Transazione e le reciproche concessioni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 agosto 2022| n. 25600.

Transazione e le reciproche concessioni

In tema di transazione, le reciproche concessioni, cui si riferisce il primo comma dell’art. 1965 cod. civ., devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già in relazione ai diritti effettivamente a ciascuna delle parti spettanti

Ordinanza|31 agosto 2022| n. 25600. Transazione e le reciproche concessioni

Data udienza 20 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: TRANSAZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. GRASIOSI Chiara – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 14250-2019 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona dell’amministratore unico e rappresentante legale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, ora (OMISSIS) SPA, domiciliata ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 635/2018 della Corte di Appello di TRIESTE, depositata l’08/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. La societa’ (OMISSIS) S.r.l. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 635/18, dell’8 novembre 2018, della Corte di Appello di Trieste, che – respingendone il gravame esperito contro la sentenza n. 190/17, del 19 febbraio 2017, del Tribunale di Udine – ha confermato l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla societa’ (OMISSIS) S.p.a. (oggi (OMISSIS) S.p.a.), in relazione ad un provvedimento monitorio che le ingiungeva di pagare, alla societa’ (OMISSIS), la somma di Euro 29.899,34, oltre interessi di cui al Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, quale corrispettivo per lavori di manutenzione eseguiti presso talune residenze per anziani gestite dalla societa’ opponente.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver agito in sede monitoria sul presupposto di vantare un credito. di entita’, peraltro, maggiore, rispetto a quello azionato ex articolo 633 c.p.c., giacche’ l’importo complessivo dei lavori eseguiti ammontava a Euro 73.401,34. Assumeva, infatti, che, in forza di accordo concluso con (OMISSIS) il (OMISSIS) (che qualificava – e qualifica – come remissione parziale del debito, condizionata al pagamento del dovuto alle scadenze pattuite, da intendersi come termini essenziali), l’entita’ del credito era stata ridotta rispetto all’importo originario. Non avendo, tuttavia, la debitrice proceduto al pagamento integrale del dovuto, essa (OMISSIS) conseguiva il decreto ingiuntivo, poi fatto oggetto di opposizione da (OMISSIS).
Qualificato, tuttavia, dal primo giudice l’accordo negoziale intervenuto tra le parti come transazione, e constatato l’integrale pagamento – ancorche’ in corso del giudizio – di quanto pattuito in via transattiva, il decreto ingiuntivo veniva revocato, escludendosi pure, per difetto della gravita’ dell’inadempimento ex articolo 1455 c.c., la possibilita’ di dichiarare risolta la transazione, come da domanda riconvenzionale subordinatamente proposta dall’odierna ricorrente.
Esperito gravame dall’opposta, il giudice di appello lo respingeva, confermando l’impianto motivazionale del primo giudice.
3. Avverso la sentenza della Corte giuliana ricorre per cassazione la (OMISSIS), sulla base – come detto – di due motivi.
3.1. Con il primo motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione degli articoli 1965 e 1236 c.c.
Si censura la sentenza impugnata perche’ – condividendo la valutazione gia’ fatta dal primo giudice – ha qualificato come transazione l’accordo del (OMISSIS), esito al quale essa e’ pervenuta in base sia allo stesso tenore letterale del documento (“chiudiamo ad Euro 55.000,00”), sia della successiva qualificazione operata nella lettera di intimazione ad adempiere del 10 agosto 2015, ove si legge che l’invio della stessa avveniva “a seguito del mancato rispetto da parte della (OMISSIS) della transazione raggiunta il (OMISSIS)”.
La Corte territoriale, tuttavia, avrebbe errato nel qualificare il ridetto accordo come transazione, mancandone i requisiti: l’esistenza della “res dubia” e dellmaliquid datum, aliquid retentum”.
Difatti, a dire della ricorrente, tra le parti “non vi era alcun rapporto con carattere di incertezza, ma soltanto un inadempimento, da parte di (OMISSIS)”; analogamente, difetterebbe pure l’ulteriore presupposto della transazione, visto che nessuna concessione sarebbe stata compiuta da (OMISSIS), “atteso che i lavori ed il materiale impiegato sono rimasti invariati rispetto all’accordo originario”, l’unica concessione essendo stata quella di (OMISSIS) sul prezzo degli stessi.
Di qui, pertanto, la necessita’ di qualificare il documento suddetto come riconoscimento di debito, da parte di (OMISSIS), con rimessione parziale dello stesso operata da (OMISSIS), sebbene condizionata all’effettuazione dei programmati pagamenti entro le scadenze stabilite, da intendere come termini essenziali.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione degli articoli 1965 e 1236 c.c.
La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza dei presupposti della risoluzione, per inadempimento, del contratto di transazione.
In particolare, si contesta l’affermazione della Corte triestina circa il difetto della “non scarsa importanza” dell’inadempimento, giacche’ tale attributo – assume la ricorrente – deve essere valutato con riferimento all’interesse della parte non inadempiente “all’esatta e tempestiva prestazione”. Nella specie, la volonta’ e l’interesse di (OMISSIS) all’esatta esecuzione del contratto (nonche’ la finalita’ del contratto stesso) risiederebbero “nella necessita’ di remunerazione dei costi sostenuti per i lavori effettuati”.
4. La societa’ (OMISSIS) S.p.a. (gia’ (OMISSIS)) ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione chiedendone la declaratoria di inammissibilita’, ovvero, in subordine, il rigetto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso e’ inammissibile.
5.1. In via preliminare, infatti, deve rilevarsi che entrambi i motivi di ricorso si fondano su di un documento – la scrittura privata del (OMISSIS) – che ambo i giudici di merito hanno ritenuto di qualificare come transazione.
Della stessa, tuttavia, la ricorrente – quantunque abbia provveduto a riprodurla, “in parte qua”, nel testo del ricorso non ha provveduto alla localizzazione tra gli atti del procedimento, donde l’inammissibilita’ della proposta impugnazione (cfr., da ultimo, sulla necessita’ della localizzazione, Cass. Sez. 6-1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 66009001).
Questa Corte, del resto, anche nella sua massima sede nomofilattica, ha affermato che sono “inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimita’” (Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01).
5.2. In ogni caso, il ricorso sarebbe stato comunque destinato al rigetto.
5.2.1. Il primo motivo, infatti, non e’ fondato.
Come noto, infatti, l’articolo 1965 c.c., nel definire – al comma 1 – il contratto di transazione, ha introdotto una previsione sostanzialmente corrispondente a quella dell’articolo 1764 c.c. del 1865, quantunque connotata da maggiore sinteticita’, visto che il riferimento alle “reciproche concessioni” tiene il posto dell’indicazione di quelle condotte – consistenti nel “dare”, “promettere” o “ritenere”, ciascuna delle parti transigenti, “qualche cosa” – che, nel sistema dell’abrogato codice civile, identificava uno degli elementi connotanti, ancora oggi, la presente fattispecie contrattuale (ovvero, il c.d. “aliquid datum, aliquid retentum”). Del resto, nella stessa Relazione al Re del Ministro Guardasigilli, veniva sottolineata la sostanziale continuita’ tra la disciplina introdotta nel 1942 e quella previgente, affermandosi che la nozione tradizionale del contratto di transazione, “fondata sull’elemento funzionale della composizione della lite e sull’elemento strutturale delle reciproche concessioni”, e’ “sostanzialmente rimasta immutata” (cosi’, testualmente, il § 772).
Una novita’, invece, e’ costituita dall’articolo 1965 c.c., comma 2 quantunque la gia’ citata Relazione chiarisca che il codice del 1942, nello stabilire che “le reciproche concessioni possono riguardare rapporti diversi da quello controverso” – dando vita, cosi’, ad una fattispecie contrattuale che una parte della dottrina definisce come transazione “complessa”, o “mista”, in contrapposizione a quella “semplice” – ha inteso, in realta’, solo consacrare “legislativamente la prevalente tendenza dottrinale” di quel tempo (peraltro affermatasi anche “nella giurisprudenza” coeva), individuando, pero’, “un limite solo per il caso in cui il rapporto creato mediante il negozio transattivo importa estinzione per novazione del rapporto controverso”. Ricorrendo, infatti, tale ipotesi “l’inadempimento di una delle parti non puo’ far rivivere rapporti definitivamente estinti, se non quando la volonta’ di entrambe abbia subordinato all’effettivo adempimento l’estinzione medesima” (cfr. il § 773).
Cio’ premesso, venendo ad esaminare gli elementi del contratto di transazione, questi sono comunemente identificati nella “res litigiosa” (ad integrare la quale, peraltro, “non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale, pur se ancora da definire nei piu’ precisi termini di una lite, e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione”; cosi’ in motivazione, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 4 maggio 2016, n. 8917, Rv. 639880-01; in senso conforme Cass. Sez. Lav., sent. 10 aprile 2006, n. 8301, Rv. 589205-01; Cass. Sez. 3, sent. 16 luglio 2003, n. 11142, Rv. 565142-01; Cass. Sez. Lav., sent. 11 marzo 1983, n. 1846 Rv. 426678-01) e nel “nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite” (cosi’, del pari in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. n. 8917 del 2016, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 2, sent. 7 maggio 1997, n. 3969, Rv. 504114-01; Cass. Sez. 3, sent. 4 settembre 1990, n. 9114, Rv. 469171-01).
In particolare, ad integrare il contratto di transazione – sotto il profilo delle reciproche concessioni – e’ stato ritenuto idoneo anche un “accordo con il quale le parti si limitano ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione gia’ in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un “quid medium” tra le prospettazioni iniziali” (Cass. Sez. Lav., sent. 14 giugno 2006, n. 13717, Rv. 590340-01).
Piu’ in generale, si e’ affermato che “in tema di transazione, le reciproche concessioni, cui si riferisce l’articolo 1965 c.c., comma 1 devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non gia’ in relazione ai diritti effettivamente a ciascuna delle parti spettanti” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord. 9 giugno 2021, n. 16154, Rv. 661536-01).
Orbene, alla luce di tali premesse, non sembra seriamente dubitabile che l’accordo oggetto del presente giudizio presentasse i requisiti della transazione.
Allo scopo, infatti, di superare “un dissenso potenziale, pur se ancora da definire nei piu’ precisi termini di una lite” (giacche’ funzione della transazione e’ anche quella di porsi quale “strumento negoziale di prevenzione di una lite”; Cass. Sez. 6-1, ord. 9 ottobre 2017, n. 23482, Rv. 646040-01), l’accordo suddetto prevedeva che (OMISSIS) si impegnasse a versare a Marchio Euro 60.500,00 (ovvero, Euro 55.000 piu’ I.V.A.), sornme che costituiva un “quid medium” tra la pretesa avanzata da quest’ultima, che assumeva di aver eseguito prestazioni per Euro 73.401,34., e quanto riteneva, invece, di dover versare la debitrice, solo la somma di Euro 47.798,30 (come attesta, non solo il controricorso, ma la sentenza impugnata a pag. 2, nel riassumere le conclusioni di (OMISSIS)).
Pertanto, se e’ vero, che il profilo del c.d. “aliquid datum, aliquid retentum”, deve essere apprezzato solo “in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non gia’ in relazione ai diritti effettivamente a ciascuna delle parti spettanti”, non possano esservi dubbi, nel caso in esame, in relazione alla sua effettiva ricorrenza.
5.2.2. Anche il secondo motivo non e’ fondato.
La sentenza impugnata, in relazione alla risoluzione (del contratto di transazione) per inadempimento, nell’escludere la gravita’ dello stesso, tra l’altro, sul presupposto che il dovuto era stato integralmente pagato in corso di causa, si e’ uniformata alla giurisprudenza di questa Corte, la quale afferma – salvo che per i contratti di durata (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 26 ottobre 2012, n. 18500, Rv. 624429-01) – che “l’adempimento successivo alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto non ne arresta gli effetti, ma deve essere preso in esame dal giudice nella valutazione dell’importanza dell’inadempimento, potendo condurre ad escluderne la gravita’ e, quindi, a rigettare la suddetta domanda” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 6 giugno 2017, n. 14011, Rv. 644475-01).
5.3. In conclusione, ove il ricorso fosse stato ammissibile, esso sarebbe stato, comunque, da rigettare.
6. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
7. In ragione della declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, sussiste a carico della ricorrente l’obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4:315, Rv. 657198-01), l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la societa’ (OMISSIS) S.r.l. a rifondere, alla societa’ (OMISSIS) S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *