Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 12 aprile 2016, n. 1425

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7564 del 2015, proposto da:

Mo. Gu., rappresentato e difeso dall’avv. Fr. Nu., con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza (…);

contro

U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00560/2015, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall’amministrazione su istanza di emersione di lavoro irregolare;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria e di Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 il Cons. Alessandro Palanza e udito per le parti l’avvocato Ro. su delega di Nu. e l’avvocato dello Stato Tito Va.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Il signor Gu. Mo. ha impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 560/2015, con la quale è stato respinto il suo ricorso per la declaratoria d’illegittimità del silenzio serbato dalla Prefettura di Reggio Calabria sull’istanza di emersione di lavoro irregolare presentata dal suo datore di lavoro, sig. Domenico Rodi, in data 11 ottobre 2012.

2. – La sentenza ha ritenuto che la procedura di emersione risulta attivabile soltanto su istanza del datore di lavoro, unico soggetto con il quale lo Sportello Unico Immigrazione intrattiene rapporti, sia per la richiesta di integrazioni documentali, sia per ogni altro tipo di comunicazione, come il preavviso di diniego ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 e tenuto altresì conto che la stipulazione del contratto di soggiorno (in caso di esito positivo dell’istruttoria) dipende esclusivamente dal datore di lavoro, tant’è vero che la rinuncia all’istanza di emersione comporta l’archiviazione della pratica.

3. – L’appellante contesta la tesi sostenuta dalla sentenza impugnata richiamando la giurisprudenza di diversi TAR, che hanno invece ritenuto che il lavoratore extracomunitario abbia legittimazione al pari del datore di lavoro ad agire per la declaratoria di illegittimità del silenzio della pubblica amministrazione per la mancata adozione del provvedimento conclusivo dell’istanza di emersione da lavoro irregolare. Il lavoratore extracomunitario ha certamente un interesse meritevole di tutela alla regolarizzazione della propria posizione lavorativa e di soggiorno, dalla quale dipende l’accesso a diritti primari della persona ad iniziare da quello alla tutela della propria salute.

4. – L’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio senza articolare difese.

5. – La causa è stata chiamata ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 10 dicembre 2015.

6. – L’appello è fondato nei limiti della presente motivazione.

6.1. – Il Collegio ritiene che non possa essere condivisa la tesi del TAR secondo la quale “sussiste la legittimazione ad impugnare il silenzio rifiuto soltanto per il datore di lavoro” nell’ambito della procedura di emersione. Secondo questo Collegio potrebbe semmai porsi la questione (che viene approfondita più avanti al punto 6.4) che manchi in assoluto – sia per il datore di lavoro che per il lavoratore extracomunitario interessato – la possibilità di agire con la procedura del silenzio verso la mancata adozione dei provvedimenti concernenti l’immigrazione, privi di un termine specifico, come quelli per la emersione dal lavoro irregolare, in ragione del fatto che l’art. 2, comma 4, della legge n. 241 esclude la possibilità di applicare la disciplina dei termini previsti in via generale dal medesimo articolo per tutti i procedimenti amministrativi ai provvedimenti riguardanti la cittadinanza italiana e l’immigrazione.

6.2. – Non è invece in alcun modo sostenibile la tesi che tale legittimazione manchi solo per il lavoratore extracomunitario a motivo del fatto che spetta al datore di lavoro di avviare la procedura e che è il datore di lavoro l’interlocutore dell’Amministrazione durante tutta la procedura. Non aggiunge nulla di determinante il fatto che la rinuncia alla istanza di emersione da parte del datore di lavoro comporta l’archiviazione della pratica. Quello che conta è che in nessun caso nei moderni ordinamenti giuridici una persona può essere considerata mero oggetto di una procedura di cui è parte, tanto meno nell’ordinamento costituzionale italiano nel quale non vi è alcun dubbio sul fatto che l’art. 2 della costituzione sui diritti inviolabili della persona si applica allo stesso modo a cittadini e a stranieri. Inoltre non può neppure ricostruirsi in termini solo passivi la posizione soggettiva del lavoratore extracomunitario nella procedura di emersione, della quale egli è un soggetto necessario, al pari del datore di lavoro, anche se con minori facoltà quanto all’avvio della procedura (ma non riguardo alla sua interruzione, dal momento che anche il lavoratore straniero può in qualsiasi momento rinunciare ad essa). Egli è inoltre titolare di numerose posizioni soggettive a cominciare dai requisiti che deve possedere perché la procedura possa avviarsi e che devono essere accertati attraverso la sua attiva collaborazione. Infine la impossibilità di concepire una mancanza di legittimazione ad azionare la procedura in capo al lavoratore extracomunitario è attestata pure dal fatto oggettivo che essa sarebbe del tutto incompatibile con tutta la sterminata giurisprudenza, che ha riconosciuto la piena legittimazione del cittadino comunitario ad impugnare gli atti relativi alla procedura di emersione allorché la istanza sia respinta o i suoi interessi risultino comunque lesi dal provvedimento adottato, non essendovi una sostanziale differenza della sua posizione rispetto alle diverse procedure di impugnazione che riguardino l’emersione.

6.4. – La vera questione da approfondire sulla base di una non del tutto univoca giurisprudenza del consiglio di Stato è quella già indicata al punto 6.1. relativa alla azionabilità della procedura del silenzio con riferimento al provvedimento conclusivo del procedimento di emersione dal lavoro irregolare in relazione a quanto previsto per i provvedimenti in materia di immigrazione dalla disciplina generale dei termini amministrativi prevista dalla legge n. 241/1990.

6.5. – La giurisprudenza più recente di questa Sezione, ed in particolare le sentenze 25 febbraio 2014, n. 891, 10 settembre 2014, n. 4607, 21gennaio 2015, n. 206, 17 novembre 2015, n. 5262, hanno esaminato e analizzato la disciplina dei termini dei procedimenti amministrativi prevista dall’art. 2 della legge n. 241/1990 ed in specie i commi 2, 3, 4:

“2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.

3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.

4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.”

6.6. – Considerata la sequenza delle soprariportate norme, la richiamata giurisprudenza ne deduce la evidenza che l’esclusione della materia dell’immigrazione, di cui all’ultimo periodo del sopra riportato comma 4, riguarda l’intero sistema dei termini per il procedimento amministrativo prevista dai tre commi e a maggior ragione il termine più breve previsto dal comma 2. Lo dimostra anche il fatto che la disciplina attuativa del sopra riportato comma 3, per il Ministero dell’Interno adottata con il dpcm n. 214/2012, che regola i termini dei procedimenti amministrativi di durata non superiore a novanta giorni, di competenza del Ministero dell’Interno, non considera tra questi la procedura di emersione.

6.7. – Anche il termine di 60 giorni previsto dall’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 286/1998, come modificato dal d.lgs. n. 40/2014, per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno non è perentorio, come dimostrano senza alcun ombra di dubbio le disposizioni del successivo comma 9 bis del medesimo articolo, che disciplinano la situazione dello straniero conseguente al superamento del termine stesso, prevedendo la possibilità di svolgimento o di continuazione del lavoro a determinate condizioni.

6.8. – Di conseguenza, la giurisprudenza del Consiglio di Stato deduce dalla sopra riportata normativa la non estensibilità dei termini previsti dalla disciplina generale dei termini del procedimento amministrativo di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990 alla procedura di emersione in base alla espressa esclusione della materia dell’immigrazione, che la stessa normativa prevede. Oltre alle deduzioni direttamente conseguenti dalla lettura delle disposizioni soprarichiamate, può aggiungersi che la ragionevolezza della assenza di termini per la conclusione del procedimento di emersione deriva dal fatto che, nell’ambito dei procedimenti relativi all’immigrazione, di particolare complessità sul piano amministrativo, tale procedura ha natura del tutto eccezionale coinvolgendo soggetti eterogenei tra loro, sia per gli interessi di cui sono portatori, sia per i plurimi requisiti da verificare per ciascuno di essi.

6.9. – Deve essere tuttavia richiamata e valorizzata ai fini della definizione della presente causa anche la sentenza 14 gennaio 2015 n. 59, anche essa di questa medesima III Sezione del Consiglio di Stato come quelle soprarichiamate, la quale sentenza si è pronunciata in modo parzialmente diverso, riconoscendo l’obbligo dell’Amministrazione a provvedere (senza pronunciarsi su quale sia il termine che la stessa Amministrazione dovrebbe ordinariamente rispettare) e fissando solo il termine di 30 giorni dalla comunicazione della medesima sentenza all’Amministrazione per provvedere nella singola fattispecie. Richiamando espressamente la sentenza n. 59, l’obbligo di provvedere della Amministrazione nei tempi più rapidi possibili è stato riconosciuto anche dalle sentenze più recenti di questa stessa Sezione 13 maggio 2015 n. 2384, 13 maggio 2015, n. 2407, n. 17 novembre 2015 n. 5262, già in precedenza richiamate, le quali hanno però concluso con l’accoglimento dell’appello dell’Amministrazione e, in riforma della sentenza impugnata, con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado avverso al silenzio dell’Amministrazione per mancanza di un termine fissato dalla legge e la inapplicabilità dei termini generali fissati dall’art.2 della legge n. 241/1990.

6.10. – La questione deve pertanto essere ulteriormente approfondita. Occorre infatti trarre tutte le conseguenze dall’affermazione contenuta nelle sentenze da ultimo citate, che, pur in assenza di un termine, hanno comunque statuito che sussisteva un obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi nel più breve tempo possibile riprendendo solo in parte la netta e coerente statuizione della sentenza n. 59.

6.11. – Bisogna superare in un senso o nell’altro la contraddizione nella giurisprudenza più recente della Sezione. Questo Collegio ritiene di poter armonizzare i diversi orientamenti nel senso di riaffermare l’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi – anche in assenza di un termine perentorio stabilito in via normativa – sulla base del principio generale per il quale ogni procedimento amministrativo ha un termine. Tale principio consente di fondare la legittimazione ad agire attraverso la procedura del silenzio, quando sono stati superati limiti ragionevoli e non sussistono cause giustificative oggettivamente rilevabili o formalmente dichiarate dall’Amministrazione con atti interlocutori. In tali casi sussiste l’interesse tutelato delle parti alla conclusione del procedimento di emersione, anche se poi spetterà al giudice di valutare se vi sono le condizioni per fissare un termine e quale debba essere questo termine in relazione al tempo trascorso e alla esistenza o meno di cause giustificative.

6.12. – Nel caso di specie è trascorso un tempo notevole e non si riscontra la esistenza di cause impeditive. Deve pertanto concludersi nel senso dell’accoglimento dell’appello quanto al riconoscimento della legittimazione a ricorrere mediante procedura del silenzio avverso alla mancata conclusione del procedimento di emersione in tempi ragionevoli e alla affermazione dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere. Quanto al termine esso deve essere fissato in modo ragionevole e proporzionato alla procedura in essere. Pertanto nel caso di specie questo Collegio ritiene di fissarlo in via provvisoria in sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza per analogia con il già ricordato termine ordinatorio previsto dall’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 286/1998, come modificato dal d.lgs. n. 40/2014. Il Collegio si riserva inoltre di nominare su istanza di parte un Commissario ad Acta, se il termine dovesse scadere inutilmente e l’Amministrazione non abbia fornito alcuna idonea causa giustificativa. In tale ultimo caso si fisserà un nuovo termine proporzionato alla causa giustificativa riconosciuta valida.

13. – In base alle considerazioni che precedono l’appello deve essere accolto nei limiti di cui alla motivazione, accogliendosi negli stessi limiti il ricorso in primo grado con corrispondente riforma della sentenza impugnata.

14. – In relazione all’alterno andamento del giudizio e alle oscillazioni della giurisprudenza, le spese per entrambi i gradi del giudizio devono essere compensate tra le parti salva la decisione in ordine al gratuito patrocinio la cui domanda va inoltrata nelle forme rituali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie negli stessi limiti il ricorso in primo grado, e dichiara l’obbligo della amministrazione di provvedere entro 60 giorni dalla notifica della presente sentenza..

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Dante D’Alessio – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Alessandro Palanza – Consigliere, Estensore

Stefania Santoleri – Consigliere

Depositata in Segreteria il 12 aprile 2016.

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