Se un provvedimento amministrativo è sorretto da più ragioni

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 16 aprile 2020, n. 2436.

La massima estrapolata:

Se un provvedimento amministrativo è sorretto da più ragioni giustificatrici tra di loro autonome, a sostenere la legittimità dello stesso è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse, con la conseguenza che divengono irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte avverso le altre ragioni opposte dalla pubblica autorità.

Sentenza 16 aprile 2020, n. 2436

Data udienza 19 novembre 2019

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Area demaniale – Diniego di sanatoria – Diniego plurimotivato – Competenza della Provincia – Parere ex art. 32, L. n. 47/1985 – Materiali utilizzati e tipologia – Elementi di degrado tipologico e ambientale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3488 del 2009, proposto da
F.lli Lo. S.n. c. di Lo. e Ma. Lo., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Di Lo. e An. Ma., con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…);
contro
Provincia di Padova (PD), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Oz. e Pa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Oz. in Roma, via (…);
Comune di (omissis) (PD), non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00609/2008, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria opere abusive realizzate su area demaniale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Padova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti l’avvocato Ga. St. su delega dell’avv. An. ma. e l’avvocato Ba. Si. su dichiarata delega dell’avv. Ma. Oz.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale parte appellante, F.lli Lo. S.n. c. di Lo. e Ma. Lo., espone di essere subentrata nella titolarità della concessione di occupazione di un’area demaniale ubicata nel territorio comunale di Vigonza (Padova), collocata sull’argine sinistro del fiume (omissis) in località (omissis) e già concessa da tale Amministrazione comunale al Signor Du. Lo..
L’appellante afferma – altresì – che su tale area è stato edificato da tempo remoto un chiosco adibito a vendita di frutta e verdura, successivamente ampliato, e che in ordine a tale modifica il concessionario aveva chiesto in data 10 luglio 1986 al Comune di (omissis) il condono edilizio di cui all’art. 31 e ss. della l. 28 febbraio 1985, n. 47.
L’appellante precisa che tale opera ricade in ambito assoggettato a vincolo paesaggistico imposto à sensi dell’a l. 29 giugno 1039, n. 1497, pro tempore vigente, e che in dipendenza di tale circostanza l’Amministrazione comunale aveva chiesto alla Provincia di Padova di emettere in ordine alla richiesta sanatoria il parere di cui all’art. 32 della predetta l. n. 47 del 1985.
L’Amministrazione provinciale ha emesso parere negativo al riguardo con proprio provvedimento Prot. n. 87842/92/02495 dd. 1 febbraio 1993 a firma dell’Assessore ai Beni ambientali, recante la seguente motivazione: “in quanto i fabbricati per materiali utilizzati e tipologia costituiscono elementi di degrado tipologico e ambientale”.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. n. 1601 del 1993 l’allora concessionario Du. Lo. ha presentato ricorso innanzi al T.A.R. per il Veneto, deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:
1) Incompetenza;
2) Incompetenza sotto ulteriore profilo, nonché violazione dell’art. 4 della l.r. 6 marzo 1984, n. 11;
3) Violazione degli artt. 31 e 32 della l. n. 47 del 1985 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.
1.3. Si è costituita in tale primo grado di giudizio la Provincia di Padova, concludendo per la reiezione del ricorso.
1.4. Con susseguente provvedimento assessorile Prot. n. 8853 dd. 21 maggio 1993 il Comune di (omissis) ha negato il richiesto condono edilizio non soltanto in dipendenza dell’anzidetto parere negativo espresso dall’Amministrazione provinciale, ma anche in quanto le opere abusive ricadevano, à sensi di quanto disposto dall’art. 19 delle Norme tecniche del Piano regolatore generale del Comune di Vigozam in zona di rispetto ferroviario, fluviale e cimiteriale.
1.5. Tale ulteriore provvedimento è stato impugnato dal medesimo Signor Lo. con ricorso proposto sub R.G. 3176 del 1993 sempre innanzi al T.A.R. per il Veneto, deducendone al riguardo l’illegittimità in via derivata rispetto al presupposto parere negativo espresso dalla Provincia, nonché – in via autonoma – un ulteriore profilo di illegittimità in quanto la disciplina del condono edilizio di cui all’art. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985 prescindeva dal contrasto delle opere da sanare rispetto alle previsioni urbanistiche e – anzi, a ben vedere – presupponeva proprio la sussistenza di tale contrasto al fine del rilascio del titolo edilizio sanante.
1.6. In questo ulteriore procedimento giudiziale non si è costituito il Comune di (omissis).
1.7. Con sentenza n. 609 dd. 13 marzo 2008 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. previa riunione dei sopradescritti due ricorsi per connessione, li ha respinti, rilevando che, “quanto al primo ricorso, non sussiste la lamentata incompetenza della Provincia ad esprimersi ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 85 sulla compatibilità ambientale delle opere abusive realizzate dal ricorrente. Stabilisce, invero, l’art. 82, I e II comma del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. 616/77 che: “Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni. La delega riguarda tra l’altro le funzioni amministrative concernenti: a) l’individuazione delle bellezze naturali, salvo il potere del Ministro…di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvate dalle regioni; b) la concessione delle autorizzazioni o nulla osta per le loro modificazioni; c) l’apertura di strade e cave; d) la posa in opera di cartelli o di altri mezzi di pubblicità ; e) le adozioni di provvedimenti cautelari…; f) l’adozione dei provvedimenti di demolizione e la irrogazione delle sanzioni amministrative; g) le attribuzioni degli organi statali centrali e periferici inerenti alle commissioni provinciali previste dall’art. 2 della legge n. 1497 del 1939 e dall’art. 31 del d.P.R. n. 805 del 1975; h) l’autorizzazione prevista dalla legge n. 1097 del 1971 per la tutela dei Colli Euganei “. L’art. 1 della l.r. n. 11 del 1984, a sua volta, afferma che: “Sono subdelegate alle province le funzioni amministrative per la protezione delle bellezze naturali di cui all’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977. La subdelega riguarda le funzioni amministrative concernenti: a) la concessione delle autorizzazioni o nulla osta per le loro modificazioni; b) l’apertura di strade e cave; c) la posa in opera di cartelli o di altri mezzi di pubblicità ; d) le adozioni di provvedimenti cautelari…; e) l’adozione dei provvedimenti di demolizione e la irrogazione delle sanzioni amministrative; f) l’autorizzazione prevista dalla legge n. 1097 del 1971 per la tutela dei Colli Euganei “. La norma regionale – che, ovviamente, non ha incluso tra le funzioni subdelegate “le attribuzioni degli organi statali centrali e periferici inerenti alle commissioni provinciali previste dall’art. 2 della legge n. 1497 del 1939 e dell’art. 31 del d.P.R. n. 805 del 1975” – conclude, poi, escludendo espressamente dalla subdelega “le funzioni amministrative concernenti l’individuazione delle bellezze naturali di cui alla lettera a) dell’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977”: a prescindere, dunque, da siffatte esclusioni, tutte le altre funzioni amministrative espressamente citate dalla norma statale come delegate alle Regioni sono, a loro volta, puntualmente subdelegate alle Province. Orbene, da tale contesto si evince chiaramente che, ferma restando la spettanza alla Regione delle attribuzioni in merito all’individuazione delle bellezze naturali (e, ovviamente, al coordinamento della commissione deputata alla compilazione degli elenchi delle stesse), la loro tutela è invece demandata alla Provincia, che la esercita attraverso apposite commissioni consultive cui è conferito il “compito di formulare pareri obbligatori sugli atti da emanarsi dagli organi dell’Amministrazione provinciale nell’esercizio delle funzioni subdelegate”. Evidente, peraltro, che nell’ambito delle funzioni subdelegate alla Provincia rientra anche la formulazione del parere prescritto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, espressamente indicato all’art. 1, II comma, lett. a) della l.r. n. 11 del 1984 (che riguarda la necessaria, preventiva determinazione di compatibilità delle realizzande opere con l’assetto ambientale tutelato). Né vale opporre che il parere ex art. 32 della legge n. 47 del 1985 non può essere esercitato dalla Provincia in quanto tale legge è successiva alla l.r. n. 11 del 1984 di subdelega, che, dunque, non poteva determinarsi in relazione ad un profilo procedimentale che sarebbe stata individuato in futuro: è evidente, invero, come la funzione prevista dal richiamato art. 32, che è funzione inerente alla tutela dei beni ambientali, debba essere esercitata dall’organo individuato in base alla ripartizione delle competenze precedentemente effettuata dal legislatore statale (con il d.P.R. n. 616 del 1977) e regionale (con la l.r. n. 11 del 1984)…. È infondata anche l’ulteriore censura con cui il ricorrente denuncia l’incompetenza dell’assessore ad emanare l’atto comunicativo del parere espresso dalla commissione provinciale per i beni ambientali. Tale atto, invero, risolvendosi nella mera comunicazione all’interessato del parere della commissione provinciale, è privo di efficacia provvedimentale e, conseguentemente, lesiva: il pregiudizio del ricorrente è determinato dal parere negativo della commissione che, ancorché atto endoprocedimentale, conclude tuttavia una fase del procedimento e nello stesso tempo, in quanto atto vincolante (ex art. 32, legge n. 47 del 1985) per l’amministrazione comunale, preclude una diversa conclusione della procedura di sanatoria ed è, per ciò stesso, immediatamente impugnabile. Nel caso di specie l’Assessore ai beni ambientali presiedeva, giusta delega del Presidente della Provincia (ex art. 2 della l.r. n. 11 del 1984), la commissione provinciale deputata ad esprimersi ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985: in tale contesto è dunque corretto che il Presidente della commissione abbia trasmesso il relativo parere – che è atto proprio della commissione stessa, cioè atto interno all’Amministrazione provinciale e non già atto della Provincia con efficacia esterna, nella quale ipotesi avrebbe certamente dovuto essere emanato dal Presidente – all’interessato (la cui conoscenza, essendo esso preclusivo – come s’è detto – di un diverso esito della procedura di sanatoria, comporta il decorso del termine per l’impugnazione) ed al Comune (per l’adozione del formale provvedimento conclusivo della procedura, pur di esito scontato)…. 4.- Afferma il ricorrente, con l’ultima censura del primo gravame, che la commissione provinciale avrebbe omesso di tener conto del fatto che l’ampliamento abusivo è stato realizzato da diverso tempo, sicchè il territorio avrebbe ormai “assimilato” l’opera anche se effettivamente pregiudizievole dell’ambiente: il parere, inoltre, sarebbe succinto e generico. Facile obiettare alla predetta censura che, assumendo la tutela del territorio (che è volta alla realizzazione dell’interesse pubblico) valenza prioritaria rispetto al mantenimento di un abuso edilizio (che, oltre ad attuare un interesse meramente privato, incide pregiudizievolmente sull’interesse di tutti qualora, come nel caso di specie, sia stato ritenuto incompatibile con il territorio), il tempo trascorso è affatto irrilevante ai fini dell’eventuale sanatoria dell’abuso, potendo questa essere riconosciuta (non già in relazione ed in conseguenza ad una sorta di assuefazione dell’ambiente all’opera abusiva pregiudizievole automaticamente determinata dal tempo, ma) unicamente sulla base di un giudizio di compatibilità ambientale espresso dalla “Amministrazione preposta alla tutela del vincolo”. Compatibilità ambientale che, però, nella fattispecie non è stata riscontrata, atteso che l’Amministrazione deputata a verificarla ha affermato – con motivazione sintetica, ma congrua – che l’ampliamento abusivamente realizzato costituisce, per tipologia e per materiali utilizzati (entrambi diversi da quelli che connotano il nucleo originario), elemento di degrado del territorio…. Per le considerazioni che precedono, dunque, il ricorso n. 1601 del 1993 è infondato…. Analogamente infondato è anche l’ulteriore ricorso n. 3176/93 avverso il conseguenziale provvedimento comunale di diniego di sanatoria, che trova fondamento nel parere negativo – testè riscontrato immune dai vizi denunciati dal ricorrente – al mantenimento dell’abuso edilizio espresso dalla competente commissione provinciale: provvedimento comunale che, reggendosi su due motivazioni autonome, è legittimo qualora una sola di esse sia stata, come nella specie, accertata immune da vizi…. Per le considerazioni che precedono, dunque, entrambi i ricorsi vanno respinti”.
Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado del giudizio inerenti al ricorso ivi proposto sub R.G. n. 1601 del 1993, nel mentre nessuna statuizione ha assunto al riguardo per il ricorso ivi proposto sub R.G. n. 3176 del 1993, stante la mancata costituzione in tale procedimento del Comune di (omissis) e della stessa Provincia di Padova.
2.1. Con l’appello in epigrafe la F.lli Lo. S.n. c. di Lorenzo e Marcellino Lo., medio tempore subentrata nella concessione già intestata al Signor Du. Lo., chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo i seguenti ordini di motivi, rubricati per ampia parte come nel primo grado di giudizio ma comunque riferiti al contenuto della sentenza impugnata:
1) Incompetenza
2) Ulteriore incompetenza e violazione dell’art. 4 della l.r. n. 11 del 1984
3) Violazione degli artt. 31 e 32 della l. n. 47 del 1985 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria
4) Violazione sotto ulteriore profilo degli artt. 31 e 32 della l. n. 47 del 1985 ed eccesso di potere per illogicità manifesta.
2.2. Si è costituita anche in tale primo grado di giudizio la Provincia di Padova con mero atto di stile, concludendo per la reiezione dell’appello in epigrafe.
2.3. Anche nel presente grado di giudizio non si è – viceversa – costituito il Comune di (omissis).
2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
3.2. Con il primo ordine di motivi la parte appellante ripropone la censura di incompetenza della Provincia a provvedere per quanto attiene all’emissione del parere di cui all’art. 32 della l. n. 47 del 1985, contestando in particolare l’assunto contenuto nella sentenza impugnata secondo il quale la subdelega nella specie esercitata dall’Amministrazione provinciale si fonderebbe sulla previsione dell’art. 1, comma 2, lett. a) della l.r. n. 11 del 1984, che in effetti attiene “alla concessione delle autorizzazioni e nulla osta per le loro modificazioni”, ossia al complesso dell’attività amministrativa all’epoca disciplinata dall’art. 7 della l. n. 1497 del 1939.
Secondo la tesi della parte medesima l’attività amministrativa contemplata dall’art. 32 della l. n. 47 del 1985 dovrebbe viceversa riguardarsi come essenzialmente consultiva, ancorchè fondata sull’espressione di pareri vincolanti: e, in quanto tale, non rientrando quindi in via testuale nella surriferita disposizione di legge recante una subdelega riferita in via esclusiva a funzioni di amministrazione attiva, essa per conseguenza dovrebbe essere direttamente esercitata dall’Amministrazione regionale.
Tale assunto dell’appellante non trova l’adesione del Collegio, in quanto all’epoca dell’entrata in vigore della disciplina regionale recante l’anzidetta subdelega di funzioni amministrative alle Province, contenuta nel surriferito art. 1 della l.r. n. 11 del 1984 (non più ad oggi vigente, in quanto medio tempore abrogata per effetto dell’art. 11 della l.r. 31 ottobre 1994, n. 63, a sua volta poi abrogata per effetto dell’art. 49, comma 1, lett. – n bis) della l.r. 23 aprile 2004, n. 11) non era stata ancora emanata la disciplina del condono edilizio di cui all’art. 31 e ss. della l. 28 febbraio 1985, n. 47, nel cui contesto il predetto art. 32 della medesima legge, così come vigente all’epoca dei fatti di causa – ossia nel testo modificato per effetto dell’art. 4, comma 1-bis, del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni in l. 21 giugno 1985, n. 298 e dall’art. 2, comma 1, del d-l.12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla l. 13 marzo 1988, n. 68 – sostanziava di fatto l’esercizio da parte delle “amministrazioni preposte alla tutela del vincolo”, ivi considerate, di una vera e propria funzione di amministrazione attiva che – per quanto attiene al vincolo di interesse paesaggistico – al di là del suo mero nomen di “parere vincolante”, era del tutto equipollente all’autorizzazione paesaggistica di cui all’anzidetto art. 7 della l. n. 1497 del 1939.
In tal senso, infatti, è stato già puntualmente rilevato che, quanto all’oggetto della valutazione paesaggistica nel contesto del procedimento di condono edilizio, il parere di cui trattasi assumeva natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica di cui al testè riferito art. 7 della l. n. 1497 del 1939 “per essere entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistico-edilizia della zona protetta come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario” (così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. VI, 9 aprile 2018, n. 2160).
Conseguentemente, ove di contenuto favorevole, tale parere consentiva l’ulteriore corso della pratica di condono edilizio presso l’Amministrazione comunale, risultando – per contro – cogentemente preclusivo al riguardo nell’ipotesi di valutazione sfavorevole della fattispecie
Pertanto, sotto tale profilo, non sussiste l’incompetenza a provvedere da parte della Provincia censurata dalla parte appellante.
3.3. Neppure può essere accolto l’ulteriore motivo di incompetenza dedotto dall’appellante con riguardo a quanto all’epoca disposto dall’art. 4 della predetta l.r. n. 11 del 1984.
Ivi si disponeva che i provvedimenti amministrativi aventi ad oggetto le funzioni subdelegate di cui all’anzidetto art. 1, lett. b) e f) della stessa legge fossero adottato dalla Giunta Provinciale e che per i restanti provvedimenti subdelegati la competenza fosse viceversa esercitata dal Presidente della Giunta Provinciale.
A tale riguardo l’appellante rileva che il parere vincolante impugnato in primo grado è stato emanato non già dal Presidente della Provincia, bensì dall’Assessore provinciale ai Beni ambientali.
In tal senso la medesima appellante esclude che nel caso di specie l’Assessore fosse titolare di una delega da parte del Presidente della Giunta all’esercizio della funzione di competenza di tale organo (delega che, peraltro, a suo avviso risulterebbe comunque illegittima in assenza di un’espressa previsione normativa che consentisse un’ulteriore subdelega della funzione del Presidente all’Assessore in deroga al ben noto principio per cui delegata potestas non potest delegari) e contesta a tale riguardo l’assunto contenuto nella sentenza impugnata secondo cui l’atto dell’Assessore si risolverebbe nella mera comunicazione del parere reso al riguardo dalla Commissione consultiva provinciale e risulterebbe pertanto privo di efficacia provvedimentale e lesiva: efficacia che – per contro – sarebbe propria, sempre secondo la tesi del giudice di primo grado, nel parere reso dalla Commissione medesima, tra l’altro presieduta dal predetto Assessore à sensi di quanto previsto dall’art. 2 della l.r. n. 11 del 1984 e a cui competerebbe pertanto l’incombente di trasmettere all’interessato il parere di cui trattasi.
L’appellante rileva che l’assunto del giudice di primo grado erroneamente identificherebbe il parere avente efficacia esterna che la Provincia doveva emettere à sensi dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 con il parere avente efficacia interna che l’art. 2 della l.r. n. 11 del 1984 demanda alle Commissioni consultive provinciali “sugli atti da emanarsi dagli organi dell’Amministrazione provinciale nell’esercizio delle funzioni subdelegate”: e ciò in quanto risulterebbe – per contro – di tutta evidenza che il parere ad efficacia esterna di cui all’art. 32 della l. n. 47 del 1985 deve identificarsi in un atto emanato dall’organo che ha la competenza istituzionale ad emettere gli atti ad efficacia esterna, ossia – nella specie – il Presidente della Giunta Provinciale, a nulla rilevando che nella specie all’interno del procedimento deputato alla formazione del parere da rendere all’esterno dell’Ente sia prevista la formulazione di un parere obbligatorio ad efficacia interna della Commissione consultiva; parere, quest’ultimo, assodatamente non vincolante e che potrebbe essere ertanto anche legittimamente disatteso dall’organo che emana l’atto ad efficacia esterna.
L’appellante rimarca in tal senso che il parere impugnato in primo grado consta di un atto in cui l’Assessore ai Beni ambientali testualmente enuncia di aver “preso atto del parere della Commissione Consultiva Provinciale…”, di aver “ritenuto di farlo proprio” e che, pertanto, “esprime parere negativo”.
Il Collegio dissente anche da tale tesi dell’appellante.
L’Assessore ai Beni ambientali ha agito quale soggetto delegato del Presidente della Provincia nella sua qualità di Presidente della Commissione competente ad esprimere il parere che rettamente l’appellante medesima identifica come atto “interno” alla stessa Amministrazione provinciale.
Ma nel momento in cui lo stesso Assessore ha trasmesso tale parere sia all’interessato che al Comune, dichiarando expressis verbis di condividerne il contenuto, tale parere “interno” ha cessato di essere tale ed è divenuto ad ogni effetto il parere vincolante “esterno” previsto dall’art. 32 della l. n. 47 del 1985.
Né può dirsi che l’Assessore provinciale ai Beni ambientali fosse incompetente ad esprimere tale parere poiché la delega a lui conferita dal Presidente della Provincia nella materia dei Beni ambientali all’evidenza si estendeva – nella riscontrata assenza di una disposizione di legge che lo vieti – anche all’esercizio di quelle funzioni amministrative subdelegate che l’art. 4 della l.r. n. 11 del 1984 attribuiva al Presidente della Provincia.
Se così non fosse stato, lo stesso Assessore nemmeno avrebbe potuto presiedere l’organo collegiale che ha disaminato la domanda del Lo. esprimendo su di essa il proprio parere c.d. “interno”; e, allo stesso tempo, l’indiscutibilmente completo esercizio del referato sui Beni ambientali da parte del medesimo Assessore per certo legittimava quest’ultimo a concludere il relativo procedimento esprimendo il parere “esterno” nei confronti dei destinatari di tale provvediment: e ciò nel dovuto adempimento della delega (si ribadisc: “piena”)a lui conferita per la materia di cui trattasi da parte del Presidente della Giunta Provinciale.
Il vizio di fondo della tesi dell’appellante risiede nella mancata considerazione che la subdelega a suo tempo contenuta nella l.r. n. 11 del 1984 fosse conferita non già all’Amministrazioni provinciale nel suo complesso, ma – a seconda degli atti da adottare – indefettibilmente alla Giunta Provinciale ovvero al Presidente della stessa, senza possibilità in quest’ultimo caso di ulteriore delega da parte di quest’ultimo ad altro membro della Giunta provinciale.
Viceversa, salve restando le funzioni conformatrici dei poteri dell’Ente locale che il legislatore regionale aveva inteso esercitare per l’esercizio della subdelega in questione attribuendo alcune competenze in via espressa e indefettibile all’organo giuntale à sensi del combinato disposto dell’allora vigente art. 118, ultimo comma Cost. e dell’art. 55, primo comma dell’allora parimenti vigente Statuto di autonomia della Regione Veneto approvato con l. 22 maggio 1971, n. 340, segnatamente con riguardo “ai criteri direttivi, le condizioni, la durata e le modalità di esercizio” della delega, le funzioni attribuite al Presidente della Giunta stessa ben potevano – viceversa – essere oggetto di ulteriore delega da parte di quest’ultimo, coerentemente alla distribuzione dei diversi referati per materia ai membri della Giunta provinciale.
3.4.1. Con il terzo ordine di censure l’appellante contesta la sufficienza della motivazione del parere vincolante negativo emesso dalla Provincia, reputandola “meramente tautologica e di stile” (cfr. pag. 8 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), in quanto essa non espliciterebbe in concreto quali materiali di costruzione del fabbricato costituirebbero elementi di degrado ambientale, impedendo in tal modo al destinatario del provvedimento di conoscere le effettive ragioni dell’opposto diniego: e ciò ancor di più in considerazione che quanto reputato dalla Provincia come incompatibile con il vincolo da essa tutelato sarebbe costituito in realtà da un “limitato ampliamento” di una costruzione già esistente mediante la realizzazione di “una normale costruzione di muratura… in fronte a una via di grande comunicazione e trafficatissima – la Strada Regionale 11 – in corrispondenza del ponte sul fiume (omissis), il cui contesto ambientale” risulterebbe pertanto “solo marginalmente interessato” e – semmai – ben più compromesso dall'”opera viaria e dal traffico” (così a pagg. 7 e 8, ibidem).
Sempre secondo l’appellante la considerazione insita nella motivazione risulterebbe pertanto meramente estetica, e quindi di carattere eminentemente soggettivo, risolvendosi pertanto “in un sostanziale arbitrio” (cfr. ibidem), non sottacendo che l’obbligo di motivazione del provvedimento negativo risulterebbe a suo dire ben più intenso per le ipotesi di cui all’art. 32 della l. n. 47 del 1985, in quanto relative ad opere non già da realizzare, bensì allo stato esistenti, asseritamente perseguendo il legislatore in tali evenienze un “principio di mantenimento (anche per ottenere all’erario la seppur corrispondente entrata di cassa…) e della quale esclude la sanatoria solo in casi che, seppur non possono qualificarsi eccezionali, sono comunque specifici e in deroga dalla regola generale di sanabilità introdotta dalla legge” (cfr. ibidem).
L’appellante censura inoltre la circostanza che il provvedimento impugnato recherebbe un inammissibile giudizio di incompatibilità paesaggistica riferito non già soltanto a quanto realizzato come ampliamento al fabbricato già esistente, bensì all’intero corpo edificato (cfr. ivi “i fabbricati… costituiscono elementi di degrado tipologico ed ambientale”), e rileva che comunque lo stesso giudice di primo grado si sarebbe risolto, al fine di respingere il ricorso proposto in primo grado, a “parafrasare” la stereotipata e intrinsecamente erronea motivazione del diniego riferendo “che l’ampliamento abusivamente realizzato costituisce per tipologia e per materiali utilizzati (entrambi diversi da quelli che connotano il nucleo originario) elementi di degrado del territorio”, laddove la circostanza del “degrado” risulterebbe arbitrariamente inserita dallo stesso T.A.R., come pure risulterebbe arbitrariamente aggiunto dal medesimo giudice di primo grado l’ulteriore assunto secondo cui la tipologia e i materiali utilizzati risulterebbero “entrambi diversi da quelli che connotano il nucleo originario” del manufatto.
3.4.2. Il Collegio, per parte propria, evidenzia innanzitutto che i pareri di compatibilità paesaggistica costituiscono in linea di principio valutazioni che sono espressioni di discrezionalità tecnica, con la conseguenza che essi sono sindacabili in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero per errore di fatto conclamato.(così, ad es., Cons. Stato Sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 197).
Inoltre, a differenza di quanto affermato dalla parte appellante in ordine ad un’asserita ratio legis che nel contesto applicativo dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 privilegerebbe “un principio di mantenimento” delle opere insistenti su aree assoggettate a vincolo e in ordine alle quali è chiesto il condono edilizio, va piuttosto evidenziato che il procedimento ivi normato si configura quale fondamentale strumento di verifica della compatibilità di quanto abusivamente edificato con i valori fondamentali affermati e tutelati dall’art. 9 Cost., e che tale primaria esigenza di valutazione per certo si pone come indefettibilmente prioritaria rispetto allo stesso pur rilevante interesse della finanza pubblica a riscuotere le entrate derivanti dall’applicazione della disciplina speciale di condono delle opere abusive: il che, dunque, rende ex se improponibile ogni assunto sotteso ad affermare come virtualmente insita nel “sistema” una sostanziale presunzione di compatibilità paesaggistica per ogni opera abusivamente realizzata su area assoggettata a vincolo paesaggistico.
Va rimarcato inoltre che la dianzi rilevata riconduzione del parere reso à sensi dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 ad espressione di discrezionalità tecnica, nonché la stessa relatività del vincolo di inedificabilità a quel tempo normato dalla l. n. 1497 del 1939 non comportano – per se stanti – un obbligo di analitica motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica.
Se è dunque vero che nell’ambito della procedura di sanatoria degli abusi edilizi, il parere negativo espresso dal soggetto deputato alla tutela di un vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 32 comma 1 l. n. 47 del 1985 va ritenuto illegittimo qualora si limiti ad una descrizione dell’intervento operato rispetto all’originario stato dei luoghi e non contenga invece una specifica motivazione in ordine in ordine al pregiudizio che all’interesse pubblico deriverebbe dall’intervento edilizio (così, ad es.,puntualmente, Cons. Stato, Sez. V, 17 ottobre 2000, n. 5557; cfr., altresì, nello stesso senso, ex plurimis e più recentemente Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2014, n. 1418), il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere edili realizzate in zone vincolate è comunque da ritenersi sufficientemente motivato con l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela paesaggistica poste a base del relativo vincolo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4750 e 4 ottobre 2013, n. 4899; Sez. V, 23 giugno 2014, n. 3142; Sez. IV, 18 settembre 2012, n. 4945).
Tutto ciò, quindi, non implica l’obbligo di una motivazione diffusa del diniego eventualmente opposto (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5232, essendo in tal senso sufficiente un espresso riferimento alle caratteristiche tipologiche, strutturali, architettoniche e all’uso dei materiali impiegati che, a prescindere dall’entità delle opere, determinano comunque un impatto negativo con l’ambiente circostante: il che consente, quindi, di trarre dal provvedimento l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell’intervento edilizio con le esigenze di tutela poste a base del vincolo, sia pure anche mediante una motivazione scarna e sintetica ma che comunque individui gli estremi logici dell’apprezzamento negativo (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4163).
Nel caso di specie tale giudizio negativo è stato testualmente espresso “in quanto i fabbricati per materiali utilizzati e tipologia costituiscono elementi di degrado tipologico e ambientale”, come del resto testualmente si legge a conferma anche a pag. 2 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio.
La stessa parte appellante, pertanto, con ciò dà atto che, a differenza di quanto da essa stessa sostenuto poi a pag. 8 del medesimo atto d’appello, il concetto di “degrado” non costituisce un’interpolazione del testo del diniego ad opera del giudice di primo grado, bensì una fedele sua riproduzione.
Irrilevante è – poi – ogni questione circa l’apprezzamento negativo che l’Amministrazione provinciale avrebbe esteso ad entrambi i corpi edificati della struttura di vendita insistente nell’area assoggettata a vincolo anziché limitare il proprio giudizio all’opera realizzata in ampliamento, come pure risulta intrinsecamente irrilevante la circostanza se anche l’originaria struttura fosse stata realizzata – o meno – con materiali analoghi a quelli utilizzati per l’ampliamento medesimo e – ancora – se il traffico veicolare e la conseguente pressione antropica esercitata sull’area in questione costituiscano elementi di ben più consistente disvalore per il contesto tutelato.
Ciò che nella specie rileva, infatti, in via del tutto esaustiva, è che il ben determinato ampliamento in esame, ancorchè a detta della parte consistente in una semplice struttura muraria, risulta comunque incoerente, sia per tipologia costruttiva sia per il materiale impiegato per realizzarlo, al complessivo contesto assoggettato al vincolo, e il riferimento agli “edifici” anziché all'”edificio” altro non significa che lo snaturamento arrecato al preesistente corpo edilizio è tale che, ove non fosse rimosso quuanto arbitrariamente realizzato, l’intero complesso formato dal preesistente chiosco e dal nuovo corpo ad esso annesso risulterebbe snaturato e, quindi, totalmente incompatibile con il vincolo.
L’esaustività della motivazione addotta risulta pertanto ictu oculi evidente.
3.5. Da ultimo va disaminato l’ulteriore ordine di motivi d’appello, con il quale si deduce l’illegittimità del diniego di condono edilizio opposto dall’Amministrazione Comunale non soltanto in dipendenza del presupposto parere negativo espresso dall’Amministrazione provinciale à sensi dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 in ordine alla dianzi rilevata insistenza del vincolo paesaggistico sull’area occupata dalla costruzione abusiva, ma – in via del tutto autonoma – anche in ordine alla concorrente disciplina del Piano regolatore generale del Comune di (omissis), dalla quale consta – altresì – la concorrente insistenza sull’area medesima di tre zone di rispetto, rispettivamente ferroviaria, fluviale e cimiteriale.
Secondo la parte appellante il provvedimento impugnato e – in via consequenziale – anche la sentenza resa in primo grado risulterebbero illegittimi in quanto la disciplina del condono edilizio di cui all’art. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985 prescindeva dal contrasto delle opere da sanare rispetto alle previsioni urbanistiche e – anzi, a ben vedere – presupponeva proprio la sussistenza di tale contrasto al fine del rilascio del titolo edilizio sanante: il tutto, quindi, con la conseguente illegittimità del provvedimento di diniego anche per tali ulteriori profili, risultando in tal senso l’Amministrazione comunale comunque obbligata, prima di formare un provvedimento di diniego del condono edilizio esteso pure a tali ulteriori profili, ad interpellare per i pareri da rendere parimenti à sensi del medesimo art. 32 della l. n. 47 del 1985 pure le altre amministrazioni rispettivamente deputate alla tutela di tali vincoli di inedificabilità .
Posto ciò, il Collegio rileva che la parte appellante non ha interesse a formulare tale motivo d’appello in quanto il provvedimento di diniego emesso nella specie dall’Amministrazione Comunale risulta invero articolato su di una pluralità di motivazioni addotte a fondamento del diniego medesimo: e per tale evenienza soccorre l’unanime giurisprudenza secondo cui – per l’appunto – se un provvedimento amministrativo è sorretto da più ragioni giustificatrici tra di loro autonome, a sostenere la legittimità dello stesso è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse, con la conseguenza che divengono irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte avverso le altre ragioni opposte dalla pubblica autorità (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 2019, n. 3890; Sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12, 18 maggio 2012, n. 2894 e 17 settembre 2009, n. 5544).).
4. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza di lite e sono liquidati nel dispositivo per quanto attiene al rapporto processuale tra la parte appellante e la Provincia di Padova, nel mentre la mancata costituzione nel presente grado di giudizio del Comune di (omissis) esonera il Collegio dalla relativa statuizione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio in favore della Provincia di Padova, complessivamente liquidandole nella misura di Euro 2.000,00.- (duemila/00), nel mentre la mancata costituzione nel presente grado di giudizio del Comune di (omissis) esonera dalla relativa statuizione in ordine al rapporto processuale instauratosi tra la medesima parte appellante e tale Amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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