Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|31 ottobre 2022| n. 32061.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente di conseguenza la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, potendo giustificarsi soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c..

Sentenza|31 ottobre 2022| n. 32061. Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Data udienza 19 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Spese di giudizio – Art. 92 cpc – Domanda articolata in un unico capo – Accoglimento in misura ridotta – Reciproca soccombenza – Esclusione – Condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali – Non sussiste – Compensazione totale o parziale – Giustificazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez.

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27264/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dello Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3318/18, depositata il 2 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 luglio 2022 dal Consigliere Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) propose opposizione al precetto notificatogli il 26 maggio 2014, con cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) gli avevano intimato il pagamento della somma di Euro 5.587,89, a titolo di onorari liquidati in favore degl’intimanti nella sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 678/14 del 14 febbraio 2014, e della somma di Euro 394,19, a titolo di spese e compensi relativi all’atto di precetto.
A sostegno della domanda, l’attore dedusse la nullita’ del precetto per difetto di procura ad litem e mancata indicazione della data di apposizione della formula esecutiva e della data di notificazione del titolo esecutivo, sostenendo inoltre che l’importo dovuto per le spese del giudizio di appello era pari ad Euro 140,00, anziche’ ad Euro 250,00, mentre il compenso dovuto per l’atto di precetto era pari ad Euro 135,00, anziche’ ad Euro 225,00.
Si costituirono i convenuti, e riconobbero di aver erroneamente indicato un maggiore importo di Euro 110,00, a titolo di spese liquidate per il giudizio d’appello, chiedendo la dichiarazione d’inammissibilita’ dell’opposizione.
1.1. Con sentenza dell’8 maggio 2017, il Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, accolse parzialmente l’opposizione, riconoscendo il diritto dei creditori di procedere ad esecuzione forzata limitatamente all’importo di Euro 5.740,85, e compensando per la meta’ le spese processuali, che per il residuo pose a carico dei convenuti.
2. Sull’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) spiegarono intervento nel giudizio (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) ed (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS).
2.1. Con sentenza del 2 luglio 2018, la Corte d’appello di Napoli ha accolto parzialmente l’impugnazione, dichiarando sussistente il diritto degli appellanti di procedere ad esecuzione forzata, limitatamente all’importo di Euro 5.872,08, compensando per un decimo le spese di entrambi i gradi di giudizio e condannando (OMISSIS) al pagamento del residuo.

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A fondamento della decisione, la Corte ha riconosciuto innanzitutto l’ammissibilita’ delle censure riguardanti la determinazione della somma dovuta, il regolamento delle spese e l’applicazione dell’articolo 96 c.p.c., in quanto qualificabili come motivi di opposizione all’esecuzione, dichiarando invece inammissibile la questione concernente la nullita’ del precetto per difetto di procura, in quanto espressamente disattesa dalla sentenza di primo grado e non riproposta dall’appellato con gravame incidentale. Ha dichiarato altresi’ inammissibile l’intervento spiegato dai terzi, non avendo gli stessi dimostrato la loro qualita’ di eredi, non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con gli altri creditori, ed essendo ormai decorso il termine per l’appello.
Nel merito, la Corte ha ritenuto sussistente l’interesse ad agire, nonostante l’esiguita’ dell’importo contestato, rilevando che l’opposizione aveva ad oggetto anche altri profili dell’atto di precetto, e dichiarando invece inammissibile, per difetto d’interesse, la questione concernente la cessazione della materia del contendere, poiche’ dalla relativa pronuncia non sarebbe derivato alcun effetto utile per i convenuti, dovendo la fondatezza dell’opposizione essere valutata ai fini del regolamento delle spese processuali. Ha escluso comunque che i convenuti avessero rinunciato all’importo indebitamente richiesto, ritenendo invece fondate le censure riguardanti l’ammontare del compenso dovuto per la redazione dell’atto di precetto, da determinarsi sulla base dell’importo del credito fatto valere con il precetto, e quindi dei compensi liquidati nel titolo esecutivo, maggiorati di IVA e CPA e delle spese vive, ed escluso invece il rimborso delle spese generali, non indicate nel titolo ne’ richieste con il precetto.
3. Avverso la predetta sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.
Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione dinanzi alla Terza Sezione civile, che con ordinanza del 14 ottobre 2021 ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, dando atto dell’avvenuta proposizione della seguente questione, ritenuta di particolare importanza, in ordine alla quale si registrano orientamenti contrastanti: “se sia corretta e costituzionalmente orientata l’interpretazione dell’articolo 92 c.p.c. secondo cui, nel caso di rilevante divario tra petitum e decisum, l’attore parzialmente vittorioso possa essere condannato alla rifusione di un’aliquota delle spese di lite in favore della controparte”.

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Ai fini della decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, (che ne ha prorogato l’applicazione alla data del 31 dicembre 2022).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., anche in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la compensazione di un decimo delle spese processuali, ponendo a suo carico il residuo. Premesso che, ai fini del regolamento delle spese, occorre tenere presente l’esito complessivo della lite, da valutarsi unitariamente, indipendentemente da quello delle singole fasi processuali, osserva che egli era risultato parzialmente vittorioso in entrambi i gradi del giudizio, essendo stata riconosciuta la fondatezza di un motivo di opposizione, con la conseguente rideterminazione dell’importo richiesto con l’atto di precetto. Afferma pertanto l’illegittimita’ della condanna alle spese, sostenendo che le stesse non avrebbero potuto essere poste neppure parzialmente a suo carico, ma solo compensate totalmente o parzialmente, con la condanna, in quest’ultimo caso, a carico dei convenuti.
2. Come ha rilevato la Terza Sezione civile nell’ordinanza interlocutoria, in ordine alla questione sollevata dal ricorrente, avente ad oggetto la possibilita’ di porre le spese processuali a carico della parte parzialmente vittoriosa, si sono sviluppati nella giurisprudenza di legittimita’ due diversi orientamenti.
2.1. Un primo orientamento, risalente nel tempo ma ancor oggi ampiamente diffuso, fornisce al predetto quesito una risposta negativa, affermando che in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice puo’, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., ed in applicazione del cosiddetto principio di causalita’, escludere la ripetizione di spese sostenute dalla parte vittoriosa ove le ritenga eccessive o superflue, ma non anche condannare la stessa parte vittoriosa ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza, poiche’ tale condanna e’ consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale (la cui ricorrenza richiede una specifica ed espressa motivazione) in cui tali spese siano state causate all’altra parte attraverso la trasgressione del dovere di cui all’articolo 88 c.p.c.; ne consegue che, qualora la parte attrice sia rimasta vittoriosa in misura piu’ o meno significativamente inferiore rispetto all’entita’ del bene che attraverso il processo ed in forza della pronuncia giurisdizionale si proponeva di conseguire, e la parte convenuta abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli avversari assunti, possono ravvisarsi (secondo il discrezionale apprezzamento, ad opera del giudice, del loro vario atteggiarsi) i giusti motivi atti a legittimare la compensazione, pro quota o per intero, delle spese tra le parti e non anche un’ipotesi di soccombenza reciproca (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 19/10/2015, n. 21083; 21/03/1994, n. 2653; Cass., Sez. I, 23/01/2012, n. 901; Cass., Sez. lav., 9/04/1986, n. 2493).

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Secondo tale impostazione, la nozione di soccombenza, che ai sensi dello articolo 91 c.p.c. costituisce il presupposto della condanna alle spese, si identifica esclusivamente con il rigetto integrale della domanda, e non risulta pertanto integrata ove con la sentenza venga liquidata una somma sensibilmente inferiore a quella richiesta dalla parte: la mera resistenza del convenuto alla pretesa dell’attore, in quanto eccessiva o solo parzialmente fondata, anche quando trova consenso nella statuizione del giudice, che accolga soltanto in parte la domanda, non si trasforma infatti in domanda riconvenzionale, e non puo’ quindi dar luogo alla soccombenza reciproca, la quale presuppone invece una pluralita’ di pretese contrapposte, totalmente o parzialmente accolte o rigettate dal giudice, con la conseguente attribuzione di vantaggi e svantaggi rispettivamente a favore ed a carico di entrambe le parti. Il criterio della soccombenza, ai fini dell’attribuzione dell’onere delle spese processuali, viene poi ritenuto non frazionabile in relazione all’esito delle varie fasi del giudizio, dovendo essere riferito in modo unitario e globale all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr. Cass., Sez. VI, 23/03/2016, n. 5820; Cass., Sez. VI, 18/03/2014, n. 6259; Cass., Sez. III, 28/09/2015, n. 19122; 12/05/2015, n. 9587).
Tale impostazione e’ stata fatta propria, in particolare, da una pronuncia in tema di opposizione all’esecuzione, la quale, in riferimento ad una fattispecie analoga a quella che costituisce oggetto del presente giudizio, ha affermato che, ove si accerti che il creditore abbia chiesto con il precetto il pagamento di una somma anche di poco eccedente quella dovuta, con conseguente accoglimento in parte qua dell’opposizione, e’ illegittima la condanna dell’opponente alla rifusione delle spese di lite, perche’ le spese sostenute dalla parte vittoriosa possono essere compensate, ma non addebitate alla stessa, neppure parzialmente (cfr. Cass., Sez. III, 11/10/2016, n. 20374).
2.2. Al predetto indirizzo se ne contrappone un altro, affermatosi in epoca piu’ recente ed improntato al principio di causalita’, secondo cui la soccombenza reciproca, che ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, giustifica la compensazione totale o parziale delle spese processuali, puo’ essere ravvisata non solo in presenza di una pluralita’ di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti, ma anche nell’ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto nel caso in cui la stessa sia articolata in piu’ capi, alcuni dei quali soltanto siano stati accolti, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialita’ abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento: pertanto, laddove sia disposta la compensazione parziale delle spese di lite, e’ la parte che abbia dato causa in misura prevalente agli oneri processuali, e alla quale quindi questi ultimi siano in maggior misura imputabili, quella che puo’ essere condannata al pagamento di tale corrispondente maggior misura (cfr. Cass., Sez. III, 15/01/2020, n. 516; 22/02/2016, n. 3438; Cass., Sez. I, 24/04/ 2018, n. 10113; Cass., Sez. VI, 23/09/2013, n. 21089).
A sostegno di tale principio, viene evidenziata l’unicita’ della nozione di soccombenza, riferibile tanto alla legittimazione all’impugnazione quanto alla regolamentazione delle spese processuali, osservandosi che, anche in caso di accoglimento dell’unica domanda proposta, cosi’ come in caso di accoglimento soltanto di alcune domande proposte dall’attore, non puo’ negarsi la sussistenza di una parziale reciproca soccombenza delle parti, dal momento che, in caso contrario, l’attore, in quanto non soccombente, non potrebbe essere neppure considerato legittimato ad impugnare la sentenza che abbia accolto la sua domanda soltanto in parte. Viene altresi’ sottolineata la comune radice del principio di causalita’ e di quello di soccombenza, entrambi espressivi della regola secondo cui alla parte le cui richieste siano state disattese dal giudice si imputano gli oneri processuali necessari ai fini della relativa decisione, per avervi dato causa: si rileva tuttavia che, mentre per il caso in cui vi sia una parte integralmente soccombente ed una integralmente vincitrice l’articolo 91 c.p.c. stabilisce, quale criterio di regolazione delle spese di lite, il principio della soccombenza, per il caso di soccombenza reciproca l’articolo 92 c.p.c., comma 2, si limita a prevedere la possibilita’ (non l’obbligo) della compensazione integrale o parziale, senza individuare il criterio in base al quale operare la scelta, il quale dev’essere quindi individuato nel principio di causalita’.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Ai fini dell’identificazione della parte alla quale sono imputabili in misura prevalente gli oneri processuali, si afferma poi che il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale (sebbene non arbitraria ma fondata sul criterio costituito dal principio di causalita’), la quale si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare un’ideale compensazione tra gli stessi (con la precisazione che, in tale ideale compensazione, alla parte che agisce vanno riconosciuti per intero gli oneri necessari per la proposizione delle pretese fondate, ridotti in ragione della maggior quota differenziale degli oneri necessari alla controparte per resistere anche alle pretese infondate), e cio’ sempre che non sussistano particolari motivi (da esplicitare in motivazione) tali da giustificare l’integrale compensazione, o comunque una modifica del carico delle spese (sotto il profilo della esclusione della ripetibilita’ di una quota di esse in favore della parte pur vittoriosa) in base alle circostanze di cui e’ possibile legittimamente tener conto ai sensi degli articoli 91 e 92 c.p.c., nel loro testo temporalmente vigente.
2.3. Non mancano peraltro decisioni che, ispirandosi ad un’opinione in qualche modo intermedia, e prendendo spunto anche dalle modifiche apportate all’articolo 91 c.p.c. dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, hanno ritenuto configurabile la soccombenza reciproca anche a fronte dell’accoglimento parziale di una pluralita’ di domande o dell’unica domanda proposta, ma hanno escluso, in tali ipotesi, la possibilita’ di porre le spese processuali in tutto o in parte a carico della parte risultata vittoriosa, affermando che tale condanna e’ consentita dall’ordinamento soltanto per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (cfr. Cass., Sez. III, 24/10/2018, n. 26918; 23/01/2018, n. 1572).
2.4. Nel sollecitare la rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite, la Terza Sezione civile svolge sei ordini di considerazioni, a suo avviso contrastanti con l’orientamento che ritiene ammissibile la condanna della parte parzialmente vittoriosa alla rifusione delle spese di lite, e riassumibili come segue: a) sul piano dell’interpretazione letterale, il rapporto tra la condanna alle spese e la compensazione delle stesse si configura come un rapporto di regola ad eccezione, risultando la prima prevista in via generale dall’articolo 91 c.p.c. e la seconda consentita dall’articolo 92 a determinate condizioni (violazione del dovere di correttezza, soccombenza reciproca o sussistenza di gravi motivi), in assenza delle quali torna ad operare la regola “victus victori”, b) sul piano dell’interpretazione logica, l’affermazione secondo cui la proposizione di una domanda di condanna eccedente la reale entita’ del credito costringe il convenuto a sostenere maggiori oneri di difesa trascura il fatto che il diritto al rimborso delle spese non preesiste alla sentenza, ma sorge con essa, e prescinde dalla considerazione delle spese che la parte soccombente ha dovuto sostenere per contrastare l’iniziativa giudiziaria avversa, c) nel caso in cui la domanda risulti eccessiva, il soccombente e’ tutelato dal principio, stabilito dal Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 5, comma 1, per cui le spese dovute alla parte vittoriosa vanno liquidate in base al decisum, d) sotto il profilo pratico, distinguere i maggiori oneri che il convenuto ha dovuto affrontare a causa dell’esosita’ della pretesa dell’attore da quelli che avrebbe dovuto comunque sostenere per la propria difesa potrebbe risultare velleitario, oltre che incompatibile con le esigenze di semplificazione ricollegabili al principio di ragionevole durata di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, e) qualificare la vittoria parziale come soccombenza parziale significa equiparare la posizione dell’attore a quella del convenuto, trascurando il fatto che solo il primo e’ costretto a ricorrere al giudice per far valere il proprio diritto, ed inducendolo pertanto indirettamente ad astenersi dal suo esercizio, in tutti i casi in cui il costo della lite possa superare il valore della stessa, in contrasto con l’articolo 24 Cost., f) l’orientamento in questione allarga eccessivamente l’area della discrezionalita’ del giudicante, attribuendogli poteri valutativi assai ampi ed insindacabili in sede di legittimita’.
2.5. Alcune delle obiezioni sollevate dall’ordinanza interlocutoria colgono sicuramente nel segno, pur richiedendo qualche precisazione.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

In particolare, pur dovendosi condividere l’individuazione del principio di soccombenza quale canone generale in tema di regolamentazione delle spese di lite, non puo’ ritenersi del tutto corretta l’affermazione secondo cui tra l’imposizione del relativo onere a carico della parte soccombente e la compensazione delle spese intercorre un rapporto di regola ad eccezione. Tale opinione aveva gia’ costituito oggetto di critica sotto la vigenza del testo originario dell’articolo 91 c.p.c., comma 1, e articolo 92 c.p.c., comma 2, in virtu’ dell’osservazione che, mentre la prima disposizione stabiliva in linea generale che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte”, la seconda non limitava l’ammissibilita’ della compensazione all’ipotesi di soccombenza reciproca, ma consentiva di disporla anche in presenza di “giusti motivi”: l’ampiezza di tale nozione, considerata riferibile ad ipotesi non suscettibili di riconduzione ad una specifica enunciazione o elencazione, aveva indotto infatti a riconoscere il carattere discrezionale della valutazione rimessa al giudice in ordine alla sussistenza dei predetti motivi ed alla loro idoneita’ a giustificare la compensazione, ritenuta non sindacabile in sede di legittimita’, a meno che non risultasse fondata su un ragionamento illogico od erroneo. Tale discrezionalita’, com’e’ noto, aveva subito una rilevante limitazione dapprima per effetto della L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, che, al fine di porre rimedio ad un eccessivo e sovente ingiustificato ricorso alla compensazione, aveva modificato dell’articolo 92, il comma 2 introducendovi un inciso che richiedeva l’esplicita indicazione in motivazione dei giusti motivi ritenuti idonei a legittimarla, ed in seguito ad opera della L. n. 69 del 2009, articolo 45, comma 11, che aveva ulteriormente ristretto l’ambito del potere discrezionale spettante al giudice, sostituendo la locuzione “giusti motivi” con quella, ben piu’ pregnante, “gravi ed eccezionali ragioni”, anch’esse da indicarsi esplicitamente in motivazione. Soltanto con il Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 132, articolo 13, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, il legislatore ha provveduto ad individuare specificamente le ipotesi in cui e’ consentita la compensazione delle spese, sopprimendo il riferimento alle “gravi eccezionali ragioni”, e sostituendolo con quello all'”assoluta novita’ della questione trattata” o al “mutamento della giurisprudenza, rispetto alle questioni dirimenti”. La tassativita’ di tale elencazione ha tuttavia subito un parziale temperamento per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, che ha ripristinato il predetto potere discrezionale, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’articolo 92, comma 2, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistessero altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
In tale occasione, il Giudice delle leggi ha avuto modo di precisare la portata del principio stabilito dall’articolo 91 c.p.c., richiamando proprie precedenti pronunce, nelle quali aveva affermato che “l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile, potendosene profilare la derogabilita’ sia su iniziativa del giudice nel singolo processo, quando ricorrono giusti motivi ex articolo 92 c.p.c., comma 2, sia per previsione di legge – con riguardo al tipo di procedimento – in presenza di elementi che giustifichino la diversificazione dalla regola generale” (cfr. ord. n. 117 del 1999, avente ad oggetto la dichiarazione d’infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale della L. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consente di condannare il ricorrente, nel caso di soccombenza, e salva l’applicazione dell’articolo 92 c.p.c., al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente costituitasi a mezzo di propri funzionari; sent. n. 196 del 1982, avente ad oggetto la dichiarazione d’infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, articolo 39 nella parte in cui escludeva la condanna alle spese nel processo tributario; sent. n. 222 del 1985, avente ad oggetto la dichiarazione d’infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 489 c.p.p., u.c., previgente, nella parte in cui non consentiva la compensazione delle spese processuali tra l’imputato e la parte civile).
Il carattere tutt’altro che inderogabile del principio di soccombenza e’ stato evidenziato anche da parte della dottrina, la quale, nell’individuarne la ratio nell’esigenza di evitare che il processo vada a detrimento di chi ha ragione, e quindi di assicurare alla parte vittoriosa la restituzione di un diritto pienamente integro anche sotto il profilo economico, ha segnalato l’esistenza di una serie di ipotesi in cui la sua applicazione non potrebbe trovare una ragionevole giustificazione. In quest’ottica, si e’ affermata per un verso la natura indennitaria della condanna alle spese, non riconducibile ad una condotta illecita della parte a carico della quale viene pronunciata, ma al dato obiettivo della soccombenza, e quindi svincolata dalla valutazione dell’elemento soggettivo, che puo’ dar luogo alle conseguenze risarcitorie previste dall’articolo 96 c.p.c.; per altro verso, si e’ osservato che il principio in esame non e’ riferibile a quei casi in cui il ricorso al giudice risulta inevitabile per la parte che intenda ottenere determinati effetti, pur in presenza dell’adesione della controparte alla pretesa azionata, o comunque della mancata contestazione del diritto al conseguimento del provvedimento richiesto: sono state richiamate, in proposito, oltre all’ipotesi della condanna alle spese del contumace ed alle azioni costitutive necessarie, quella del giudizio di divisione, in cui le spese sono poste a carico della massa o di ciascuno degli eredi, quella del giudizio di verificazione delle scritture, ove la domanda sia proposta in via principale, quella dell’estinzione del processo per inattivita’ delle parti, in cui le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate, quella della rinuncia agli atti, in cui le spese restano a carico del rinunciante, e quella del processo di esecuzione, in cui le spese sono poste a carico del debitore, pur in assenza di una controversia in ordine all’esistenza del diritto azionato.
E’ proprio l’esistenza di siffatte ipotesi ad aver indotto parte della dottrina ad individuare il fondamento della condanna alle spese in un principio piu’ generale, quello di causalita’, in virtu’ del quale i costi del processo devono essere fatti gravare, in definitiva, sulla parte che avrebbe potuto evitare la lite e che invece vi ha dato causa: tale principio, del quale il criterio della soccombenza costituirebbe soltanto un’applicazione o un indice rivelatore, implica una valutazione della condotta tenuta dalla parte sia prima che nello ambito del processo, al fine di verificare se la stessa vi abbia dato origine, lasciando insoddisfatta un pretesa della quale sia stata poi accertata la fondatezza o azionando una pretesa della quale sia stata riconosciuta l’infondatezza, o ne abbia prolungato la durata, resistendovi in forme o con argomenti non conformi al diritto (cfr. nella giurisprudenza di legittimita’, Cass., Sez. III, 30/03/2010, n. 7625, riguardante un genitore, convenuto in riconvenzionale nella qualita’ di legale rappresentante del figlio minore, che, a seguito del rigetto della domanda riconvenzionale in primo grado, si era costituito in appello unitamente al figlio, divenuto maggiorenne nelle more del giudizio di primo grado, resistendo all’impugnazione della controparte; 15/10/2004, n. 20335, relativa al caso in cui un attore aveva dedotto, in via alternativa o solidale, come fatti costitutivi di un medesimo evento dannoso ed in funzione di un’unica domanda di risarcimento dei danni, comportamenti illeciti di soggetti diversi; Cass., Sez. II, 26/01/2006, n. 1513, avente ad oggetto una controversia relativa all’estinzione del processo).
La necessita’ che i costi del processo siano sopportati dalla parte che con il suo comportamento ha reso necessaria l’attivita’ del giudice ed ha occasionato le spese del suo svolgimento e’ stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale (cfr. sent. n. 135 del 1987), la quale, tuttavia, pur desumendone l’irragionevolezza della disciplina dettata dal Decreto Legge n. 132 del 2014, articolo 13, comma 1, nonche’ il contrasto della stessa con i canoni del giusto processo e del diritto alla tutela giurisdizionale, nella parte in cui escludeva la facolta’ del giudice di compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, anche nell’ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti o in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravita’ ed eccezionalita’ di quelle tipiche espressamente previste dalla medesima disposizione, ha tenuto a ribadire la portata generale del principio di soccombenza, affermando che “l’alea del processo grava sulla parte soccombente perche’ e’ quella che ha dato causa alla lite, non riconoscendo, o contrastando, il diritto della parte vittoriosa ovvero azionando una pretesa rivelatasi insussistente”, ed aggiungendo che “e’ giusto, secondo un principio di responsabilita’, che chi e’ risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa”; in proposito, essa ha posto in risalto anche l’accessorieta’ della regolamentazione delle spese rispetto alla pronuncia che definisce il giudizio, nonche’ il carattere funzionalmente servente di tale regolamentazione rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito, precisando che, sebbene non costituisca una regola assoluta, la liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa costituisce il normale complemento dell’accoglimento della domanda (cfr. sent. n. 77 del 2018; v. anche sent. n. 303 del 1986).

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

In quest’ottica, pur dovendosi escludere il carattere eccezionale della compensazione, non limitata ad ipotesi tassativamente previste ma riferibile anche ad altre situazioni la cui valutazione e’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice, non puo’ condividersi l’ampia applicazione del principio di causalita’ propugnata dall’orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali, nonostante il parziale accoglimento della domanda. Se e’ vero, infatti, che nel nostro ordinamento processuale coesistono criteri diversi di regolamentazione delle spese di lite, non tutti improntati al principio di soccombenza e destinati a far fronte a situazioni diverse, e’ anche vero, pero’, che al di fuori di tali ipotesi torna a trovare applicazione la regola generale, la quale esige che a sopportare le spese del processo sia colui che, come affermato da un’autorevole dottrina, risulta vinto nella lotta giudiziale: e tale e’ indubbiamente anche la parte che, pur avendo agito o resistito in giudizio con argomentazioni ritenute parzialmente fondate dal giudice, abbia visto accogliere, sia pure in misura ridotta, quelle della controparte. In tal senso depone chiaramente l’insistenza del Giudice delle leggi sulla “gravita’ ed eccezionalita’” delle ragioni richieste ai fini della compensazione, nonche’ la sottolineatura da parte dello stesso del rischio, posto in rilievo anche dall’ordinanza interlocutoria, che la prospettiva di una condanna alle spese possa scoraggiare la parte che ha ragione dal far valere in giudizio i propri diritti, con conseguente menomazione del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dagli articoli 24 e 111 Cost.. In senso contrario ad un’ampia operativita’ del principio di causalita’ e’ stata peraltro sottolineata anche l’opinabilita’ degli esiti di una valutazione estesa al comportamento preprocessuale delle parti, in ordine al quale il giudice dispone per lo piu’ d’informazioni sommarie ed incomplete, tali da impedire o da rendere comunque estremamente difficoltosa l’individuazione della parte che, al di la’ del torto o della ragione riconosciutale dal provvedimento che risolve la lite, vi ha dato effettivamente causa, ingiustificatamente insistendo in una pretesa poi rivelatasi parzialmente infondata o resistendo ad una pretesa poi risultata parzialmente fondata. Non puo’ d’altronde non rilevarsi che, in buona parte delle ipotesi prese in considerazione dalla dottrina a sostegno della ritenuta operativita’ di criteri diversi da quello della soccombenza, l’inapplicabilita’ di quest’ultimo trova giustificazione proprio nella difficolta’ di individuare una parte vittoriosa, a causa della mancata adozione di una pronuncia sul merito della controversia: emblematici, in proposito, sono il caso dell’estinzione del processo per inattivita’, nel quale le spese restano a carico di ciascuna delle parti soltanto nell’ipotesi in cui non insorgano contestazioni relativamente all’avvenuta verificazione dell’effetto estintivo (cfr. Cass., Sez. II, 14/07/2021, n. 20073; 27/06/2005, n. 13736; Cass., Sez. VI, 14/01/ 2016, n. 533), e quello della divisione, in cui l’imposizione delle spese a carico della massa, giustificata dal comune interesse dei condividenti allo scioglimento della comunione, incontra un limite con riguardo a quelle derivanti da eccessive pretese o inutili resistenze, che vanno regolate in base al principio della soccombenza, salva la possibilita’ di disporne la compensazione (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2020, n. 1635; 8/10/2013, n. 22903; 13/02/2006, n. 3083). Carattere effettivamente eccezionale riveste invece l’ipotesi, contemplata dal secondo periodo dell’articolo 91 c.p.c., comma 1, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, articolo 45, comma 10, della condanna alle spese della parte che abbia visto accogliere la propria domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa, trattandosi di una misura ritenuta lato sensu sanzionatoria, e comunque volta ad incentivare l’adesione alla predetta proposta, la cui previsione non smentisce affatto, ma semmai conferma, l’impossibilita’ di far gravare altrimenti le spese sulla parte vittoriosa, in caso di accoglimento non integrale della domanda.
Al di la’ di tali obiezioni, cio’ che non convince, nell’orientamento che ritiene ammissibile la predetta condanna, e’ la stessa nozione di soccombenza reciproca, ritenuta comprensiva non solo dell’ipotesi in cui siano state avanzate una pluralita’ di domande contrapposte o anche solo una domanda articolata in una pluralita’ di capi, ma anche di quella in cui sia stata proposta una unica domanda, accolta in misura sensibilmente ridotta: e cio’ sia in considerazione della valenza semantica generalmente attribuita all’aggettivo “reciproca”, la cui utilizzazione da parte del legislatore evoca una pluralita’ di azioni rivolte in direzione opposta tra i medesimi soggetti, sia in ragione della difficolta’ di accomunare, sotto il profilo concettuale, la soccombenza che giustifica la condanna alle spese a quella che legittima la parte all’impugnazione della decisione. Determinante, in senso contrario a tale assimilazione, appare la diversita’ del parametro da adottare come riferimento ai fini della relativa valutazione, costituito nel secondo caso dal mancato accoglimento ad opera del provvedimento impugnato anche soltanto di alcune delle istanze proposte dalla parte, e nel primo dall’esito complessivo della lite, comprendente anche le istanze eventualmente accolte o rigettate nei precedenti gradi di giudizio: significativa, al riguardo, e’ la circostanza che la riforma o la cassazione anche parziale della decisione impugnata comporti la caducazione della statuizione relativa alle spese processuali, imponendo la totale rinnovazione del relativo regolamento, ai fini del quale occorre tenere conto anche delle predette istanze.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Sotto il profilo pratico, infine, l’orientamento in discussione presenta difficolta’ applicative di non scarso rilievo, risultando tutt’altro che agevole tanto l’individuazione in concreto della misura, astrattamente definita “sensibile”, oltre la quale la soccombenza unilaterale e’ destinata a trasformarsi in soccombenza reciproca, quanto la determinazione dei maggiori oneri processuali che la parte resistente ha dovuto sopportare a causa della parziale infondatezza della pretesa avanzata dalla controparte; impraticabile deve ritenersi, a tal fine, l’operazione di ideale imputazione ipotizzata da una delle pronunce richiamate (cfr. Cass., Sez. III, 22/02/2016, n. 3438), la quale, oltre a presupporre la possibilita’ di distinguere, tra gli oneri sopportati dalla parte, quelli sostenuti per avanzare pretese fondate o per resistere a pretese infondate da quelli sopportati per aver avanzato pretese infondate o per aver resistito a pretese fondate, si pone in contrasto con la natura stessa della compensazione prevista dall’articolo 92 c.p.c.: poiche’, infatti, come correttamente rilevato dall’ordinanza interlocutoria, l’obbligo di rifondere le spese processuali non preesiste alla sentenza che definisce il processo, ma sorge soltanto a seguito della stessa, che individua la parte tenuta a sopportarne il carico e ne determina anche la misura, l’istituto in esame non e’ in alcun modo assimilabile a quello disciplinato dagli articoli 1241 e ss. c.c., il quale postula invece la coesistenza di reciproche ragioni di credito e di debito, suscettibili di estinzione per quantita’ corrispondenti, ma dev’essere inteso piu’ propriamente come esclusione totale o parziale della ripetibilita’ delle spese processuali, che non richiede affatto la predeterminazione di quelle dovute a ciascuna delle parti.
Preferibile appare dunque la conferma dell’opposto indirizzo, che circoscrive la fattispecie della soccombenza reciproca all’ipotesi di pluralita’ di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ritenendola configurabile anche in presenza di un’unica domanda articolata in piu’ capi, dei quali soltanto alcuni siano stati accolti, ed escludendola invece nel caso in cui sia stata proposta una domanda articolata in un unico capo, il cui accoglimento, anche in misura sensibilmente ridotta, non consente la condanna della parte risultata comunque vittoriosa al pagamento delle spese processuali, potendone giustificare, al piu’, la compensazione totale o parziale.
Tale orientamento, infatti, oltre a risultare maggiormente conforme alla disciplina dettata dal codice di rito, orientata in senso favorevole ad una limitazione della discrezionalita’ spettante al giudice in materia di regolamentazione delle spese processuali, prospetta una regola di facile e pronta applicazione, idonea a garantire il pieno dispiegamento del diritto alla tutela giurisdizionale, evitando, nel contempo, incertezze operative foriere d’impugnazioni limitate alle spese, in linea con il principio di ragionevole durata del processo, sancito dall’articolo 111 Cost., comma 2, che impone di preferire, per quanto possibile, soluzioni mirate al contenimento delle fasi e dei tempi del giudizio.
Conclusivamente, il contrasto di giurisprudenza segnalato dall’ordinanza interlocutoria puo’ essere risolto mediante l’enunciazione del principio di diritto secondo cui “in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non da’ luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralita’ di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in piu’ capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma puo’ giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’articolo 92 c.p.c., comma 2”.
2.6. Alla stregua di tale principio, non puo’ condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, facendo leva sull’esito estremamente limitato della opposizione a precetto, che aveva comportato la riduzione del credito azionato per un importo assai esiguo, e ponendo altresi’ in risalto l’accoglimento parziale dell’appello proposto dagl’intimanti, ha individuato nell’opponente la parte sostanzialmente soccombente, condannandolo al pagamento dei nove decimi delle spese processuali, e dichiarando compensato il residuo.

Spese processuali e l’accoglimento in misura ridotta anche sensibile di una domanda

Tale statuizione, oltre a porsi in contrasto con le considerazioni svolte in precedenza, non tiene conto dell’esito complessivo del giudizio, contrassegnato dall’accertamento della fondatezza delle contestazioni sollevate dall’opponente in ordine all’importo del credito azionato con l’atto di precetto, ne’ del comportamento processuale tenuto dagl’intimanti, i quali, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, pur avendo riconosciuto di aver commesso un errore nell’indicazione della somma dovuta, non avevano mai espressamente rinunciato al maggior importo richiesto, in tal modo rendendo necessaria la proposizione della domanda giudiziale.
3. La sentenza impugnata va pertanto cassata, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c., con l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di merito.
La complessita’ della questione trattata, oggetto di contrastanti orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, giustifica anche la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, compensa integralmente le spese dei primi due gradi di giudizio. Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimita’.

 

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