contratto si verifica di diritto a seguito della dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, la valutazione dell’incidenza dell’inadempimento sull’intero contratto é stata già compiuta dalle parti, la cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra singoli inadempimenti considerati nella clausola e risoluzione dell’intero contratto, con la conseguenza che tale collegamento non può più essere contestato né ai fini dell’accertamento giudiziale sull’avvenuta risoluzione, né agli effetti del risarcimento del danno, che va ricondotto al venire meno dell’intero contratto, e non limitato al singolo inadempimento considerato nella clausola risolutiva espressa. Tantomeno, per pervenire ad una riduzione dei danni risarcibili, può essere invocato l’art. 1227 c.c., in quanto, poiché la legge riconosce al contraente adempiente il potere di provocare la risoluzione del contratto, non può nella stessa condotta essere ravvisato un fatto colposo, ovvero il mancato impiego dell’ordinaria diligenza.

art.  1227 c.c.    concorso del fatto colposo del creditore: se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento [2056] é diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate [2055]

Il risarcimento non é dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza [1175, 2056].

La risoluzione di diritto del contratto conseguente all’applicazione di una clausola risolutiva espressa postula non soltanto la sussistenza, ma anche l’imputabilità dell’inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, non incide, per converso, sugli altri principi regolatori dell’istituto della risoluzione, né, in particolare, configura un’ipotesi di responsabilità senza colpa, onde, difettando il requisito della colpevolezza dell’inadempimento, la risoluzione non si verifica né, di conseguenza, può in alcun modo essere legittimamente pronunciata[43].

In altri termini l’apposizione di una clausola risolutiva espressa se elimina l’indagine circa l’importanza di un determinato inadempimento, che é invece ordinariamente richiesta dall’art. 1455 c.c. per la pronuncia costitutiva della risoluzione, non comporta la necessaria conseguenza dello scioglimento del contratto a seguito del fatto oggettivo dell’inadempimento dell’obbligazione, essendo sempre necessario, giusta il disposto dell’art. 1218 c.c., l’accertamento che l’inadempimento sia imputabile almeno a titolo di colpa al debitore, come nel caso in cui il creditore abbia con univoca manifestazione di volontà richiamato il debitore all’esatto soddisfacimento della sua prestazione[44].

Utima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 ottobre 2014, n. 21836

la non si è affatto discostata dal principio, costantemente affermato da questa Corte, ha affermato che la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ. postula non soltanto la sussistenza, ma anche l’imputabilità dell’inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento del contratto rende superflua l’indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, ma non incide sugli altri principi che disciplinano l’istituto della risoluzione, né da luogo, in particolare, ad un’ipotesi di responsabilità senza colpa, sicché, difettando il requisito della colpevolezza dell’inadempimento, la risoluzione non si verifica e non può dunque essere legittimamente dichiarata (cfr. Cass., Sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2553; 5 agosto 2002, n. 11717; Cass., Sez. II, 14 luglio 2000, n. 9356).

 

art. 1218 c.c.  responsabilità del debitore: il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta [1176, 1181] é tenuto al risarcimento del danno [1223 ss.], se non prova che l’inadempimento o il ritardo é stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile [1221, 1229, 1256, 1257, 1307, 1557, 1558, 1673, 1693, 1821, 2740; disp.att. 160].

Per altra pronuncia[45] ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, in presenza di clausola risolutiva espressa, pur se la colpa del contraente inadempiente si presume, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il giudice non é tenuto solo a constatare che l’evento previsto dalla detta clausola si sia verificato, ma deve esaminare, con riferimento al principio della buona fede, il comportamento dell’obbligato, potendo la risoluzione essere dichiarata solo ove sussista (almeno) la colpa di quest’ultimo.

La valutazione del comportamento dell’obbligato compiuta dal giudice di merito, involgendo un apprezzamento di fatto, é incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logici ed errori di diritto.

  • Prescrizione

 

Il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell’inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa (art. 1456, secondo comma, c.c.), é soggetto a prescrizione ai sensi dell’art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l’inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall’art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioé con il verificarsi dell’inadempimento[46].

 

art. 2934 c.c.   estinzione dei diritti: ogni diritto si estingue per prescrizione [disp.att. 252], quando il titolare non lo esercita per il tempo [2962, 2963] determinato dalla legge [12422].

Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge [2482, 2492, 2633, 2701, 5332, 9483, 11111, 1422, 1865, 1869].

3) Termine essenziale

[47] 

 

art. 1457 c.c.    termine essenziale per una delle parti: se il termine fissato per la prestazione di una della parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso  contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro 3 giorni.

In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto (significa soltanto che la pronuncia giudiziale ha carattere meramente dichiarativo)  anche se non é stata espressamente pattuita la risoluzione.

 

  • Automaticità della risoluzione

     

Scaduto il termine essenziale, senza che l’obbligazione sia stata adempiuta, il contratto é risolto di diritto anche se il contraente adempiente non abbia intimato diffida ad adempiere, essendo questa prevista dall’art. 1454 c.c.[48] solo nel caso in cui il termine di adempimento non sia indicato in contratto[49].

Diversamente dalla clausola risolutiva e della diffida ad adempiere, ma l’effetto risolutorio può essere evitato da una espressa dichiarazione del creditore, il quale comunichi, entro il termine di decadenza di 3 giorni, il proprio interesse ad un adempimento tardivo con  una dichiarazione espressa.

Per ultima pronuncia del Tribunale Milanese[50] in materia di contratti, l’essenzialità del termine rileva ai soli fini dell’operatività del meccanismo di risoluzione automatica ex art. 1457 c.c., senza che ciò implichi l’irrilevanza del termine, per così dire, semplice, ovvero non essenziale, atteso che il mancato rispetto di quest’ultimo determina, ad ogni modo, un inesatto adempimento dell’obbligazione, comportando l’insorgere di responsabilità per danni ex art. 1218 c.c.

Ciò detto, laddove (come accaduto nel caso concreto analizzato in sentenza), ad esempio, in un contratto preliminare di vendita, la parte promittente venditrice si sia impegnata ad ultimare e consegnare l’immobile oggetto di compravendita entro una data, e non sia poi riuscita a rispettare tale impegno, a prescindere dall’essenzialità o meno del termine, quest’ultima deve considerarsi inadempiente, specie se non ha neppure fornito la prova di non aver potuto adempiere per impossibilità della prestazione. Ed infatti, qualora una delle parti contrattuali agisca giudizialmente lamentando l’inadempimento dell’altra parte, su quest’ultima, quale debitrice-convenuta grava l’onere di fornire la prova dell’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione, o di non aver potuto adempiere all’obbligazione per cause alla stessa non imputabili. Del resto, tale regola di ripartizione dell’onere probatorio implica la soccombenza della parte convenuta anche in caso di prova perplessa, ovvero di mancato raggiungimento univoco della prova medesima nei termini innanzi descritti.

Ai fini processuali, poi, pur in presenza dell’inutile decorso di un termine essenziale, é sempre necessaria la domanda di parte affinché possa pronunciarsi la risoluzione di un contratto.

Invero l’espressione «di diritto», usata in proposito dalla norma dell’art. 1457, secondo comma, c.c., significa soltanto che la pronunzia giudiziale relativa ha carattere meramente dichiarativo della risoluzione stessa e che, quindi, i suoi effetti rimontano al tempo, in cui si é verificato l’evento, e non già che a tale pronuncia il giudice possa provvedere d’ufficio[51].

Il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto, se l’inadempimento non sia imputabile all’obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata prestazione dell’altra parte, divenuta temporaneamente impossibile. In tal caso, infatti, l’obbligato può invocare l’exceptio inadimpleti contractus, restando per la temporanea impossibilità sospeso il termine essenziale[52].

In altre parole il requisito della colpa, nell’ipotesi di mancata osservanza del termine essenziale, non opera come elemento costitutivo della fattispecie risolutiva del contratto, ma solo come elemento eventualmente impeditivo, nel senso che nell’ipotesi di adempimento che richiede la cooperazione di entrambi i contraenti, sorge a carico di chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l’onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l’adempimento non fu possibile[53].

  • Dichiarazione espressa entro 3 giorni

A carattere negoziale ed in forma libera.

  • Rinuncia al termine essenziale

Qualora siano trascorsi i tre giorni entro i quali, a norma dell’art. 1457 c.c. la parte deve dare notizia all’altra di esigere l’esecuzione del contratto nonostante la scadenza del termine essenziale, la rinuncia ad avvalersi dello stesso (e di ritenere, pertanto, il contratto risoluto di diritto) può risultare anche implicitamente, dai comportamenti tenuti dalla parte interessata, purché siano assolutamente incompatibili con la volontà di giovarsene. In relazione, in particolare, al termine essenziale previsto, nell’ambito di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, per la stipula del definitivo, integrano comportamenti contrari alla volontà di far valere la scadenza del termine essenziale: la presentazione delle pratiche catastali, il coinvolgimento, tramite contatto, del notaio per provvedere al rogito, nonché la corrispondenza con la quale l’acquirente solleciti il venditore a pervenire alla stipula del definitivo anche paventando la possibilità (nonostante il termine essenziale sia ampiamente scaduto) di chiedere l’emissione di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (con ciò manifestando evidentemente la convinzione di ritenere ancora valido e vincolante il preliminare recante il termine essenziale perito)[54].

Principio già espresso dalla S.C.[55] secondo la quale, in senso più generale, in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il contraente non inadempiente, così come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto o della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere e può anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento.

  • Effetti della risoluzione per inosservanza del termine

[56]

 

Si discute in dottrina in ordine al momento in cui il contratto deve ritenersi risolto:

A)          Per autorevole autore[57] – come stabilito dall’art. 1453, la risoluzione consegue pertanto al trascorrere dei 3 giorni (si ha semplicemente una sospensione dell’adempimento da parte del debitore) senza che il creditore abbia manifestato il proprio interesse all’adempimento.

B)          altra parte della dottrina[58] ritiene invece che il contratto si risolve al momento dell’inadempimento. Cosicché la successiva dichiarazione di interesse all’adempimento pone nel nulla l’effetto risolutorio facendo rivivere il rapporto contrattuale già sciolto.

Inoltre per la S.C.[59] la dichiarazione del debitore di non volere adempiere equivale a inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto, l’immediatezza della quale evita un aggravio della posizione del debitore stesso. Tale principio opera anche quando l’obbligazione sia sottoposta ad un termine essenziale non ancora scaduto, poiché anche in tal caso presupposto della risoluzione é l’inadempimento, equiparato alla dichiarazione di non voler adempiere, ed é dal momento di tale dichiarazione che il contratto deve considerarsi risolto.

 

  • L’essenzialità del termine

     

 

Può essere desunta alternativamente soggettivamente oppure oggettivamente, poiché in tema di indagine sulla essenzialità del termine per adempiere, qualora detta essenzialità risulti prevista dalla volontà delle parti, rimane irrilevante ogni accertamento sull’oggettivo interesse del creditore all’osservanza di quel termine[60].

1)   essenzialità soggettiva

Volontà dei contraenti, che risulta da una dichiarazione espressa o tacita dei contraenti.

Le parti, in altri termini, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono stabilire che debba essere eseguita con piena puntualità una prestazione che, oggettivamente considerata, potrebbe anche essere eseguita con notevole ritardo.

2)   essenzialità oggettiva

Dalla natura del contratto o dalle modalità della prestazione. Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata[61].

Il termine essenziale, per sua natura, postula necessariamente che la scadenza sia esattamente individuata o individuabile, non essendo sufficiente che essa sia determinata o determinabile in modo soltanto approssimativo[62].

La relatività e la variabilità insite nel tempo occorrente allo svolgimento di un’attività, specie quando questa sia complessa, sono inconciliabili con la natura del termine essenziale[63].

Orbene il termine per adempiere, la cui scadenza non sia con rigore determinata o che abbia carattere puramente indicativo, non riveste gli estremi dell’essenzialità, in senso tecnico, tale cioé da implicare, se non osservato, la risoluzione ipso iure del contratto ai sensi dell’art. 1457 c.c. e sebbene sia configurabile, pure in difetto di una qualificazione espressa in contratto, una essenzialità tacita in presenza di elementi i quali facciano ritenere che senza la stretta osservanza del termine le parti non sarebbero addivenute alla conclusione del contratto stesso, essa deve tuttavia essere insita nel contratto, non potendosi a tali effetti valorizzare ex post comportamenti di una delle parti[64].

  • La rinnovazione del termine

In ogni caso il termine essenziale può bensì essere rinnovato dalla parte interessata, ma prima della scadenza dei tre giorni, perché altrimenti il contratto é già risolto e non può rivivere.

Poiché l’art. 1457 c.c. — in tema di proroga del termine essenziale per l’adempimento — assegna al contraente fedele, che voglia ottenere l’adempimento, ancorché tardivo, l’onere di darne avviso alla controparte entro tre giorni, intendendosi altrimenti il contratto risoluto di diritto, la dichiarazione da esso effettuata oltre i tre giorni di volere esigere l’esecuzione nonostante la scadenza (ovvero il di lui comportamento concludente in tal senso) non comporta proroga del termine con l’eliminazione degli effetti dell’inadempimento, venendo essa ad incidere su un contratto ormai irrimediabilmente risolto[65].

  • Rapporti e differenze con l’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c.

Le azioni di risoluzione contrattuale previste dagli artt. 1453 e 1457 c.c. sono ontologicamente diverse sia per causa petendi sia per petitum.

Infatti l’azione di risoluzione disciplinata dall’art. 1453 c.c. tende a una pronuncia costitutiva che comporta la caducazione del contratto ex nunc, anche se con effetto retroattivo, nel presupposto di un inadempimennto la cui non scarsa importanza deve essere verificata dal giudice, mentre l’azione di risoluzione ex art. 1457 c.c. é diretta ad ottenere l’accertamento della cessazione di un rapporto negoziale già avvenuta ex tunc, in seguito all’inutile scadenza del termine essenziale, convenzionalmente predeterminato dalle parti, quale ragione di per sé sufficiente a dare luogo alla risoluzione[66].

L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un’obbligazione contrattuale, pur impedendo la configurabilità della risoluzione di diritto, in mancanza di una diffida ad adempiere, non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza e cioé se il ritardo, imputabile al debitore anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, superi ogni ragionevole limite di tolleranza[67].

 

  • Rapporti e differenze con la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.

[68]

 

Le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457 (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione[69].

Anche se la previsione di un termine essenziale in un contratto ad effetti obbligatori non é incompatibile con l’inserimento nel medesimo contratto di una clausola risolutiva espressa, né la scadenza del termine essenziale paralizza per contraddizione gli effetti della clausola, con la conseguenza che il creditore può tanto avvalersi di detta clausola, ai fini della dichiarazione della risoluzione di diritto del contratto, quanto rinunciare all’effetto risolutivo ed esigere l’adempimento[70].

  • Clausola penale e caparra

  [71]

La pattuizione di una clausola penale é compatibile con la previsione di un termine non essenziale per l’adempimento della prestazione, in conseguenza della diversa funzione ed operatività del rapporto contrattuale, poiché mentre il termine di adempimento riguarda il momento in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, la clausola penale si configura solo come mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell’eventuale inadempimento e costituisce una concordata liquidazione anticipata del danno derivatone, indipendentemente dalla prova della sua effettiva esistenza[72].

Il recesso previsto dal secondo comma dell’art. 1385 c.c.[73], presupponendo l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, configura uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelle di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Al fenomeno risolutivo, infatti, lo collegano sia i presupposti, rappresentati dall’inadempimento dell’altro contraente, che deve essere gravemente colpevole e di non scarsa importanza, sia le conseguenze, ravvisabili nella caducazione “ex tunc” degli effetti del contratto[74].

Su tale punto, ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 aprile 2013, n. 10183

ha affermato che il principio di cui al comma 2 dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi (cfr, ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto forma di clausola penale.

 

NOTE


[1] Santoro – Passarelli – Mirabelli – Trabucchi – Scognamiglio

[2] Corte di Cassazione, sentenza  20-3-89, n. 1391

[3] Vedi par.fo 3) Termine essenziale

[4] Corte di Cassazione, sentenza  23315 del 8-11-2007. Principio confermato da ultima sentenza della Cassazione, per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 marzo 2012, n. 3477  . La diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida è stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime a priori nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e a posteriori nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’art. 1454 cod. civ.

[5] Corte di Cassazione, sentenza  4-5-94, n. 4275

[6] Corte di Cassazione, sentenza  1-9-90, n. 9085. Confermato anche da ultima sentenza della Cassazione

Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 novembre 2012, n. 19105   La regola secondo cui il termine concesso al debitore con la diffida ad adempiere, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, non può essere inferiore a quindici giorni, non è assoluta, potendosi assegnare, a norma dell’art. 1454 comma secondo c.c., un termine inferiore ritenuto congruo per la natura del contratto e per gli usi. L’accertamento della congruità dei termine costituisce un giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici (Cass. 1-9-1990 n. 9085).

[7] Corte di Cassazione, sentenza  18-5-87, n. 4535

[8] Corte di Cassazione, sentenza  8250 del 6-4-2009. Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che – essendo passata in giudicato una sentenza di cui all’art. 2932 cod. civ. che subordinava l’effetto traslativo della compravendita al pagamento del residuo prezzo – aveva ritenuto incongruo il termine di quindici giorni concesso al debitore, non considerando che la diffida ad adempiere era stata notificata dal creditore oltre quattro mesi dopo il passaggio in giudicato della sentenza, e che nel frattempo il debitore aveva il dovere di attivarsi nella preparazione dell’adempimento

[9] Corte di Cassazione, sentenza  30-1-82, n. 590

[10] Corte di Cassazione, sentenza  27-7-73, n. 2210

[11] Gazzoni – Mirabelli

[12] Corte di Cassazione, sentenza  3-4-79, n. 1890

[13] Bianca

[14] Corte di Cassazione, sentenza  27-6-85, n. 3867

[15] Corte di Cassazione, sentenza  29-6-79, n. 3679. (Nella specie, si è ritenuta la validità dell’atto di diffida sottoscritto dal difensore, in quanto questi aveva dichiarato di agire come da incarico della cliente, e, quindi, in nome e per conto della stessa).

[16] Corte di Cassazione, sentenza  11-5-90, n. 4066

[17] Corte di Cassazione, sentenza  5-4-82, n. 2089

[18] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 23 novembre 2012, n. 20742

[19] Corte di Cassazione, sentenza  25-11-83, n. 7079. Conforme Corte di Cassazione, Sezione 6 civile
Ordinanza 6 luglio 2011, n. 14877. In caso di reiterazione di atti di diffida ad adempiere, il termine previsto dall’art. 1454 cod. civ. decorre dall’ultimo di essi, con la conseguenza che lo spatium agendi di quindici giorni, che necessariamente deve intercorrere tra il ricevimento della diffida e l’insorgenza della fattispecie risolutoria, deve essere rispettato a far data dall’ultima diffida.

[20] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2217

[21] Corte di Cassazione, sentenza  5407 del 13-3-2006, conforme, Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 29 novembre 2012, n. 21237. Anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 cod. civ.

[22] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 agosto 2011, n. 17337

[23] Vedi par.fo E) punto 1) Eccezione di inadempimento – pag. 74 –  aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[24] Tribunale Milano, Sezione 11 civile, sentenza 5 dicembre 2012, n. 13625. Nella specie, in ogni caso, la clausola risolutiva espressa deve ritenersi senz’altro efficace, sussistendo la specifica sottoscrizione ex art. 1341, comma secondo, c.c., con conseguente legittimità della intimata risoluzione contrattuale alla luce del constatato inadempimento

[25] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 20 dicembre 2012, n. 23624

[26] Corte di Cassazione, sentenza  12-11-81, n. 5990

[27] Corte di Cassazione, sentenza  423 del 12-1-2007

[28] Vedi par.fo 3) Termine essenziale pag. 27  

[29] Corte di Cassazione, sentenza  3-7-2000, n. 8881, (conf. Corte di Cassazione, sentenza  26-11-94, n. 10102).

[30] Gazzoni

[31] Corte di Cassazione, sentenza  8-7-87, n. 5956

[32] Corte di Cassazione, sentenza  167 del 5-1-2005

[33] Corte di Cassazione, sentenza  5-5-95, n. 4911. Corte di Cassazione, sentenza  9275 del 4-5-2005. Conforme In tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art. 1456 cod. civ. non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa per converso manifestarsi, del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato.

[34] Per tutti Capozzi

[35] Corte di Cassazione, Sez. Un. 20-1-89, n. 294

[36] Corte di Cassazione, sentenza  17-5-95, n. 5436.

[37] Corte di Cassazione, sentenza  10935 del 11-7-200

[38] Corte di Cassazione, sentenza  20595 del 22-10-2004

[39] Corte di Cassazione, sentenza 15026 del 15-7-2005

[40] Corte di Cassazione, sentenza  6-12-80, n. 6344

[41] Corte di Cassazione, sentenza  11-10-89, n. 4058. Corte di Cassazione, sentenza  18-6-97, n. 5455. L’operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita — che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto — l’indagine del giudice volta ad accertarne l’esistenza, implicando la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull’effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell’avente diritto — che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l’inadempimento), che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) — non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva.

[42] Corte di Cassazione, sentenza  28-1-93, n. 1029

[43] Corte di Cassazione, sentenza  14-7-2000, n. 9356

[44] Corte di Cassazione, sentenza  4-12-91, n. 13044

[45] Corte di Cassazione, sentenza  17-12-90, n. 11960

[46] Corte di Cassazione, sentenza  27-1-96, n. 635

[47] Vedi par.fo C) – L’adempimento successivo alla domanda di risoluzione (adempimento tardivo) pag. 42 –  aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[48] Vedi 1) Diffida ad adempiere

[49] Corte di Cassazione, sentenza  8-5-80, n. 3047

[50] Tribunale Milano, Sezione 4 civile, sentenza 12 dicembre 2012, n. 13807

[51] Corte di Cassazione, sentenza  31-5-71, n. 1637

[52] Corte di Cassazione, sentenza  5-8-77, n. 3542. Nella specie un provvedimento amministrativo, poi rimosso, aveva temporaneamente impedito l’edificabilità di un terreno, oggetto di un preliminare di vendita, ed il compratore aveva perciò sospeso i pagamenti nei termini stabiliti

[53] Corte di Cassazione, sentenza  30-1-92, n. 1020

[54] Tribunale Monza, Sezione 2 civile, sentenza 25 gennaio 2011, n. 188

[55] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 24 novembre 2010, n. 23824

[56] Vedi par.fo F) Gli Effetti – pag. 88 –  aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[57] Bianca

[58] Mirabelli – Mosco

[59] Corte di Cassazione, sentenza  12-12-75, n. 4089

[60] Corte di Cassazione, sentenza  18-6-80, n. 3874. Corte di Cassazione, sentenza  2-12-96, n. 10751. Il termine per l’adempimento deve ritenersi essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1457 cod. civ., quando ciò risulti da univoca ed espressa volontà delle parti, sia pure con formule non sacramentali, ovvero implicitamente dalla natura e dall’oggetto del negozio; ne consegue che, ove le parti abbiano fatto uso di espressioni specifiche e inequivoche, non è necessario un accertamento ulteriore teso ad escludere (anche sulla base di altri elementi) un interesse all’adempimento oltre il termine previsto. (Nella specie, l’essenzialità del termine era stata espressamente convenuta dalle parti che avevano altresì esplicitamente previsto la risoluzione del contratto in caso di inosservanza del termine).

[61] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 25 novembre 2011, n. 24990. In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 giugno 2011, n. 12296, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25549, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 marzo 2005, n. 5797. Ad esempio secondo la Corte Capitolina, Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 8 novembre 2012, n. 5538, il termine indicato nel preliminare per la stipula del definitivo deve ritenersi essenziale solo qualora le parti lo abbiano espressamente considerato tale e questo suo carattere risulti comunque dal contratto, in considerazione della sua natura o del suo oggetto, quando l’utilità economica avuta presente dalle parti possa essere perduta per effetto dell’inutile decorso di quel termine. Tribunale Roma, Sezione 3 civile, sentenza 26 marzo 2012, n. 6202. Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1457 c.c., soltanto ove, all’esito dell’indagine, istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere compromessa l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del medesimo termine. (Nella fattispecie in esame, acquisto di un’autovettura, il tribunale ha ritenuto che un ritardo di 25 giorni nella consegna, rispetto ad un termine orientativamente previsto di 90, non facesse venir meno l’utilità economica che l’acquirente si era ripromesso di conseguire e, di conseguenza, autorizzato il venditore a trattenere la caparra versata).

[62] Corte di Cassazione, sentenza  26-10-79, n. 5621

[63] Corte di Cassazione, sentenza  14-2-75, n. 566

[64] Corte di Cassazione, sentenza  6-6-83, n. 3823

[65] Corte di Cassazione, sentenza  21-10-85, n. 5167

[66] Tribunale Roma, Sezione 11 civile, sentenza 12 luglio 2011, n. 15004

[67] Corte di Cassazione, sentenza  I, Corte di Cassazione, sentenza  10127 del 2-5-2006

[68] Vedi par.fo 2) Clausola risolutiva espressa pag. 13

[69] Corte di Cassazione, sentenza  26-11-94, n. 10102

[70] Corte di Cassazione, sentenza  22-11-85, n. 5766

[71] Per una maggiore consultazione della clausola penale e della caparra aprire il seguente collegamento on-line  Il rafforzamento degli effetti del contratto; 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) La caparra penitenziale

[72] Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, sentenza 22 settembre 2011, n. 19358

[73] art. 1385 c.c.  caparra confirmatoria: se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.

Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’ esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.

[74] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 6 settembre 2011, n. 18266

Avv. Renato D’Isa

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