Una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 dicembre 2020| n. 28192.

Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a essi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Corte deve omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo sia infondata. In tal modo, la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza impugnata (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto; è allora sufficiente correggere la motivazione della sentenza anche a fronte dell’error in procedendo, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (Nel caso di specie, la Suprema Corte, ritenuto inammissibile il ricorso, si è limitata a correggere la motivazione della sentenza gravata ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.; infatti, pur essendo innegabile che la corte territoriale avesse omesso la pronuncia su di un motivo di reclamo proposto avverso la dichiarazione di fallimento, la questione prospettata dal ricorrente doveva comunque ritenersi infondata sulla base di quanto dalla sentenza medesima risultava accertato in fatto).

Ordinanza|10 dicembre 2020| n. 28192

Data udienza 24 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Sentenza – Sentenza dichiarativa di fallimento – Pronuncia emessa all’esito di un reclamo – Omessa pronuncia su un motivo di appello – Verifica – Cassazione con rinvio – Decisione della causa nel merito – Condizioni

EPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9510/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli stessi avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1094/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
la (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Milano, pubblicata il 15-32017, che ne ha respinto il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento;
la curatela fallimentare ha replicato con controricorso ed egualmente hanno fatto i creditori istanti, questi ultimi con unico atto;
le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

che:
I. – il ricorso e’ affidato a due motivi;
col primo si deduce la nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 112 c.p.c., non avendo la corte d’appello reso la pronuncia sul motivo di reclamo relativo all’ammontare dei debiti scaduti e non pagati inferiore alla soglia di 30.000,00 Euro;
col secondo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi a proposito della ritenuta esistenza dello stato di insolvenza;
II. – il primo motivo e’ inammissibile, essendo sufficiente correggere la motivazione della sentenza ai sensi dell’articolo 384 c.p.c.;
in effetti e’ vero che la corte d’appello ha omesso la pronuncia sul citato motivo di reclamo;
emerge dal ricorso (in prospettiva di autosufficienza) che alle pag. 6 e 9 del reclamo la societa’ aveva eccepito che non era stato integrato il requisito minimo di cui alla L. Fall., articolo 15, u.c., essendo i “debiti scaduti” e non pagati inferiori a 30.000,00 Euro;
di tale questione non c’e’ traccia nella motivazione della sentenza, la quale si e’ invece dilungata unicamente sul profilo dell’avvenuto superamento della soglia di indebitamento complessivo di cui alla L. Fall., articolo 1, lettera c);
tale profilo non necessariamente assorbe quello di cui all’articolo 15, poiche’, per escludere la fallibilita’, postula che si abbia a tener conto, tra l’altro, dell’ammontare complessivo dei debiti “anche non scaduti” ove non superiore a 500.000,00 Euro;
tuttavia in ordine alla doglianza di parte ricorrente e’ da considerare che la sottostante questione era infondata; e cio’ e’ possibile dire in base a quanto dalla sentenza risulta accertato in fatto;
dalla essa risulta che l’esposizione debitoria della societa’ era per la piu’ gran parte composta da debiti tributari, di ammontare pari a 419.909,41 Euro; e tale ammontare non e’ controverso, poiche’ sull’afferente indicazione della sentenza non sono state prospettate censure;
la ricorrente al riguardo assume solamente (a pag. 17 del ricorso) che la corte d’appello non avrebbe potuto annoverare fra i debiti scaduti e non pagati l’ammontare del debito verso l’agenzia delle entrate poiche’ codesto era portato da avvisi di accertamento conosciuti solo a seguito di interrogazione disposta dal tribunale di Milano prima della riserva al collegio, e poiche’ comunque il debito non era ancora “passato al concessionario per la riscossione”;
sta di fatto pero’ che i debiti tributari, una volta accertati dall’amministrazione mediante l’atto impositivo conosciuto dal destinatario (e finanche prima di tale momento ove il presupposto risulti dalla dichiarazione del contribuente), sono da considerare giustappunto scaduti; cosicche’ non assume alcuna rilevanza se il carico fiscale sia stato o meno trasmesso all’ente deputato a riscuoterlo;
questa Corte ha da tempo fatto propria la cd. teoria dichiarativa dell’accertamento tributario, in consonanza con carattere dell’obbligazione che sorge direttamente dalla legge al verificarsi del relativo elemento generatore: l’avviso di accertamento possiede, quanto al presupposto del debito, una mera funzione ricognitiva non incidente sulla genesi di esso (cfr. gia’ Cass. Sez. U. n. 4779-87 e Cass. Sez. U n. 9201-90, con principio da li’ in poi mai disatteso), e l’atto di accertamento con natura dichiarativa e’ naturalmente retroattivo, nel senso che i suoi effetti retroagiscono al momento in cui e’ sorta l’obbligazione in riferimento al suo presupposto, tanto da determinare in tal specifico modo anche il debito da interessi sui tributi non pagati; ne consegue che e’ vano eccepire, in questa sede, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., poiche’ sebbene la corte d’appello non abbia reso la pronuncia sul motivo di reclamo invocante la L. Fall., articolo 15, e’ certo che la sottostante questione era infondata;
era cioe’ esistente (in base alla sentenza), tra gli altri, un debito tributario di ammontare ben superiore a 15.000,00 Euro, e tale debito, in quanto portato da avvisi di accertamento conosciuti (poco interessa se per avvenuta previa notifica o perche’ acquisiti in giudizio), era da considerare gia’ scaduto a prescindere dalla trasmissione del carico fiscale al concessionario per la riscossione;
III. – ove la sottostante questione sia infondata, l’omissione di pronuncia non assurge a vizio rilevante;
e’ affermazione consolidata che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’articolo 111 Cost., comma 2, nonche’ di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale articolo 384 c.p.c., ispirata a essi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Corte deve omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo sia infondata (v. Cass. n. 15112-13, Cass. n. 28663-13 e molte altre);
in tal modo la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza impugnata (determinando l’inutilita’ di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti – come nella specie – di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto;
in questi casi e’ sufficiente (per l’appunto) correggere la motivazione della sentenza anche a fronte dell’errore in procedendo, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (v. Cass. n. 28663-13, Cass. n. 21257-14, Cass. n. 18838-17);
IV. – egualmente inammissibile e’ il secondo motivo;
con riferimento alla valutazione dello stato di insolvenza la corte del merito ha ritenuto integrata la corrispondente condizione in base all’ammontare dei debiti accertati e alla inconsistenza delle deduzioni circa l’avvenuta rateizzazione dei debiti tributari e la ottenuta liquidita’ derivante dalla stipula di un preliminare di vendita con altra societa’;
a tal riguardo ha osservato che la rateizzazione era stata solo parziale e per importi di gran lunga inferiori al dovuto, e che i corrispettivi della vendita, incerti poiche’ promessi in anticipo solo per il caso di rientro in bonis, erano inidonei a eliminare la persistente incapacita’ della societa’ a far fronte ai propri notevoli impegni finanziari, essendo stata ceduta l’azienda;
i fatti decisivi che la ricorrente assume omessi sono stati semplicemente diversamente valutati, dalla corte d’appello, nel loro intrinseco significato; cosicche’ in definitiva, sebbene mediante prospettazione di vizi motivazionali, il ricorso a nient’altro mira che a ottenere un’inammissibile revisione della valutazione di merito;
le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida, per ciascuna parte, in 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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