Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|12 maggio 2022| n. 15087.

Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate.

In tema di società di capitali, la riserva costituita, ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate secondo il criterio del patrimonio netto, ha natura di riserva non distribuibile, basandosi su un valore solo stimato e non ancora realizzato, e può essere utilizzata per la copertura delle perdite solo dopo l’assorbimento di ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio. (Nella specie, la S.C. ha confermato, precisandone la motivazione, la sentenza di merito, che aveva dichiarato nulla la delibera di approvazione del bilancio e della distribuzione di dividendi ai soci, in quanto era stata imputata a copertura delle perdite la riserva non distribuibile, costituita ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., sebbene fossero iscritte ulteriori riserve disponibili, che avrebbero dovuto essere assorbite prioritariamente).

Sentenza|12 maggio 2022| n. 15087. Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate

Data udienza 3 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Società partecipate – Bilancio – Riserva da plus valore delle controllate – Utilizzabilità a copertura delle perdite – Solo dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta nel bilancio ma prima del capitale – Art. 2426 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7400/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio nonche’ nella qualita’ di Presidente e legale rappresentante di (OMISSIS) S.r.l., e (OMISSIS) elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.r.l.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2574/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/04/2014.
E sul ricorso 28002/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio nonche’ nella qualita’ di Presidente e legale rappresentante di (OMISSIS) S.r.l., e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.r.l.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2585/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2022 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dott. CARDINO Alberto, che si riporta alla requisitoria scritta e si oppone all’istanza di rinvio depositata dalle parti chiedendo il rigetto per il ricorso rg.n. 28002/17, nonche’ l’inammissibilita’ o in subordine il rigetto per il ricorso rg.n. 7400/17;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), che insiste per il rinvio della causa e si riporta ai propri scritti in subordine;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. Bussoletti con delega scritta, che insiste per il rinvio della causa e si riporta.

Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate

FATTI DI CAUSA

1.1. – Con atto di citazione del 19 novembre 2004, alcuni soci della (OMISSIS) s.p.a. titolari complessivamente del 43% del capitale sociale impugnarono la Delib. 7 luglio 2004, con la quale l’assemblea ordinaria aveva approvato il bilancio dell’esercizio sociale chiuso il 31 dicembre 2003 e deliberato la distribuzione di dividendi per complessivi Euro 2.598.986,00.
Gli attori dedussero la violazione dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, in relazione alla valutazione della posta relativa alle partecipazioni in altre societa’ con il metodo del patrimonio netto, che avrebbe dovuto costituire una riserva non distribuibile, ricavata dalla valutazione delle partecipate secondo il criterio predetto, in luogo di quello del costo storico, e non “transitare” direttamente nel conto economico, finendo cosi’ per essere compensata con la perdita d’esercizio, al fine di distribuire i dividendi, risultando a quel punto il bilancio artatamente in attivo; dedussero, altresi’, la violazione del principio di verita’ e chiarezza quanto alla partecipazione in (OMISSIS) LTD, nonche’ la violazione del principio di verita’ e prudenza nella valutazione delle attivita’ svolte dalla societa’ nello (OMISSIS), con riguardo anche al rischio di cambio.
Con sentenza del 17 febbraio 2006, il Tribunale di Roma dichiaro’ nulla la deliberazione del 7 luglio 2004 per violazione dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4 e articolo 2433 c.c., avendo con essa la societa’ proceduto ad approvare un bilancio contenente una diversa valutazione delle partecipazioni in societa’ controllate, secondo il criterio del patrimonio netto in luogo di quello del costo storico, in precedenza adottato, ed all’imputazione a riduzione delle perdite della riserva da cio’ derivante, con successiva distribuzione dei dividendi.

 

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1.2. – La Corte d’appello di Roma con sentenza del 16 aprile 2014, non definendo il giudizio, disattese il primo motivo di impugnazione, confermando sul punto la decisione del tribunale, relativamente all’avvenuta violazione dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, quanto ai criteri di valutazione delle partecipazioni in patrimonio ed alla necessaria destinazione della plusvalenza ad una riserva non distribuibile.
Fu accolto, invece, il terzo motivo di appello, avendo la corte reputato insussistente la dedotta violazione delle altre regole di redazione del bilancio.
Con separata ordinanza, la corte territoriale dispose una consulenza tecnica, al fine di verificare la fondatezza del secondo motivo di appello, concernente l’esistenza in bilancio di altre riserve per Euro 8.740.305,50, liberamente disponibili e idonee ad essere distribuite ai soci.
Con ordinanza del 12 febbraio 2016, e’ stato altresi’ corretto il dispositivo della decisione, nel senso che il primo motivo fosse da intendere respinto ed il terzo accolto, al contrario di quanto statuito nel dispositivo.
1.3. – Avverso detta sentenza non definitiva e’ stato proposto ricorso per cassazione dalla societa’, notificato il 13 marzo 2017, affidato ad un unico complesso motivo, iscritto al n. r.g. 7400/17.
Hanno resistito con controricorso i soci intimati. Fissata l’udienza di discussione, le parti hanno depositato le memorie di cui all’articolo 378 c.p.c.
2.1. – Con sentenza in data 19 aprile 2017 la Corte d’appello di Roma, definendo il giudizio, respinse l’impugnazione.
Rilevato che la sentenza non definitiva del 16 aprile 2014 aveva ormai reputato come illegittima la destinazione a copertura delle perdite della riserva costituita dalla plusvalenza derivante dal mutamento del criterio di valutazione al patrimonio netto, ha ritenuto che i c.t.u. (i quali avevano concluso per la liceita’ dell’operazione di distribuzione dei dividendi) non hanno il potere di vanificare il dictum giudiziale.
La corte ha accertato pertanto che, dato questo principio, non esistevano sufficienti riserve idonee a fondare la distribuzione dei dividendi deliberata dall’assemblea del 7 luglio 2004, con la conseguente invalidita’ della deliberazione per violazione dell’articolo 2433 c.c., comma 3, che esclude la ripartizione di utili in presenza di perdite da ripianare.
2.2. – Anche contro la sentenza definitiva e’ stato proposto ricorso per cassazione dalla societa’, affidato a tre motivi ed iscritto al n. r.g. 28002/17.
Hanno resistito con controricorso i soci intimati.
Le parti hanno, del pari, depositato le memorie di cui all’articolo 378 c.p.c.
3. – Le due cause sono pervenute all’udienza collegiale del 19 ottobre 2019, in cui le parti hanno chiesto un rinvio a nuovo ruolo, pendendo trattative. Dopo ulteriori richieste di rinvio al medesimo fine, le cause sono state quindi nuovamente chiamate alla udienza odierna.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ o il rigetto del primo ricorso ed il rigetto del secondo.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Riunione delle cause. Il Collegio ha deliberato la riunione dei due giudizi, vertenti sullo stesso bilancio di esercizio del 2003, per razionalita’ di trattazione.
E’ noto che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’articolo 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia dei giudizi e la certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimita’.
Nella specie, la riunione e’ resa particolarmente razionale, trattandosi delle impugnazioni avverso la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva del medesimo giudizio di appello in merito al bilancio dell’esercizio sociale 2002.
2. – I motivi. I due ricorsi, proposti contro la sentenza non definitiva del 16 aprile 2014 e contro la sentenza definitiva del 19 aprile 2017 della Corte d’appello di Roma, articolano distinti motivi.
2.1. – Il primo propone un unico motivo, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2423 c.c. e ss., articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, articolo 2433 c.c. e del principio contabile n. 21 emanato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e confermato dall’OIC Organismo italiano di contabilita’, il quale raccomanda l’uso del criterio del patrimonio netto.
Il principio contabile in questione e’ fonte normativa ed il ruolo dell’OIC e’ stato confermato dal Decreto Legislativo n. 38 del 2005, articolo 9-bis introdotto dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, in sede di conversione del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 9; anche la Consob ha riconosciuto che i principi contabili costituiscono un unico corpus di regole tecniche da osservare nella redazione del bilancio.
Tale criterio alternativo e’ contemplato dalla legge, onde ne’ puo’ di per se’ indurre i soci in errore, ne’ altera il bilancio, che consta di un procedimento meramente valutativo.
Ha errato, dunque, la corte territoriale a reputare non disponibile una riserva da plusvalenza, la quale era invece meramente non distribuibile ai soci, ma utilizzabile per la copertura delle perdite; laddove, quando tale maggior vincolo sia voluto, il legislatore l’ha espressamente previsto, come nel Decreto Legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, articolo 16 a proposito delle riserve da valutazione al fair value per le societa’ emittenti strumenti finanziari nei mercati regolamentati.
Nel consolidamento integrale Decreto Legislativo 9 aprile 1991, n. 127, ex articoli 25 e ss. le componenti positive e negative del reddito delle societa’ partecipate confluiscono nel conto economico della societa’ partecipante e ne determinano il risultato d’esercizio.
2.2. – Il ricorso avverso la sentenza definitiva propone, a sua volta, tre motivi, con i quali rispettivamente deduce quanto segue.

 

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Con il primo motivo, lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1421, 2377, 2379, 2423, 2425 c.c., articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, e articolo 100 c.p.c., perche’ il criterio alternativo del patrimonio netto e’ contemplato dalla legge e la scelta se adottare quello del patrimonio netto integrale (con transito nel conto economico) o il metodo della rappresentazione solo patrimoniale e’ sempre lecita, onde non puo’ in se’ indurre il socio in errore o alterare il bilancio, non violandosi in nessun caso i precetti di chiarezza e precisione; inoltre, l’articolo 2425 c.c., lettera D, n. 18 contempla le rettifiche di valore di attivita’ finanziarie e, quindi, il transito della plusvalenza nel conto economico.
Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2423, 2425 c.c., articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, e del principio contabile n. 21 emanato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e confermato dall’OIC, il quale raccomanda che le plusvalenze derivanti dalle valutazioni secondo il criterio del patrimonio netto siano imputate in conto economico ed iscritte in una riserva non distribuibile solo ai fini del riparto degli utili: al contrario di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, infatti, la riserva in questione dell’esercizio 2002 poteva essere utilizzata per la copertura delle perdite, posto che anche l’articolo 2425 c.c., lettera D, n. 18 contempla le rettifiche di valore di attivita’ finanziarie e, quindi, il transito della plusvalenza nel conto economico; il bilancio e’ documento essenzialmente a contenuto valutativo non sindacabile, in quanto derivante da scelte rimesse ai suoi redattori; del resto, il principio contabile in questione e’ fonte normativa ed il ruolo dell’OIC e’ stato confermato dal Decreto Legislativo n. 38 del 2005, articolo 9-bis introdotto dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, in sede di conversione del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 9.
Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2423, 2425 c.c., articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4 e articolo 2433 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto non disponibile una riserva da plusvalenza, la quale e’ si’ non distribuibile ai soci, ma nondimeno e’ utilizzabile per la copertura delle perdite.
3. – Ammissibilita’ del ricorso avverso la sentenza non definitiva. E’ infondata l’eccezione in senso lato di tardivita’ del ricorso contro la sentenza non definitiva, come corretta da apposita ordinanza, formulata dai controricorrenti.
Per il caso di sentenza non definitiva pronunziata in grado di appello, e’ demandata alla Corte suprema la verifica, in limine, dell’ammissibilita’ del ricorso.
L’articolo 361 c.p.c. prevede la riserva facoltativa di ricorso proposto contro sentenze non definitive, stabilendo che, in tal caso, il ricorso per cassazione puo’ essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, ed, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza in questione. Ne deriva, altresi’, che la parte, la quale abbia formulato la riserva di impugnazione differita di una sentenza non definitiva ha l’onere di dedurre e provare detta evenienza, ai fini della ammissibilita’ della propria impugnazione.
Nella specie, con ordinanza del 12 febbraio 2016 la corte territoriale ha corretto il dispositivo della decisione, nel senso che il primo motivo e’ respinto ed il terzo e’ accolto: laddove, invece, dal dispositivo della sentenza ora impugnata risultava il contrario. Onde dalla lettura della sentenza non corretta risultava, in effetti, non chiaro il rigetto del primo motivo di appello.

 

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Deve, pertanto, farsi applicazione del principio (fra le altre, Cass. 11 febbraio 2020, n. 3308; 20 novembre 2017, n. 27509) secondo cui l’articolo 288 c.p.c., u.c. il quale dispone che le sentenze possono essere impugnate nelle parti corrette nel termine ordinario, decorrente dal giorno in cui e’ stata notificata ex articolo 121 disp. att. c.p.c. l’ordinanza di correzione, deve essere messo in relazione con l’articolo 327 c.p.c., in virtu’ del quale – nel testo applicabile ratione temporis, relativo a causa iniziata prima della modifica del termine c.d. lungo di impugnazione, operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46, comma 17, – indipendentemente dalla notificazione l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione possono essere proposti entro un anno dalla pubblicazione della sentenza: pertanto, e’ ammissibile, rispetto alle parti corrette, l’impugnazione proposta entro un anno dalla pubblicazione dell’ordinanza di correzione non notificata.
Cio’ vale – si noti – in tutti i casi, come quello di specie, in cui l’errore corretto sia tale da suscitare una obiettiva ambiguita’ sull’effettivo contenuto della decisione assunta, in quanto sia con sicurezza svelato solo all’esito del procedimento correttivo, sussistendo prima un obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione (per precedenti in tal senso, v. Cass. 12 settembre 2019, n. 22846, non mass.; 10 aprile 2018, n. 8863; 20 ottobre 2014, n. 22185; 11 settembre 2009, n. 19668; 26 novembre 2008, n. 28189; 27 marzo 2006, n. 6969).
4. – I motivi concernenti la violazione delle norme sulla redazione del bilancio. Entrambi i ricorsi, pur articolando vari motivi, propongono la seguente questione: se ed a quali condizioni sia legittimo l’utilizzo a copertura delle perdite di esercizio – in tal modo rendendo lecita la ripartizione di utili ai soci, cui invece, ai sensi dell’articolo 2433 c.c., comma 3, non potrebbe farsi luogo in presenza di perdite “fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente” – della riserva non distribuibile costituita, ai sensi dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, mediante la valutazione alla stregua del criterio del patrimonio netto, in luogo che in base al criterio del costo di acquisto prescritto dal n. 1 della medesima disposizione, delle partecipazioni in societa’ controllate, la quale abbia fatto emergere una plusvalenza iscritta nella detta riserva.
4.1. – Le regole sulla redazione del bilancio. Le regole di redazione del bilancio sono norme giuridiche, sebbene per lo piu’ tratte da principi contabili, essendo acquisita l’importanza del bilancio d’esercizio delle societa’ di capitali, cui si assegnano fondamentali compiti organizzativi della vita dell’impresa, nell’interesse dei soci come dei terzi: donde la riconosciuta necessita’ che l’ordinamento de’tti precise regole di redazione del documento.
Nell’individuazione, ad opera del legislatore, dei criteri di redazione varie esigenze si fronteggiano: da un lato, l’esigenza tradizionale che non sia sovrastimato lo stato economico-finanziario della societa’, al fine di tutelare l’affidamento dei terzi nella solidita’ dell’impresa, che ispira il criterio generale della c.d. prudenza; dall’altro lato, l’esigenza, di piu’ recente emersione, di non sottostimare detto stato, allo scopo di permettere l’evidenza dei valori reali dell’azienda, che sta alla base del criterio del c.d. fair value e di tutti quelli, analoghi o derivati, che ad esso si riconducono.
La funzione di preservare il capitale sociale, quale garanzia per i terzi, si lega alla finalita’ prudenziale di molti criteri redazionali.
Nel complesso, la disciplina positiva mostra una traslazione dall’idea tradizionale del capitale sociale minimo come strumento di tutela del ceto creditorio a quella di tale ruolo invece affidato all’equilibrio finanziario ed alla capacita’ di reddito dell’impresa, a loro volta propiziate da una corretta organizzazione di essa.
Si noti come l’ordinamento tuttora considera il capitale sociale uno strumento di tutela contro la tendenza alla traslazione del rischio ai terzi: si pensi al divieto di distribuire utili in presenza di perdite (articolo 2433 c.c.) ed alle norme sulla riduzione del capitale sociale (articolo 2445-2447 c.c.); si intende tutelare, quindi, una frazione determinata del patrimonio netto, quale condizione per la costituzione e la continuazione dell’impresa societaria. Ancora, il capitale svolge una funzione informativa e di emersione della crisi.
Vero e’ che sussiste una diversa tendenza legislativa del legislatore comunitario e nazionale, palesata dalle previsioni sui conferimenti senza stima, il necessario versamento immediato di appena il 25% del capitale conferito e la facolta’ di sostituirlo con una fideiussione, dalla significativa riduzione del capitale minimo della s.p.a., dalla s.r.l. semplificata ed a capitale ridotto (di cui residua l’articolo 2463-bis c.c. sul capitale minimo di 1 Euro), dalle starticolo up innovative, dalla L.Fall., articolo 182-sexies, nonche’ da tutte le disposizioni che hanno sospeso gli obblighi di riduzione del capitale per perdite.
Sono segnali che ridimensionano la funzione del capitale sociale; questo, peraltro, pur nell’indubbia evoluzione subi’ta nell’ordinamento positivo, mantiene la perdurante funzione di garanzia per i creditori circa la consistenza patrimoniale minima della societa’ e, soprattutto, palesa una funzione organizzativa rilevante, in quanto parametro di riferimento di numerosi precetti.

 

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Orbene, cosi’ come la funzione del capitale e’ stata in parte ridimensionata dall’ordinamento, del pari il criterio prudenziale e’ affiancato da altri, avendo il legislatore, in plurime occasioni, favorito l’emergere dei valori patrimoniali reali.
Da tempo, si e’ chiarito che le norme del codice civile e delle leggi speciali sui criteri redazionali del bilancio d’esercizio delle societa’ di capitali sono norme giuridiche, dunque cogenti, le quali hanno si’ sovente un contenuto di discrezionalita’ tecnica, ma solo nel senso che cio’ dipende dalla loro derivazione storica e che, in talune evenienze, la norma giuridica ad essa fa rinvio: per cio’ stesso, tuttavia, rendendo giuridico il criterio tecnico richiamato ed, in ogni caso, sempre sindacabili le scelte operate, che non sono riconducibili all’ambito proprio di scelte insindacabili di gestione. Quel che si chiede ai redattori del bilancio e’, in altri termini, di individuare il modo piu’ aderente ai principi di correttezza, verita’ e chiarezza per fornire la rappresentazione contabile dell’elemento considerato, nel rispetto delle regole poste dal legislatore, tanto piu’ quando dettate a controbilanciare un particolare criterio di valutazione o stima.
Come e’ stato osservato, l’informazione di bilancio deve soddisfare la “correttezza giuridica” dell’informazione resa, perche’ l’esercizio della discrezionalita’ tecnica sia conforme alle norme dell’ordinamento giuridico.
Ne deriva che, pur quando il legislatore permette la stima dell’elemento oggetto di valutazione secondo il suo valore effettivo, e’ dovuto il rispetto della norma civilistica di redazione e dei precetti – di solito prudenziali – che ad essa si accompagnano, perche’ solo allora il bilancio potra’ dirsi rispettare il criteri della chiarezza, verita’ e correttezza redazionale (articolo 2423 c.c.).
4.2. – La valutazione delle immobilizzazioni consistenti in partecipazioni. Secondo l’articolo 2426 c.c., n. 1, le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, mentre il n. 4 della disposizione permette che le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate siano valutate “per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonche’ quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis”.
La disposizione, anche nel testo applicabile ratione temporis, aggiunge che negli esercizi successivi “le plusvalenze, derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile”.
La regola prudenziale del costo storico evita che si realizzi l’indebita restituzione ai soci dei conferimenti e si cagioni una perdita di patrimonio, impedendo in sostanza l’emergere di un valore positivo.
La valutazione secondo il metodo del patrimonio netto, invece, lascia emergere la c.d. sostanza economica del bene, come puo’ essere piu’ proficuo in talune evenienze, onde la riserva viene iscritta nel bilancio dall’organo amministrativo che opta per tale criterio. Ma torna la logica prudenziale, laddove la legge impone la costituzione di una “riserva non distribuibile” ai soci: in quanto potrebbe, allora, operarsi una distribuzione di utili solo sperati e, di fatto, la restituzione di patrimonio ai soci e la lesione dell’integrita’ del capitale sociale.
La regola e’ dunque dettata per evitare il rischio di indebite fuoriuscite di ricchezza dal patrimonio della societa’, ed, in particolare, la distribuzione di ricchezza tra i soci, impoverendo il patrimonio dell’ente e ponendo cosi’ a repentaglio le ragioni dei creditori, i quali invece hanno diritto ad essere soddisfatti con priorita’ rispetto ai soci (cosi’ Cass. 23 marzo 2004, n. 5740).
Al riguardo, questa Corte ha gia’ avuto modo di rilevare l’esistenza di un potere discrezionale di rivalutazione da parte degli amministratori, ma sempre secondo i criteri di legge, statuendo che non e’ in se’ illecita, in tema di azione di responsabilita’ contro gli amministratori, la mancata rivalutazione in bilancio delle partecipazioni in imprese controllate o collegate, pure consentita dall’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, perche’ si tratta di una scelta discrezionale rimessa all’organo gestorio, che ha la facolta’, e non l’obbligo, di valutare le menzionate immobilizzazioni finanziarie con il metodo del patrimonio netto, seguendo le modalita’ indicate dalla norma, invece di iscriverle al costo di acquisto (Cass. 28 maggio 2020, n. 10096).
Acquisiti dunque, perche’ derivanti dallo stesso testo letterale dell’enunciato di cui all’articolo 2426 c.c., taluni principi – la facolta’ di utilizzo del metodo del patrimonio netto, l’esigenza di esplicitare le ragioni del mutamento nella nota integrativa e l’obbligo di appostare in bilancio una corrispondente riserva non distribuibile – resta, tuttavia, la questione delle facolta’ e dei limiti di utilizzo di detta riserva.
4.3. – Le riserve. In via teorica, una riserva puo’ essere utilizzata per molti scopi, come la riduzione diretta delle perdite, l’aumento gratuito di capitale o la distribuzione ai soci come utile.

 

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La nozione di “disponibilita’ della riserva” o di “riserva disponibile” ha riguardo, appunto, alla possibilita’ di utilizzazione per gli scopi predetti.
Qualora la riserva sia prevista dal legislatore come “non distribuibile” (articolo 2426 c.c., n. 4, ultimo periodo; ma cfr. altresi’ articolo 2423 c.c., comma 5; Decreto Legislativo n. 28 febbraio 2005, n. 38, articolo 5 sui principi contabili internazionali; Decreto Legislativo 24 giugno 1998, n. 213, articolo 21, comma 4, disposizioni per l’introduzione dell’Euro nell’ordinamento nazionale, etc.), certamente l’ultimo uso menzionato della ripartizione fra i soci ne viene, per definizione, escluso.
Per quanto qui rileva, occorre stabilire se una riserva non distribuibile possa essere pero’ utilizzata al fine della riduzione delle perdite di esercizio.
4.4. – Le perdite. Com’e’ noto, le perdite di bilancio facultizzano od impongono alla societa’ di provvedere alla riduzione del capitale sociale, a seconda della loro entita’ in rapporto al capitale (articolo 2446 e 2447 c.c.).
La regola, affermatasi in giurisprudenza, e’ che rileva la “perdita netta”, ossia al netto delle riserve e delle poste di bilancio idonee a ridurla, prima di operare sul capitale (Cass. 2 aprile 2007, n. 8221; 23 marzo 2004, n. 5740).
Cio’ vuoi dire che – come non sussiste l’obbligo ne’ la facolta’ di ridurre il capitale per perdite ex articoli 2446-2447 c.c. qualora non esista una perdita nel senso indicato, cosi’ – viene meno la stessa perdita rilevante, ove sia imputata direttamente una posta disponibile a copertura della perdita rilevata.
4.5. – L’imputazione delle riserve a copertura delle perdite. Ma se il capitale e’ tuttora elemento preservato dal legislatore, in vista delle funzioni che gli competono, allora va confermato il principio secondo cui esso puo’ essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve, intaccate pero’ dalle perdite sulla base di un ordine successivo, il quale comporta l’imputazione delle medesime secondo una progressione rigida: dalla riserva meno vincolata e piu’ disponibile alla riserva piu’ vincolata e, quindi, meno disponibile.
Come ha affermato una non recente, ma condivisibile decisione (Cass. 6 novembre 1999, n. 12347), le disponibilita’ della societa’ devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilita’ con cui la societa’ stessa potrebbe deliberarne la destinazione ai soci. Al riguardo, il capitale sociale ha, dunque, “un grado di indisponibilita’ maggiore di quello relativo alla riserve legali, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili”; pertanto, “debbono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale”.
Questa Corte ha ribadito, in seguito, che le riserve “sono destinate a costituire un presidio avanzato del capitale medesimo” (Cass. 17 novembre 2005, n. 23269) e che “i “diversi strati” del netto, poiche’ sono progressivamente piu’ vincolati a garanzia dei creditori, possono e devono subire le decisioni dei soci di intaccarli nell’ordine (sopra indicato), restando preclusa ai soci la possibilita’ di far gravare le perdite sul netto meno vincolato, sino a quando esistono parti di netto meno vincolate o non vincolate” (Cass. 2 febbraio 2007, n. 8221).
Si tratta di principio posto a tutela di un interesse piu’ generale, che trascende quello del singolo socio, essendo dettato, in particolare, a protezione dell’affidamento che i terzi abbiano fatto sulla consistenza del capitale sociale, che, percio’, non puo’ essere intaccato prima che siano state esaurite le altre voci del patrimonio stesso.

 

Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate

 

Deve, dunque, confermarsi il principio, secondo cui le riserve appostate al passivo dello stato patrimoniale di una societa’ di capitali possono essere imputate a riduzione delle perdite (salvo diversa specifica previsione normativa) solo in un ordine di progressiva minore disponibilita’, da ultimo residuando, in tal caso secondo le maggioranze dell’assemblea straordinaria, l’operazione di riduzione del capitale sociale.
4.6. – La riserva non distribuibile ex articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4. L’obbligo d’iscrivere una riserva non distribuibile da plusvalenza nelle immobilizzazioni, consistenti in partecipazioni in imprese controllate, trova la sua ratio nel fatto che si tratta di valore ancora non realizzato.
Il valore della partecipazione al capitale di un’altra societa’ del gruppo non e’, di per se’, certo.
Come questa Corte ha gia’ rilevato, la valutazione delle partecipazioni sociali e’ problema complesso per gli economisti aziendali, avendo la dottrina economica da tempo concluso che nessun metodo da’ certezza di attendibilita’ assoluta, trattandosi sempre di individuare la migliore approssimazione verso una valutazione effettivamente adeguata (Cass. 21 luglio 2016, n. 15025).
Ne consegue che la riserva in questione e’ costituita da un valore solo stimato ma non ancora realizzato: essa non e’ certa e, dipendendo da una stima, potrebbe essere smentita in un successivo momento.
Si noti che, in presenza di altre deroghe alla regola prudenziale, di cui alcune sopra ricordate, il legislatore ha utilizzato l’analoga cautela di disporre l’iscrizione in bilancio di una “riserva non distribuibile”. Tutte le volte che il legislatore supera il criterio prudenziale e permette l’emersione di valori positivi semplicemente in forza dell’utilizzo di un certo criterio di valutazione, e non per utili effettivamente conseguiti, egli si fa invero carico, altresi’, di predisporre delle cautele.
Quella in esame e’ dunque, giocoforza, una riserva che deve essere intaccata – per il principio di imputazione delle riserve dalla meno vincolata alla piu’ vincolata – solo dopo che altre riserve prive del vincolo di non distribuibilita’ siano state gia’ erose dalle perdite.
Nell’ambito delle poste del patrimonio netto, pertanto, se si puo’ aderire all’opinione secondo cui la riserva da plusvalenza del valore delle controllate e’ utilizzabile a copertura delle perdite, tuttavia proprio per evitare l’effetto indiretto di derogare di fatto al regime della indistribuibilita’ e’ necessario che, per la regola della graduazione delle voci iscritte al patrimonio netto, difettino in bilancio poste del netto piu’ liberamente disponibili. Onde essa potra’ essere utilizzata per ridurre o eliminare le perdite soltanto dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio, ma prima del capitale; in mancanza, si verificherebbe la “liberazione” della riserva dal suo status di maggiore tutela, prima che le altre riserve siano state utilizzate a tal fine, in dispregio della ratio della disposizione.
Giova, infine, ricordare che il diritto positivo, quando ha previsto, per alcuni tipi di societa’, la redazione del bilancio d’esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, ha altresi’ dettato precetti redazionali specifici, volti proprio a preservare la ricchezza immessa nella societa’, impedendo la distribuzione o l’utilizzazione delle riserve cosi’ formate con le plusvalenze frutto di valutazione ed iscritte in bilancio, ma non realizzate. In ipotesi analoghe a quella in esame, il Decreto Legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, Esercizio delle opzioni previste dall’articolo 5 del reg. (CE) n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali (come integrato dal Decreto Legge 25 marzo 2019, n. 22, articolo 19-quater.1, lettera b, conv. in L. 20 maggio 2019, n. 41) ha previsto l’obbligo d’iscrizione degli utili non distribuibili in una riserva e, all’articolo 6, il divieto di distribuire utili d’esercizio in misura corrispondente alle plusvalenze iscritte nel conto economico in applicazione del criterio del fair value o del patrimonio netto (salvo gli utili corrispondenti a plusvalenze del conto economico da fair value per operativita’ in cambi, di copertura o riferibili a strumenti finanziari di negoziazione: cio’ perche’ tali plusvalenze, pur derivando da negoziazione, possono ritenersi quasi realizzate), permettendo, tuttavia, l’utilizzazione a copertura delle perdite delle riserve da fair value formate con gli utili non distribuibili, purche’ dopo l’utilizzazione delle riserve disponibili e della riserva legale. In sostanza, in tal caso le riserve derivanti dal metodo del patrimonio netto o da quello del fair value sono utilizzabili solo dopo le riserve disponibili e la riserva legale, in quanto riserve da utili realizzati, anteposte a quelle da utili non realizzati. Pertanto, il principio prudenziale ha consigliato di prevedere si’ la facolta’ di utilizzare, per la copertura delle perdite di esercizio, le riserve indisponibili derivanti da dette plusvalenze: ma pur sempre dopo l’imputazione a riduzione delle perdite di ogni altra riserva in bilancio, ivi compresa la riserva legale.
4.7. – Caso di specie. Sulla base di tali principi, puo’ essere dunque risolto il caso di specie.
Afferma parte controricorrente che il bilancio de quo reca iscritti nel netto utili portati a nuovo ed altre riserve distribuibili.
La sentenza non definitiva ha dato atto che la societa’, dal suo canto, sostiene l’esistenza di altre riserve in bilancio: le quali, a detta dell’appellante, erano “disponibili per tale copertura e per la distribuzione ai soci per ben Euro 8.740.305,50” (v. p. 6, ultimo periodo della motivazione).
Infine, la sentenza definitiva ricorda, da un lato, tali affermazioni, dall’altro riporta le risultanze della c.t.u., secondo cui in bilancio vi erano altre riserve distribuibili.
In sostanza, la ricorrente pretende che la riserva ex articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, sia puramente e semplicemente utilizzabile in ogni caso a copertura delle perdite, avendo essa stessa sostenuto la esistenza di ulteriori e diverse riserve disponibili in bilancio. Ne deriva che le altre riserve in bilancio avrebbero dovuto essere assorbite prioritariamente dalle perdite, secondo i principi sopra esposti.
In tal modo precisata la motivazione del giudice territoriale, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c., i due ricorsi devono essere respinti.
5. – Spese. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi riuniti e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimita’ in favore solidale delle controricorrenti, che liquida in Euro 13.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

 

Società partecipata e la riserva da plus valore delle controllate

 

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