Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 30 gennaio 2018, n. 4367. Utilizzabili le videoriprese fatte dalle telecamere sul luogo di lavoro, anche in orari a scelta del datore, se utili a esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale

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1.1. Infatti, entrambi i giudici di merito con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria hanno ben evidenziato le ragioni per le quali ritengono la ricorrente responsabile del reato di appropriazione indebita. In particolare: 1) hanno correttamente valutato le prove (dichiarazioni testi e riprese visive effettuate dalla telecamera installata all’interno del luogo di lavoro; si vedano le pagine: da 2 a 5 della sentenza di primo grado e le pagine 5 e 6 della sentenza impugnata); 2) hanno ritenuto giustamente utilizzabili i risultati delle videoriprese effettuate con la telecamera installata all’interno del luogo di lavoro evocando anche un condiviso e consolidato principio di questa Corte secondo il quale sono utilizzabili nel processo penale, ancorche’ imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio (Sez. 5, Sentenza n. 34842 del 12/07/2011 Ud. – dep. 26/09/2011 – Rv. 250947; Sez. 2, Sentenza n. 2890 del 16/01/2015 Ud. – dep. 22/01/2015 – Rv. 262288; Sez. 5, Sentenza n. 11419 del 17/11/2015 Ud. – dep. 17/03/2016 – Rv. 266372). Ne’, ovviamente, ha alcuna incidenza negativa sulla legittimita’ delle videoriprese effettuate, la circostanza – la cui sussistenza e’ stata, tra l’altro, affermata apoditticamente – che le riprese siano state eseguite “non in maniera consequenziale, non progressivamente, ma solo a giorni ed orari scelti dai titolari della gelateria”. Infatti quello che rileva e che quanto ripreso ha pienamente confermato quanto riferito dai testi; 3) hanno fornito un’incensurabile spiegazione del perche’ hanno ritenuto “inverosimile la versione della prevenuta” (si vedano le pagine: 4 e 5 della sentenza di primo grado e pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).

2. Infine, la Corte territoriale ha fornito un’incensurabile motivazione – pur a fronte di una genericissima doglianza sul punto – sul perche’ conferma l’entita’ del danno determinato dal Tribunale e tale motivazione (che si fonda sugli elementi probatori di cui sopra) non e’ affatto in contrasto con l’esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 7 (si vedano le pagine 5 e 6 dell’impugnata sentenza).

3. In relazione a quanto sopra evidenziato questa Corte Suprema ha piu’ volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non puo’ ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificita’, che conduce, ex articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ del ricorso (Si vedano fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634; Sez. 4, Sentenza n. 18826 del 09/02/2012 Ud. – dep. 16/05/2012 – Rv. 253849; Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013 Ud. – dep. 26/06/2013 – Rv. 255568; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Ud. – dep. 13/03/2014 – Rv. 259425). Inoltre, in tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, Sentenza n. 47204 del 07/10/2015 Ud. – dep. 27/11/2015 – Rv. 265482).

4. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di 2.000,00 Euro, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Inoltre la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore della Parte Civile (OMISSIS) che si liquidano in complessivi Euro 3.217,36 ivi comprese le spese generali, CPA ed IVA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, oltre la rifusione delle spese processuali in favore della Parte Civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.217,36 ivi comprese le spese generali, CPA ed IVA.

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